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venerdì 9 novembre 2012

"Bruno di Luia: un mito per tutti i Camerati..."

«Uccisioni e leggi razziali del fascismo? In democrazia ci sono depistaggi e stragi» «Schiaffi a Fini? Contestazione democratica» Parla l'ex stuntman, in carcere 20 volte. Di Luia, ex Avanguardia nazionale: giusto prendersela con Fini ma non a un funerale. «Sono un fascista Robin Hood» ROMA - L'appuntamento è a metà pomeriggio, di fronte alla stessa chiesa - la Basilica di San Marco - dove Gianfranco Fini è stato oggetto della durissima contestazione (sputi, lanci di oggetti, manate e stampellate) dei «camerati» accorsi al funerale di Pino Rauti. Bruno Di Luia, 70 anni, ex Avanguardia nazionale, scende da uno scooter: jeans, scarpe da ginnastica, casco nero. Sorride: «Non ti conosco, potevi anche essere un compagno che mi sparava», dice al cronista. Gli anni '60 e '70, quando era «un soldato dell'idea» (autodefinizione) del gruppo di Stefano Delle Chiaie, sono lontani. Di Luia oggi è un uomo con un passato burrascoso, il lavoro da stunt del cinema («ho fatto 300 film, sono stato alle nomination degli Oscar, ho girato con Squitieri, Damiani, Dino Risi, Leone: ma quello è un ambiente rosso, mi hanno sempre scansato») e un ruolo preciso, nella variegata comunità dei neofascisti romani: Di Luia è quello che chiama il «Presente», il saluto con cui i camerati, braccia tese nel saluto romano, omaggiano chi non c'è più. Lo ha fatto anche l'altro ieri, con indosso un giubbotto con lo stemma della X Mas: «Sono stato onorato di poterlo fare per Rauti, come feci con Giulio Caradonna, Paolo Signorelli». Perché sempre a lui? «Vengono quelli di famiglia, o gli amici, a chiedermelo: per molti sono un mito». Alla contestazione a Fini, lui non ha partecipato: «Lo sapevo da prima chi era, non l'ho scoperto certo l'altro ieri». Fini contestato al funerale di Pino Rauti Mi piace questo contenutoNon mi piace questo contenuto A 196 persone piace questo contenutoA 54 persone non piace questo contenuto 145 Link: Ma che ha pensato, in quel momento? «Che finalmente qualcuno si sveglia, anche se era il luogo e il momento sbagliato. Lo avessero aspettato sotto casa era meglio». Ma cosa imputano gli ex militanti al leader di Fli? «Non è un problema di partiti ma di tradimenti, ideologia, case a Montecarlo». Un buon motivo per cercare di picchiarlo? È volato pure uno schiaffo... «E vabbè, con trecento persone... È stata una contestazione democratica». L'ex avanguardista non ha urlato nulla? «Quello che dovevo dire l'ho fatto tanti anni fa. E poi io non sono mai stato missino». Eppure, col presidente, l'ex militante una volta ha parlato: «Nel '94, gli chiesi un favore personale. Mi disse che parlava spesso di me con l'allora moglie Daniela, che mi stimava. Poi, però, non mi fece sapere nulla». La storia di Di Luia è di quelle molto dure: «Sono stato in carcere 20 volte, sempre per la politica». Condanne? «Una sola, quando mi aggredirono a Palmi, 41 anni fa. Loro erano in sedici, io con mia moglie, mia figlia piccola e mia suocera». Al collo porta una runa, simbolo di Avanguardia nazionale («significa unione e potenza») e una fede di metallo con scritto «oro di guerra». Ma tempo fa, aveva un altro ciondolo: «Una svastica. Mi è dispiaciuto quando me la sono persa». Ancora oggi, con chi lo intervista, si definisce «un nazista inferocito». Non si vergogna di dire ciò che pensa, anzi lo ostenta. Ma come si fa a dirsi seguaci di Hitler, o di Mussolini? «Quella del nazista era una provocazione. Possono chiamarmi in tanti modi, l'unico che non accetto è picchiatore: ho avuto la fortuna di sapermi difendere, altrimenti avrei fatto la fine di tanti ragazzi uccisi, a destra e a sinistra». Si sente «un fuorilegge, in questa falsa democrazia» e rivendica che il fascismo «ha fatto anche cose buone». Ma le uccisioni, le leggi razziali, le libertà negate? «Ma perché, in democrazia non ci sono depistaggi, stragi, eccetera?». Oggi, nel 2012, come si definirebbe? «Un Robin Hood, dalla parte dei più deboli. E tra Obama e Romney, scelgo Che Guevara». Ernesto Menicucci7 novembre 2012 | 12:35

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