CCP

venerdì 27 luglio 2012

Progetto ITACA: Laboratorio Politico per la Rinascita Italiana.

Il seminario di Ascoli aspira a dare una voce, un collante e una prospettiva di rinascita a quell'arcipelago che in modo inadeguato e superato definiamo destra. Non è il ritorno al passato, ma vuol essere l'atto di nascita di una nuova storia e di un disegno prepolitico che vuol farsi politico. Ambizioso, ma senza illusioni. Non vogliamo rassegnarci al nulla, al vuoto e alla paralisi. Non vogliamo accettare come definitiva la morte della politica, la fine di ogni destra possibile, ideale e reale, sociale e nazionale, conservatrice e rivoluzionaria. E non vogliamo finire passivamente al rimorchio di leadership e rientrare in fasi che consideriamo concluse. In ogni caso la decisione nel merito scaturisca da un atto preliminare di autonomia. Vogliamo risvegliare la passione civile e ideale in un paese stanco e disperato e la difesa della sovranità, popolare e nazionale, statuale e politica. Siamo convinti che la crisi economica vada affrontata a partire da scelte che precedono l'economia. Vogliamo ripartire dalla tradizione come viva continuità con le origini e con il futuro; e dall'amor patrio come passione autentica per la nostra comunità. Vogliamo suscitare una nuova selezione fondata sul merito e sulla qualità ed esigere da chi fa politica che cooperi a selezionare giovani e donne, tecnici e outsider. Proprio perché siamo realisti non proponiamo di far nascere dal nulla un nuovo soggetto, ma di dar luogo a un incontro per rimettere insieme - in un movimento, in una fondazione, e poi eventualmente in un soggetto politico – le realtà esistenti, ovvero tutti coloro che provengono da destra o che non disdegnano di definirsi tali: dalla componente di Alleanza nazionale rimasta nel Pdl (ora in via di ritorno a Forza Italia) a la Destra guidata da Storace, dai componenti di Futuro e Libertà a tutta la galassia di circoli sparsi, movimenti e gruppi non allineati, associazioni e singoli che non intendono restare prigionieri del passato o di settari estremismi. Suggeriamo un passo indietro a tutti coloro che hanno espresso in prima linea questo ciclo ventennale; lasciando spazio a nuove leve, anzi aiutandole a emergere, favorendo il ricambio. Crediamo nell'autonomia della politica e ancor più della cultura; ma in alcuni momenti di svolta, come già accadde nel biennio 92-94, è dovere spingersi ai confini ed esporsi in un lavoro prepolitico. Non vogliamo veder finire così male quell'intreccio di idee e di esperienze, di radici e di consonanze, che in modo sbagliato seguitiamo a definire destra. C'è dentro la nostra vita, o una sua parte significativa, e non intendiamo lasciarla morire o svilire in una discarica. Permettendoci una parola pomposa e desueta, ma a noi cara, lo facciamo per l'onore, oltre che per il bene della nostra Patria. Il Seminario di Ascoli si propone perciò come promotore di un incontro prima che finisca l'estate con i segmenti politici più vivi ed attenti al fine di ritrovare le ragioni e le passioni di una nuova Alleanza. Si crei prima un ristretto intergruppo, costituito per metà da rappresentanti politici e per metà da extrapolitici che studi la possibilità di dar luogo una costituente, che dovrà poi selezionare i propri rappresentanti. Nessun nemico a destra, non ci poniamo contro; solo in favore della destra, dell'Italia e del suo rinnovamento. Il progetto finale è far nascere un soggetto unitario, sovrano e visibile, che decida se, in che modo e fino a che punto allearsi per incidere nella realtà, se preferire un ruolo di testimonianza e di opposizione; o se, in un mutato clima, diventare esso stesso il battistrada della rinascita italiana.

Con il popolo, contro il sistema!

Cameratismo: Fede, Amicizia e Goliardia!

"Riky il Falco", RICCARDO FALCONE (già consigliere di zona 3), con l'oste parà OSCAR REBUGHI ed il "Barone Nero" ROBERTO JONGHI LAVARINI (già presidente di zona 3), a Porta Venezia, storica roccaforte della destra milanese.
ROBERTO JONGHI LAVARINI con CESARE FIORE, storico esponente del sindacalismo nazionale (già dirigente CISNAL ed UGL) e militante del Movimento Sociale Italiano.
"Vecchi Cuori Neri" in trasferta: ROBERTO JONGHI LAVARINI con ALESSANDRO "Todo" TODISCO al Lion Klan di Pelugo in Trentino Alto Adige.
"semplicemente" MAX...
ATTILIO "Attila" CARELLI (dirigente nazionale della Fiamma Tricolore, responsabile del dipartimento memoria, cultura ed identità) con ROBERTO JONGHI LAVARINI ed il mitico "camerata serpentaro" FRANCO "Iguana" STEFANIZZI.
ROBERTO JONGHI LAVARINI con ROMANO, già dirigente del Fronte della Gioventù.
Il "Conte Grappa" ALESSANDRO ROMEI LONGHENA con il parà DARIO CASORATI, entrambi "vecchi" militanti della destra milanese, ora dirigenti della Fiamma Tricolore.
"Il Professore" ANDREA MALERBA con il "Barone Nero", MARCELLO e GRAZIANO.

giovedì 26 luglio 2012

La DESTRA secondo Adriano ROMUALDI: aristocratica e popolare, tradizionalista e rivoluzionaria.

Con queste affermazioni che, come tutte le affermazioni veritiere, scandalizzeranno più d’uno, crediamo di aver posto il dito sulla piaga. Che cosa dovrebbe propriamente significare «esser di Destra»? Esser di Destra significa, in primo luogo, riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia o il socialismo. Esser di Destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti razionalistici, progressistici, materialistici che preparano l’avvento della civiltà plebea, il regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose. Esser di Destra significa in terzo luogo concepire lo Stato come una totalità organica dove i valori politici predominano sulle strutture economiche e dove il detto «a ciascuno il suo» non significa uguaglianza, ma equa disuguaglianza qualitativa. Infine, esser di Destra significa accettare come propria quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà europea, e — in nome di questa spiritualità e dei suoi valori — accettare la lotta contro la decadenza dell’Europa. Arno Breker, Die Partei È interessante vedere in che misura questa coscienza di destra sia affiorata nel pensiero europeo contemporaneo. Esiste una tradizione antidemocratica che corre per tutto il secolo XIX e che — nelle formulazioni del primo decennio del XX — prepara da vicino il fascismo. La si può far cominciare con le Reflections on the revolution in France in cui Burke, per primo, smascherava la tragica farsa giacobina e ammoniva che «nessun paese può sopravvivere a lungo senza un corpo aristocratico d’una specie o d’un’altra». In seguito, questa pubblicistica cercò di sostenere la Restaurazione con gli scritti dei romantici tedeschi e dei reazionari francesi. Si pensi agli aforismi di Novalis, col loro reazionarismo scintillante di novità e di rivoluzione («Burke hat ein revolutionäres Buch gegen die Revolution geschrieben»), alle suggestive e profetiche anticipazioni: «Ein grosses Fehler unserer Staaten ist, dass man den Staat zu wenig sieht… Liessen sich nicht Abzeichen und Uniformen durchaus einführen?». Si pensi ad un Adam Müller, alla sua polemica contro l’atomismo liberale di Adam Smith, la contrapposizione di una economia nazionale all’economia liberale. Ad un Gentz, consigliere di Metternich e segretario del Congresso di Vienna, ad un Gorres, a un Baader, allo stesso Schelling. Accanto a loro sta un Federico Schlegel con i suoi molteplici interessi, la rivista Europa, manifesto del reazionarismo europeo, l’esaltazione del Medioevo, i primi studi sulle origini indoeuropee, la polemica coi liberali italiani sul patriottismo di Dante, patriota dell’«Impero» e non piccolo-nazionalista. Si pensi a un De Maistre, questo maestro della controrivoluzione che esaltava il boia come simbolo dell’ordine virile e positivo, al visconte De Bonald, a Chateaubriand, grande scrittore e politico reazionario, al radicalismo di un Donoso Cortes: «Vedo giungere il tempo delle negazioni assolute e delle affermazioni sovrane». Peraltro, la critica puramente reazionaria aveva dei limiti ben evidenti nella chiusura a quelle forze nazionali e borghesi che ambivano a fondare una nuova solidarietà di là dalle negazioni illuministiche. Arndt, Jahn, Fichte, ma anche l’Hegel de La filosofia del diritto appartengono all’orizzonte controrivoluzionario per la concezione nazional-solidaristica dello Stato, anche se non ne condividono il dogmatismo legittimistico. La chiusura alle forze nazionali (anche là dove, come in Germania, si trovano su posizioni antiliberali) è il limite della politica della Santa Alleanza. Crollato il sistema di Metternich, per la miopìa della concezione di fondo (combattere la rivoluzione con la polizia, e restaurando una legalità settecentesca) la controrivoluzione si divide in due rami: l’uno si attarda su posizioni meramente legittimistiche, confessionali, destinate ad esser travolte, l’altro cerca nuove vie e una nuova logica. Carlyle polemizza contro lo spirito dei tempi, l’utilitarismo manchesteriano («non è che la città di Manchester sia divenuta più ricca, è che sono diventato più ricchi alcuni degli individui meno simpatici della città di Manchester»), l’umanitarismo di Giuseppe Mazzini («cosa sono tutte queste sciocchezze color di rosa?»). Egli cerca negli Eroi la chiave della storia e vede nella democrazia un’eclissi temporanea dello spirito eroico. Gobineau pubblica nel 1853 il memorabile Essai sur l’inegalité des races humaìnes fondando l’idea di aristocrazia sui suoi fondamenti razziali. L’opera di Gobineau troverà una continuazione negli scritti dei tedeschi Clauss, Günther, Rosenberg, del francese Vacher de Lapouge, dell’inglese H. S. Chamberlain. Attraverso di essa il concetto di «stirpe», fondamentale per il nazionalismo, viene strappato all’arbitrarietà dei diversi miti nazionali e ricondotto all’ideale nordico-indoeuropeo come misura oggettiva dell’ideale europeo. Alla fine del secolo, la punta avanzata della Destra è nella polemica di Federico Nietzsche contro la civilizzazione democratica. Nietzsche, ancor più di Carlyle e Gobineau, è il creatore di una Destra modernamente « fascista », cui ha donato un linguaggio scintillante di negazioni rivoluzionarie. Nietzschiano è lo scherno dell’avversario, la prontezza dell’attacco, la rivoluzionaria temerità («was fall, das soll man auch stossen»). La parola di Nietzsche sarà raccolta in Italia da Mussolini e d’Annunzio, in Germania da Jünger e Spengler, in Spagna da Ortega y Gasset. Intanto, anche all’interno del nazionalismo si è operato un «cambiamento di segno». Già nelle formulazioni dei romantici tedeschi la nazione non era più la massa disarticolata, la giacobina nation, ma la società standisch, coi suoi corpi sociali, le sue tradizioni, la sua nobiltà. Una società — insegnava Federico Schlegel — è tanto più nazionale quanto più legata ai suoi costumi, al suo sangue, alle sue classi dirigenti, che ne rappresentano la continuità nella storia. Alla fine del secolo, una rielaborazione del nazionalismo nello spirito del conservatorismo è compiuta. Maurras e Barrés in Francia, Oriani e Corradini in Italia, i pangermanisti e il «movimento giovanile» in Germania, Kipling e Rhodes in Inghilterra, han conferito all’idea nazionale una impronta tradizionalistica e autoritaria. Il nuovo nazionalismo è essenzialmente un elemento dell’ordine. (Brani tratti da Idee per una cultura di Destra).
Quali problemi si pongono a coloro che vogliono affrontare il problema della cultura di Destra? Innanzitutto, si rende necessaria una corretta impostazione del problema. E il primo contributo a questa impostazione è la definizione dei rapporti che corrono tra Destra e cultura. Bisogna mettere in chiaro che, per l’uomo di destra, i valori culturali non occupano quel rango eccelso cui li innalzano gli scrittori di formazione razionalistica. Per il vero uomo di destra, prima della cultura vengono i genuini valori dello spirito che trovano espressione nello stile di vita delle vere aristocrazie, nelle organizzazioni militari, nelle tradizioni religiose ancora vive e operanti. Prima sta un certo modo di essere, una certa tensione verso alcune realtà, poi l’eco di questa tensione sotto forma di filosofia, arte, letteratura. In una civiltà tradizionale, in un mondo di destra, prima viene lo spirito vivente e poi la parola scritta. Solo la civilizzazione borghese, scaturita dallo scetticismo illuministico, poteva pensare di sostituire allo spirito eroico ed ascetico il mito della cultura, la dittatura dei philosophes. Il democratico ha il culto della problematica, della dialettica, della discussione e trasformerebbe volentieri la vita in un caffé o in un parlamento. Per l’uomo di destra, al contrario, la ricerca intellettuale e l’espressione artistica acquistano un senso soltanto come comunicazione con la sfera dell’essere, con un qualcosa che — comunque concepito — non appartiene più al regno della discussione ma a quello della verità. Il vero uomo di destra è istintivamente homo religiosus non nel senso meramente fideistico-devozionale del termine, ma perché misura i suoi valori non col metro del progresso ma con quello della verità. «Essere conservatori — ha scritto Moeller van den Bruck — non significa dipender dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni». La cultura e l’arte di destra non possono pretendere di essere loro stesse il tempio, ma solo il vestibolo del tempio. La verità vivente è oltre. Di qui una certa diffidenza del genuino uomo di destra nei confronti della cultura moderna, un disprezzo impersonale per il volgo dei letterati, degli esteti, dei giornalisti. Si ricordino le parole di Nietzsche: «Una volta il pensiero era Dio, poi divenne uomo, ora si è fatto plebe. Ancora un secolo di lettori e lo spirito imputridirà, puzzerà». Di qui l’ostilità del Fascismo e del Nazismo al tipo dell’intellettuale deraciné. In essa non c’è solo la rozza diffidenza dello squadrista e del lanzichinecco per le raffinatezze della cultura ma anche l’aspirazione ad una spiritualità fatta di eroismo, fedeltà, disciplina, sacrificio. José Antonio raccomandava ai suoi falangisti il «sentimento ascetico e militare della vita». Fatta questa premessa, consideriamo più da vicino il compito di animare una cultura di destra. Il fine, lo abbiamo detto, è la costruzione di una visione del mondo che si ispiri a valori diversi da quelli oggi dominanti. Non teoria o filosofia, ma « visione del mondo ». Questo lascia un largo margine di libertà alle impostazioni particolari. Si può lavorare a creare una visione del mondo di destra sia da parte cattolica che da parte «neo-pagana», sia proiettando il mito novalisiano dell’Europa-Cristianità che sostenendo l’identità Europa-Arianità. Un esempio modesto, ma interessante, di questa concordia discors ci è offerto dalle riviste giovanili del primo neofascismo. Cantiere e Carattere da parte cattolica, Imperium e Ordine Nuovo da parte evoliana hanno contribuito non poco a un processo di revisione di certi miti borghesi e patriottardi caratteristici della vecchia Destra. Queste riviste, ed altre che non abbiamo nominato (Il Ghibellino, Barbarossa, Tradizione etc.) contribuirono — pur con dei grossi limiti — ad avviare un certo discorso. Esse dovettero tutto o quasi tutto a colui che si può ben definire il maestro della gioventù neofascista: Julius Evola. Senza libri come Gli uomini e le rovine e Cavalcare la tigre non sarebbe stato possibile mantenere libero a destra uno spazio culturale. Ma Evola è un grande isolato, e la sua opera giace ormai alle sue spalle. Occorrono nuove forze creatrici, o almeno un’opera di diffusione intelligente. Vanno coltivati i domimi particolari della storia, della filosofia, della saggistica. Va tentato qualcosa sul piano dell’arte. Non per nulla Evola ha paragonato la tradizione ad una vena che ha bisogno di innumerevoli capillari per portare il sangue in tutto il corpo.

Massimiliano Mazzanti sul "Ritorno ad Itaca"...

Massimiliano Mazzanti
Ritorno a Itaca e l'indubbio fascino di Veneziani (di Massimiliano Mazzanti) giovedì, luglio 26, 2012 DestraMente, Editoriali No commenti Nell’attuale, desolante panorama politico, l’appello di un personaggio del calibro di Marcello Veneziani esercita un indubbio fascino. Senza farsi alcuna illusione – quante scottature in questi anni! –, nelle sue parole c’è il richiamo di antiche amicizie, di lunghe, appassionate militanze, di sogni che non si è mai smesso di coltivare. Ritornate a Itaca, quindi, nel senso di una ricostruzione di un pensiero e di un’azione di destra nel solco della cinquantennale esperienza missina e della primissima An, può essere non solo uno slogan, ma, appunto, un progetto. Non un afflato nostalgico, un guardare al passato per lodare i tempi andati, bensì un riprendere il filo laddove il “finismo” lo ha spezzato, per trasformare il percorso evolutivo di un’intera comunità umana e politica nel velleitario e personalistico e senza scrupoli avventurismo di un uomo votato solo a se stesso. Come ogni viaggio, però – affinché non risulti onirico, se non addirittura onanistico o, peggio ancora, “stupefacente” –, è necessario individuare il mezzo adatto per compierlo. E non si tratta di stabilire quale tra i tanti partitini scegliere o quali tra i tanti colonnelli, marescialli o caporali del PdL ri-arruolare e quali no; si tratta di decidere quale battaglia concreta condurre nella società italiana – scegliendola tra quelle funzionali alla soluzione di uno o più problemi reali della gente –, per dimostrare nuovamente le capacità operative e di governo della Destra e per coalizzare nuovamente intorno a un tema larghe fette del tessuto umano, sociale ed economico del Paese. Più che lo spogliarello storico ed ideologico condotto da Fini – e non solo da lui, in verità –, quello che ha veramente nuociuto alla ex-An e alla Destra in generale è stato il sostanziale vuoto programmatico. Cosa ha significato, in concreto, essere di destra, negli ultimi 10 anni? Sinceramente, per chiunque sarebbe difficile dirlo: Giustizialisti o garantisti? Nemici dell’immigrazione o fautori di una nuova dimensione della cittadinanza? Dalla parte dei sindacati o degli imprenditori? Difensori del lavoro o amici delle banche e della speculazione? Quale che sia il binomio proposto, nessuno potrebbe dire con certezza che la Destra italiana – intesa come complesso degli uomini in cui gli italiani l’hanno sempre identificata – abbia scelto un fattore rispetto all’altro. Tutt’al più, si potrebbe verificare che parte hanno fatto delle scelte, altri quelle opposte. Allora, per tornare a Itaca, andrebbe affrontato – da parte di chi si propone a guidare la barca – un grande tema, andrebbe aggredita una grande urgenza e individuata una soluzione che, a quel punto, dovrebbe fungere anche da rotta per la navigazione. Solo così, dando esempio di realismo e di passione, di doti intellettuali e capacità d’azione, il popolo della Destra italiana e quei molti milioni di italiani che, anche nei momenti più bui della Repubblica, hanno guardato a destra per la salvaguardia del Paese, tornerà a riunirsi e a compattarsi per ritornare a fare politica insieme. I soli appelli ai valori eterni e alle tradizioni avite, invece, porterebbero, tutt’al più, alla costituzione del solito “club reducistico“.

Oggi come ieri: ITALIA, Europa, Rivoluzione!

mercoledì 25 luglio 2012

Rotta per Itaca: avanti tutta, a destra!

NO alla dittatura dello spread!

Ci avevano detto che la pillola amara del governo Monti serviva per guarire un malato ormai vicino al tracollo. Che la cura a stretto giro di tempo avrebbe prodotto i suoi risultati. Oggi quel malato non solo non è migliorato, ma addirittura le sue condizioni sono peggiorate. Da giorni lo spread, che ha determinato la caduta del governo Berlusconi, è tornato agli stessi livelli dello scorso inverno, quando l’allora premier fu costretto a lasciare a causa della speculazione dei mercati, diventata ormai insostenibile, dicevano. E oggi? Non è insostenibile come lo era allora? E perché i professori della Bocconi non lasciano per manifesta incapacità? Ci hanno ingannato dicendo che tutto si sarebbe risolto, in realtà hanno solo operato per le banche, accanendosi sul popolo. Hanno aumentato le tasse e messo in ginocchio l’economia di un Paese. Fanno finta di andare in Europa e fare la voce grossa, ma quello che esce è solo il belato di una pecorella. Se ne devono andare a casa, perché sono come quei medici che operano senza titolo. Una cosa è fare lezioni dalle cattedre o fare i conti dietro lo sportello di una banca, un’altra è governare una nazione, un popolo. Sono incapaci e il presidente della Repubblica ha il dovere – lo dico con tutto il rispetto possibile – di riservare a Monti lo stesso trattamento che usò con Berlusconi. Ormai è dimostrato il loro fallimento, i fondi salva-stati sono una bufala, e nonostante il fiscal compact i mercati se ne fregano di tutto e tutti, e le borse bruciano miliardi di euro. Non dobbiamo prendere appunti da chi sta mandando in malora una nazione, da chi sta sacrificando il futuro dei nostri figli per i conti delle banche. Questa non è l’Europa che avevamo in mente, e quindi a cosa serve? Restituite la parola ai cittadini. E’ l’ora di mettere in campo politiche sociali concrete a tutela del popolo, non delle banche e degli affari. Andatevene a casa: siete inutili, dannosi e inadeguati. Gli italiani non vi hanno votato, e non vi vuole più nessuno. FRANCESCO STORACE

Giuliano Castellino sul Progetto Itaca

L'autocritica di Castellino: così abbiamo perso la verginità. Ripartire da zero, altro che Itaca 7/24/2012 02:07:00 PM castellino attivisti augustus delle chiaie tilgher di luia boccacci itaca autocritic base autonoma 16 commenti (umt) Ho decisamente sottovalutato il meeting organizzato una decina di giorni fa all'Augustus occupato dagli Attivisti di Giuliano Castellino. E invece si è espressa per la prima volta in maniera chiara l'esistenza sulla piazza romana di una rete di prossimità che rompe l'attuale dualismo della Destra radicale. Perché sul palco si sono alternati militanti di quattro diverse generazioni: e cioè di chi ha cominciato a fare politica negli anni '50 (Delle Chiaie: al centro con Castellino e in basso con Tilgher e Di Luia), negli anni '60 (Di Luia e Tilgher: per la prima volta insieme, in un evento pubblico, con il Capo, dopo tanto tempo), negli anni '70 (Boccacci: l'avevo già incontrato alla presentazione del libro di Delle Chiaie, ma stavolta - vedi la foto in alto - ha preso anche la parola, ricucendo un lungo strappo con quello che era stato a lungo il suo pupillo) e negli anni '90 (Castellino). Per l'occasione gli organizzatori della serata hanno offerto un lungo contributo, che traccia un percorso di ritorno alle origini, radicali e militanti. Con una durissima autocritica sulla perdita della verginità. Altro che Itaca. LA SCELTA: MARCIARE SUL FUTURO! Documento Politico, Roma, Augustus Attivo, Luglio 2012. Distribuito alla Festa “Apriamo le porte ai ribelli”: Iniziativa a sostegno dell’occupazione. In molti, in questi giorni, avranno letto l’appello “Tornare ad Itaca” lanciato da Marcello Veneziani sulle pagine de “Il Secolo d’Italia”; appello per un nuovo, direi ennesimo, viaggio, per un’altra traversata. In molti hanno risposto positivamente, anche con grande entusiasmo. Noi, prima di rispondere all’appello, ci siamo posti delle domande: “Quale sarebbe l’Itaca di cui parla Veneziani? Il MSI di Michelini ed Almirante? L’Alleanza Nazionale di Fini e dei colonnelli? La destra “neo-con” made in Usa? O quella delle missioni in Iraq e delle bombe intelligenti in Afghanistan? O delle esportazioni di democrazia? O quella che strizzava e strizza l’occhio alla destra liberal-liberista di stampo anglo-sassone?” Ci siamo dati anche le risposte e per questo diciamo subito che noi NON ANDREMO AD ITACA. Questi viaggi hanno sempre una sola meta: le poltrone, e in questo caso ricompattare gli scarti di An per riposizionarsi nella stanza dei bottoni! Stavolta non ci stiamo. Non partiamo. Ormai, a furia di navigare, ci è venuto il mal di mare. Potremmo - facendo i vaghi e facendo finta di nulla - parlare - e lo potremmo fare con ottima cognizione di causa - di tutti gli altri, delle loro scivolate, dei loro compromessi, delle loro furberie, della ventata di megalomania che li ha presi, ma non lo faremo, sarebbe troppo superficiale e poco onesto! Parleremo di NOI STESSI, SENZA SCONTI! Tenendo bene a mente che nessuno, quindi neanche noi, può riconquistare la verginità perduta. E con umiltà ed in totale assenza di tracotanza vi diciamo subito che non siamo più vergini! (E purtroppo non c’è ironia!) Sognavamo di essere guerrieri metropolitani, spesso abbiamo preferito la lotta al compromesso, ci eravamo tenuti ben lontani dal politichese e dal politicume: ci sentivamo belli come il sole… Poi? Poi ci siamo smarriti. Abbiamo perso la battaglia più importante, quella con noi stessi, quella contro l’anello del potere: ci siamo trovati davanti a due strade, una che sembra semplice e in discesa, l’altra tortuosa ed in salita. Abbiamo scelto la prima! E ci siamo schiantati, ci siamo ritrovati tra i nani, tra i piccoli, mentre una volta sognavamo di scalare le vette più alte e di volare là dove solo le Aquile osano! Questo non si può cancellare con un colpo di spugna. Alcuni nostri amici e camerati, più saggi e prudenti di noi, più rigorosi sul piano intellettuale, ci avevano invitato a diffidare e a non farci troppe illusioni. Purtroppo non li abbiamo ascoltati. Avevano ragione loro. Ma combattere è un destino e in sè la vita è guerra e noi non vogliamo certo rinunciare né al nostro destino né alla nostra guerra. Abbiamo perso delle battaglie, ma la guerra è lunga! A Roma diciamo “ciò che non strozza ingrassa”, in un italiano più corretto e comprensibile “ciò che non ci uccide rende più forti!” Ma con altrettanta franchezza dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di affermare: AVEVAMO TORTO! Le sirene ci avevano incantato. Così come non dobbiamo fingere miserabili amnesie, altrimenti il “mea culpa” sarebbe falso! Ci sono tanti modi di perdere la verginità, cari camerati. Per amore, per passione, per paura, per tornaconto, per leggerezza, per avidità, per ebbrezza o per qualche stato di coscienza alterata, per vanità, per desiderio carnale, per gioco, per curiosità, per illusione, per violenza propria, per violenza altrui. Ma l’essenza non cambia: non possiamo più far finta di essere innocenti e casti. Ecco perché stavolta non partiremo: faremo tabula rasa degli ultimi quattro anni e cercheremo con ogni mezzo di RIALLACCIARCI ALLA LUNGA CATENA da cui c’eravamo staccati per MARCIARE SUL FUTURO! Avendo una visione classica e romana della vita, della morte, del mondo e del destino, crediamo che la perdita di verginità possa portare anche maturità e trasformare un adolescente in un uomo ed una ragazza in una madre! Crediamo che non tutto ciò che dorme sia morto, la storia ce lo insegna. Sappiamo benissimo che ora sono le tenebre a vincere, che tutto sembra buio, ma altrettanto bene sappiamo che “con l’arrivo della sera lentamente il sole muore, ma rinasce ogni mattina liberando il suo calore! E noi vogliamo ancora inseguire un’emozione, lasciarci portare via, abbracciare titanismi di altri tempi che si tingono di poesia. E quella rabbia troppo a lungo soffocata, col sorriso scaglierà fin sopra il cielo il nostro animo impazzito!” ECCO PERCHE’ NON ANDREMO AD ITACA! (Poi più che un’Odissea questa nuova avventura ci sembra una crociera mediterranea con a bordo nani e ballerine…) Vogliamo tornare ad essere ciò che siamo! Una Comunità umana e militante in primis, un esercito senza galloni né divise, una banda di scalcagnati, un manipolo di disperati, viandanti dei marciapiedi, bravi ragazzi dai sani principi, un movimento di ribelli. Magari con l’aiuto di un mondo: con l’esempio umano, comunitario, organizzativo e attivistico degli avanguardisti; con il dolore ed il sacrificio di chi ha lottato e caro ha pagato tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80. Con la passione di chi, dopo gli anni duri della repressione, senza paura, si rimise in gioco, penso al Movimento Politico, a Maurizio, ai fantastici ragazzi di via Domodossola. Magari rispolverando anche le nostre buone esperienze: la libreria Laboratorio d’Idee, Base Autonoma, la Fiamma, Casa Italia… Ripartire da quegli esempi e soprattutto da quello spirito, perché solo con quello spirito si vince la sfida decisa con noi stessi! Il mondo continua e continuerà a bruciare! Il dominio liberista continua a strangolare senza pietà popoli e nazioni, la giustizia sociale è diventata un miraggio, la terra dei padri è preda di clandestini e speculatori provenienti da ogni angolo del mondo: i primi ci invadono, i secondi ci saccheggiano. PER QUESTO NON VOGLIAMO, NON DOBBIAMO E NON POSSIAMO SOCCOMBERE SOTTO LE NOSTRE SCONFITTE ED I NOSTRI ERRORI, MA COME UNA FENICE DOBBIAMO RIGENERARCI E RINASCERE! Nei viaggi non ci crediamo più. Ne abbiamo fatti fin troppi! E come vogliamo essere severissimi con noi stessi, allo stesso tempo, con la stessa rigidità, non vogliamo più essere complici di chi sta bruciando la nostra terra e la sta svendendo ad una “banda di usurai” insaziabili. RICOMINCEREMO DA ZERO! Una volta per tutte. UNENDO CIO’ CHE E’ DIVISO! Riunendo TUTTI quelli che vogliono ancora mettersi in gioco, che vogliono donarsi, che vogliono sostenerci, che vogliono dimostrare davvero che un’altra vita è possibile! Non andremo a cercare gruppi o movimenti, con i nostri “colleghi” basterebbe tornare al rispetto reciproco e rigettare ogni polemica e ogni logica tribale, ma a ri-attivare quei tantissimi camerati isolati, sparsi, disorientati, senza più una casa, che attendono solo lo squillo del corno per tornare a lottare! Senza sterili ed inutili concorrenze. Lontani da veleni e vizi di superbia. Non servono idee nuove, quelle ce le hanno tramandate e sono sempre attualissime, servono uomini nuovi. PER NOI E’ GIUNTO IL MOMENTO DI FERMARCI. Piantare bene le radici, avere tanta pazienza ed tornare a costruire, passo dopo passo. Passi pesanti e lenti, ma inesorabili. Magari proprio dall’Augustus occupato, dall’Augustus Attivo. Occupanti e barricati, come i vecchi tempi. Giustamente qualcuno potrebbe accusarci e dirci: “e vi svegliate ora?” Si, ci svegliamo ora ed oggi (o meglio da quando Monti è salito a Palazzo Chigi!). E non cerchiamo giustificazioni. Per noi sarà sempre un monito quella stupenda canzone della Compagnia che dice: “(…) Cambian le facce signori, gira la ruota del tempo, ma la mia vecchia canzone si alza ancora nel vento. Stiamo buttando alle ortiche per inseguire il potere la nostra Fede più antica e le ragioni più vere (…) C’hanno detto "Ragazzi qualcuno si era sbagliato adesso tutto cambia, viva il libero mercato". Ma c'è qualcosa che stona in questo ragionamento, qualcosa che non perdona, qualcosa che resta nel vento. Saranno le voci di molti, che c’hanno già lasciato e non mi pare che siano morti gridando Viva il libero mercato! (...)” Canzone che ci farà sempre ricordare le nostre cadute! Ma anche che “grande non è chi non cade, ma chi cade e si rialza!” Così come sappiamo benissimo di essere sembrati o di essere stati schizzofrenici, incostanti, incoerenti, ma nonostante tutto NOI SIAMO ANCORA QUA! Affissione dopo affissione, volantinaggio dopo volantinaggio… Blitz dopo blitz. Con decine di denunce alle spalle. Con sgomberi ed arresti subiti (anche quando ce “la facevamo” con chi stava nelle stanze dei bottoni…). Molti se ne sono andati. Chi sbattendo la porta, moltissimi altri alla chetichella e a testa bassa. Altri, al rischio di sbagliare, hanno preferito non giocare la partita! A noi sembra troppo facile dire “non me la sento più”, “troppi tradimenti!”, “è tutto finito”, “quello ha sbagliato con me”, “Tizio non è bravo”, “Caio mi ha deluso”, “Abbiamo sbagliato tutto!”, “Un’altra cantonata!”… Un lamentio continuo. Come se chi è rimasto non abbia mai preso o dato cantonate. E spesso fa più male sbagliare che subire lo sbaglio! Insomma come cantano gli Junker: “Cala il sipario, si spengono le luci, quando si fa notte si abbassano le voci! Qualcuno si è smarrito, qualcuno ha rinunciato il senso della vita forse dimenticato!” “Poi all'improvviso tutto si confonde, la gente si disperde nel manto delle ombre. Sul nuovo palcoscenico sfilano in tanti, filosofi inventati che sorridono ai mercanti. E nell'agitazione, la paura dell’ignoto come un grido disperato che precipita nel vuoto. Tra gli sguardi e l’ironia che nascondono sgomento, ricercare uno spiraglio per salvare un sentimento!” Per tutto questo non saliamo su quella nave diretta ad Itaca, perché troppe volte cavalcare le onde è significato esserne travolti. Ora è il momento di tutt’altro. Non servono né navigazioni né ricerche, ognuno di noi sa benissimo dove risiede la verità. Oggi è solo il momento della SCELTA. Ed ecco la nostra: Noi scegliamo di azzerarci, di annullarci per ripartire immediatamente. Ma stavolta partendo dalle fondamenta, non dal tetto! Con la runa Kano, runa della fiaccola, del fuoco, della luce, della trasformazione; torcia che risplende nel buio della notte, che vince l’oscurità e rischiara le tenebre, che individua e risolve ogni lato oscuro. E con un martello per difenderci, da tutto e tutti e soprattutto per costruire!Un martello da portare in battaglia e scagliarlo verso le stelle… FACCIA AL SOLE E IN CULO AL MONDO! Scegliendo un marchio di fabbrica che non perderà mai significato! Perché è quello che eravamo e quello che vogliamo tornare ad essere: ATTIVISTI! Ma non solo nel termine di militanti, ma di coloro che vogliono riattivare una macchina spenta per troppo tempo. Riattivare forze, speranze, energie, solarità, goliardia, gioia e lotte! Con la consapevolezza che solo nelle strade, nelle piazze, nelle occupazione, nei turni, nelle mobilitazioni e nella militanza quotidiana si misurano le forze. Che una dottrina si legittima nell’attivismo e l’attivismo degli attivisti forgia la dottrina elevandola a virtù! Chiudiamo rifacendoci (e modificando) ad un vecchio volantino di Avanguardia: “NON VOGLIAMO CHE I NOSTRI GIORNI SI SOMIGLINO TUTTI, SCANDITI SOLTANTO DA UNA NOIA CHE NEMMENO GIUNGE A FERIRCI! CHE GLI ANNI SI SOMIGLINO AGLI ANNI! CHE INVECCHIANDO TRASMETTIAMO IL NOSTRO UMORE ACIDO ALLE NOSTRE DONNE ED AI FIGLI. NON VOGLIAMO SCOMPARIRE DAL MONDO SENZA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA. ANZI, VOGLIO RIDERE SULLE TOMBE DEGLI IMBECILLI. E GIURARE SULLE LORO TOMBE DI NON FINIRE COME LORO, DI NON ABBANDONARE MAI I SOGNI CHE CI FANNO GIOVANI, NE’ GLI IDEALI CHE CI FANNO LIBERI, IN RICCHEZZA E IN POVERTA’ FINCHE’ MORTE NON SOPRAGGIUNGA. AMEN”. gli ATTIVISTI

martedì 24 luglio 2012

Contro la dittatura bancaria e finanziaria.

Appello contro la Dittatura Bancaria e Tecnofinanziaria. No alla vita basata sul prestito e sull’usura. No al debito eterno degli Stati e dei Popoli. Il Popolo (attraverso lo Stato) torni titolare della Sovranità Monetaria. La questione della Sovranità Monetaria non è questione economica. Riguarda tutti gli aspetti della nostra vita. La Banca Centrale Europea, proprietà delle Banche Nazionali Europee, come Bankitalia, emette le banconote di Euro. Per questa stampa pretende un controvalore al 100% del valore nominale della banconota (100 Euro per la banconota da 100 Euro), appropriandosi del poter d’acquisto del denaro che crea a costo zero e senza garantirlo minimamente. E’ un’incredibile regalia truffaldina ai danni della popolazione intera. Gli Stati pagano questa cifra con titoli di Stato, quindi indebitandosi. Su questo debito inestinguibile, pagheranno (pagheremo) gli interessi passivi per sempre. Con le tasse dei cittadini, o vendendo a privati beni primari, come le fonti d’acqua od il patrimonio nazionale. Per contenere il debito pubblico, che è generato soprattutto dal costo dell’emissione del danaro che lo Stato paga alla BCE, ogni governo è costretto ad aumentare una pressione contributiva diretta ed indiretta sempre più alta nel tempo, che per alcuni soggetti, i più deboli, corrisponde ad un prelievo forzoso di oltre il 60% del proprio guadagno. Questo enorme profitto è incamerato ingiustamente, illegittimamente ed anticostituzionalmente dalla BCE, ovvero dai suoi soci, le Banche Nazionali, a loro volta controllate da soggetti privati. Queste Banche sono di proprietà privata, e, soprattutto, di gestione privata, anche se ingannevolmente vengono fatte passare per “pubbliche”. Gli utili che traggono dalla emissione monetaria vengono occultati attraverso bilanci ingannevoli, in cui si fa un’arbitraria compensazione dei guadagni da Signoraggio con inesistenti uscite patrimoniali. Dopo 60 anni di Signoraggio (il guadagno sull’emissione) esercitato da Bankitalia e BCE, l’Italia ha un enorme debito pubblico generato esclusivamente dai costi per l’emissione del danaro pagati alle Banche Centrali. Se l’emissione del danaro fosse stata affidata allo Stato, senza creare debito, oggi non avremmo un solo euro di debito pubblico e le tasse da reddito potrebbero non esistere od incidere minimamente sui redditi da lavoro. Tutti i costi sociali (pubblico impiego, opere, scuole, ospedali) si sarebbero potuti coprire con i proventi da IVA (imposta sul valore aggiunto) magari maggiorata al 30% per i prodotti di lusso e non popolari, e da tasse su transazioni soggette a pubblica registrazione. Senza usura contro lo Stato da parte delle Banche Centrali, che ha costretto lo Stato a vessare i propri cittadini con tasse spropositate, non bisognerebbe lavorare 30 anni per comprare una piccola casa, pagando tassi da usura. Non esisterebbe il degrado sociale, la povertà, il precariato, la delinquenza come mezzo di sopravvivenza di massa. Senza il Signoraggio gli Stati non avrebbero più debiti e non sarebbero più costretti a tassare e tartassare i propri cittadini, a sottoporli a forme di controllo poliziesco per la determinazione dei redditi. I guadagni da lavoro dipendente ed autonomo sarebbero tutti legittimi, provati e dichiarabili senza timore, senza evasione, senza elusione, e l’unica tassa da riscuotere sarebbe quella sull’acquisto di beni e servizi, favorendo quelli per la sussistenza con aliquote più basse ed alzando le aliquote per i prodotti voluttuari e di lusso.
Ritornando la sovranità monetaria nelle mani degli Stati sovrani si eliminerebbe il debito degli stessi e di conseguenza di larga parte della popolazione. L’esistenza di noi tutti, condizionata e vincolata fin dalla nascita dal principio usurocratico del debito sarebbe sollevata dall’angoscia da rata, da scoperto di conto corrente, da pignoramento, da sfratto, da banca dati della puntualità dei pagamenti. Le nostre vite sarebbero liberate dall’assillo del lavoro, del doppio lavoro, del bisogno di guadagnare tanto, per poi pagare il 60% del proprio guadagno allo Stato, perché lo Stato è sotto l’usura dei Banchieri. Merita trattazione a parte l’analisi delle influenze sulla nostra vita dell’assillo economico. Influenze negative di carattere psichico, culturale, sociale. Con i drammi della povertà, dell’emigrazione, del doppio lavoro familiare, del lavoro precario, del lavoro insicuro, delle pensioni minime, che, senza la voracità da usura delle Banche Centrali, si sarebbero potuti evitare. Sottoponiamo l’appello a semplici cittadini, giornalisti, artigiani, intellettuali, contestatori, anticonformisti, per promuovere la proposta di legge che faccia tornare l’emissione monetaria in mano statale, ovvero politica e popolare. Diffondiamo la verità negata: viviamo in una dittatura bancaria che impone a tutti l’angoscia esistenziale della vita basata sui debiti. Azzeriamo il debito degli Stati. Eliminiamo la schiavitù degli indebitati per sopravvivere. Riprendiamoci la nostra vita e la nostra libertà.

"Patto di Stabilità e MES: cappi al collo dei popoli"

PATTO DI STABILITÀ E MES, OVVERO GLI STRUMENTI DELLA BCE PER “COSTRUIRE” IL DEBITO PUBBLICO Lo scorso 19 luglio la Camera dei Deputati ha approvato il Patto di stabilità (Fiscal Compact) e il Meccanismo Europeo di Stabilità (acronimo inglese ESM ovvero Fondo Salva-Stati), a larga maggioranza senza batter ciglio, facendo trapelare la notizia in sordina tramite i mass media. Risultano, insomma, tutti allineati, governo, parlamentari, editori, giornalisti e ruffiani vari nel condannare l’Italia a essere indebitata fino allo scadere dei secoli. Considerando, infatti, che attualmente il debito pubblico del Bel Paese ammonta a circa 1930 miliardi di euro pari al 123,3 % del Pil (secondo solo al 132,4 % della Grecia), l’impegno di ridurlo fino al 60 % significa che lo Stato italiano dovrà trovare 61 miliardi all'anno per i prossimi 20 anni per ripianare il debito medesimo, cosa che si tradurrà, necessariamente, in ulteriori tagli alla spesa pubblica, a partire dalle già disastrate sanità e istruzione pubbliche, nonché in nuove tasse, quindi compressione dei consumi e nuova recessione. Nonostante ciò l'Italia si è impegnata a sborsare la quota di 125 miliardi di euro (dove li prendiamo?) per contribuire a costituire, appunto, il Fondo Salva-Stati. Eppure anche se Draghi e Barroso in testa, come anche la Merkel e altri, rassicurano che “l'euro è irreversibile”, Monti, dal canto suo, invita a "puntare sull'economia reale", in realtà i segnali della stessa economia non sono per niente rassicuranti e fra recessione sempre più depressa, riduzione delle esportazioni, PIL in calo e debito pubblico crescente in tutta la UE (non solo nell’area euro), con la conseguenza di fabbriche e aziende che chiudono i battenti, lasciando in mezzo alla strada milioni di disoccupati e giovani senza futuro, la crisi causata dall'euro sembra inarrestabile. Questo sistema in cui la moneta di valore creato virtualmente dal nulla, senza riscontro di una effettiva richiesta, è proprietà di istituti privati tramite le banche centrali dei vari Stati e quindi tramite la BCE (Banca Centrale Europea) che sola può emettere l'euro e non lo fa, pur in carenza di liquidità monetaria che tanti problemi sta comportando, certamente non può andare molto lontano. Il perché di questa riluttanza all’emissione è nelle parole di Mario Draghi, Governatore della stessa BCE “Il nostro mandato non è di risolvere i problemi finanziari degli Stati, ma di garantire la stabilità dei prezzi e mantenere la stabilità del sistema finanziario in autonomia”, ergo, non sono i Governi centrali a imporre alla BCE la propria politica finanziaria, bensì è esattamente il contrario. Ne è una riprova il fatto che sono state prescritte condizioni disumane agli Stati (Grecia in testa, ma non solo) per poter usufruire del credito e (provare a) ripianare il debito pubblico. Insomma la BCE non si preoccupa dei problemi economici e sociali dei singoli Stati, ma delle banche e istituti collegati sì, pretendendo un consistente intervento statale, con i soldi dei contribuenti italiani ed europei, quando le quotazioni di quelle società crollano in borsa. Infatti la BCE sostiene costi tipografici di 3 centesimi per qualsiasi banconota emessa, da 5 o 500 euro senza differenza, vendendola alle banche private (che partecipano al pacchetto azionario della stessa BCE, come già detto, tramite le banche centrali dei vari Stati…) e incassando l'1% del suo valore nominale quale interesse. A loro volta le banche rivendono la cartamoneta allo Stato a un tasso d’interesse ovviamente superiore in cambio di titoli di debito, quali i diversi tipi di buoni emessi dal Tesoro. Mediante questo perverso meccanismo viene “costruito” il debito pubblico che poi lo Stato replica tramite tasse e imposte verso i cittadini: pertanto quella che dovrebbe essere una sovranità monetaria popolare, e quindi una fonte di ricchezza per tutta la comunità, in realtà è ora trasformata in un gravoso debito. Infatti tutto il contante cartaceo circolante è gravato da interessi di signoraggio incassati dalle banche e, di conseguenza, da tasse che incombono sulle spalle dei contribuenti. Il problema di fondo è che la BCE, pur svolgendo un compito pubblico di fondamentale importanza, è una società per azioni di diritto privato con la più completa discrezionalità decisionale, controllata di fatto da banche private anche di Paesi fuori dall’area euro o addirittura extra-europei (ad es. Bank of England e Goldman Sachs). Gli accordi irreversibili recentemente sottoscritti dal Governo italiano sull’asse Brussels-Francoforte e ratificati dal Parlamento non hanno fatto altro che rafforzare le prerogative e lo strapotere di quei poteri forti di cui la BCE è solo una delle espressioni. Il lavoro, per chi lo manterrà, sarà finalizzato essenzialmente a guadagnare quel che serve a pagare, tramite tasse e imposte sempre più asfissianti, i debiti accumulati per le scelte disgraziate e complici di altri, senza alcun miglioramento dei servizi resi dallo Stato e della qualità della vita. Il salvataggio dell'euro, così come è, costerebbe salatissimo a tutti i comuni mortali europei: il ripristino della sovranità popolare della moneta, a livello europeo o nazionale, sarà prima o poi un passaggio obbligatorio per liberarsi dall’usura legalizzata del signoraggio privato, anche in considerazione delle crescenti tensioni sociali che stanno coinvolgendo tutte le categorie del settore pubblico come di quello privato. 23 luglio 2012 (Roberto Bevilacqua - “Alternativa Tricolore” componente interna al MSFT)

lunedì 23 luglio 2012

Un Fronte Nazionale contro la crisi della politica!

La crisi politica Quando avevo venti anni ero, come la maggior parte delle energie vitali della mia generazione, impegnato politicamente in modo notevole, posso dire che vivevo solo per quello. Il motivo di fondo del mio impegno nasceva dalla considerazione della crisi della società in cui vivevamo e che la crisi era di sistema. Il sistema partitocratico nato dalla sconfitta militare europea del 1945 era in crisi di rappresentatività, di partecipazione, di potere e noi cercavamo nuove forme che potessero far partecipare i cittadini alla gestione ed alla vita sia politica che economica della Nazione. Sono anni stupendi durante i quali, a destra come a sinistra, iniziano a elaborarsi nuovi e diversi documenti e proposte politiche; e queste proposte vengono richieste dalla piazza ed elaborate sul campo. Poi, per reprimere quel grande sogno, che stava addirittura portando, a poco più di venti anni dalla fine del conflitto civile che aveva tragicamente funestato l’Italia, al superamento delle contrapposizioni antifascismo-anticomunismo, “qualcuno” diede vita allo stragismo, alla strategia della tensione, che servì a ricreare gli opposti estremismi e condusse, come via obbligata, al terrorismo. Fu così che le giovani generazioni più vive e più autentiche furono prima criminalizzate e poi eliminate. Molti persero la vita, tanti passarono lunghi anni in carcere. I mediocri, quelli che oggi occupano gli spazi della politica, continuarono a proteggersi sotto l’ombra nefasta della partitocrazia, chiedendo pene severe per chi si ribellava ed imparando nel modo peggiore l’arte della corruzione e della concussione, e facendo squallide carriere all’ombra delle segreterie di partiti che tramavano nella costruzione e nello sfruttamento delle ore più buie della nostra storia recente: sono gli anni di piombo. Poi la sinistra tentò il recupero di quelle risorse: clamorosi i casi di Piperno, Sofri, Negri, Boato, D’Elia, ecc., cui mai è stato chiesto di rinnegare le proprie scelte politiche; la destra invece continuò nell’opera di demonizzazione di coloro che erano stati utili per consentirne la sopravvivenza, tranne qualche sporadico caso che, dopo opportune abiure e rinnegamenti, è servito soprattutto a drenare voti di preferenza. Fini, Alemanno, Gasparri sono stati campioni in materia di sfruttamento ed abiure. Oggi, dopo oltre quaranta anni, la crisi politica è sempre la stressa, anzi, la malattia, che all’epoca forse sarebbe stata curabile, è diventata incurabile. Il sistema dei partiti sta palesando tutta la sua farraginosità ed antidemocraticità. Esiste una frattura insanabile tra i partiti e i loro seguaci, da una parte, e la gente, dall’altra, tra la politica ed i partiti, tra la partecipazione e le forme istituzionali. Da quegli anni, che qualcuno ha definito “formidabili”, nessuno è stato capace di proporre cambiamenti radicali che ricreassero il contatto e l’accordo tra la gente e la politica, tra gli elettori e i loro rappresentanti, tra il popolo e le istituzioni. Lo spettacolo che i partiti ed i loro uomini stanno dando in questi giorni rappresenta veramente la chiusura tombale della stagione dei partiti: Lusi tesoriere della Margherita che si appropria di tredici milioni di euro dei rimborsi elettorali del suo partito; Rutelli, che di quel partito era il segretario, non se ne accorge, come Scaiola non si era accorto che aveva pagato casa metà prezzo; nessuno sa che fine ha fatto il patrimonio di Alleanza Nazionale, dei DS, dell’Italia dei Valori di Di Pietro; la Lega che investe soldi del partito in Africa; ma nessuno si chiede perché dei partiti politici, che dovrebbero essere al servizio dei cittadini, hanno dei patrimoni così ingenti e soprattutto come se li sono procurati. Personalmente faccio politica da tanti anni e probabilmente sono l’unico, o, nel migliore dei casi, uno dei pochissimi che in politica ci ha rimesso soldi; anche io ho preso il rimborso elettorale per le elezioni europee affrontate con Alternativa Sociale, ma quei soldi non sono stati sufficienti a coprire i debiti contratti dal mio partito. Come fanno costoro ad accumulare enormi patrimoni, per dipiù spendendo cifre da capogiro in propaganda, convegni, campagne elettorali? C’è da credere che corruzione e concussione siano gli strumenti attraverso cui si reperiscono fondi per sé stessi e per il partito: sono questi i veri costi della politica. Vogliamo tagliarli veramente questi costi? Non serve ridurre deputati e senatori o cancellare le provincie, sono i classici pannicelli caldi che tutt’al più riducono la rappresentatività delle minoranze, dobbiamo tagliare alla radice recidendo la fonte prima di questi costi: i partiti politici. Serve una grande riforma istituzionale e costituzionale, che consenta a tutti i cittadini di raccogliersi attorno ad idee condivise in occasione delle consultazioni elettorali e che li metta in condizione di poter esprimere le proprie scelte sia su base territoriale che in base alle funzioni che svolgono nella vita di ogni giorno, realizzando così una più autentica partecipazione. Regolamentare le campagne elettorali secondo rigidi protocolli operativi ed economici che determinino la fine del mercimonio dei consensi è un altro elemento di risparmio di risorse che va abbinato all’utilizzo in modo paritetico da parte di tutti i candidati degli strumenti di comunicazione di massa a costo zero. Ci vuole poco a realizzare una democrazia perfetta senza partiti, basta volerlo e, oggi, gli Italiani sono pronti. Ci libereremmo così in un solo colpo dei Monti, dei Casini, dei Bersani, dei Fini, dei Pisanu… Adriano Tilgher

Un Fronte Nazionale contro la piovra finanziaria!

EURO, RATING E SPREAD -Tre parolacce che celano una truffa internazionale- Dicono che esiste il diritto internazionale, dicono che viviamo in uno Stato di Diritto, che esistono la Carta dei Diritti dell’Uomo e Le Carte Costituzionali, in particolare quella italiana, che tutelano i diritti dei cittadini. Dovrei sentirmi al sicuro e tranquillo, invece mi sento preso per i “fondelli”. Da cosa deriva questa “strana” sensazione? E’ ovvio, da quello che accade in Italia, dalla differenza tra quello che dicono e quello che succede, dall’assoluta mancanza di una proposta politica, dal fatto che dovrei essere io, come cittadino, a decidere ed invece non conto nulla. Intanto abbiamo un governo imposto dalla pavidità e dall’ignavia dei deputati nominati dalle segreterie di quello che resta dei partiti; un governo di sedicenti tecnici, che, per aver fatto carriera nell’era dei politici corrotti e corruttori, devono essere fatti necessariamente della stessa pasta di quei politici. Poi, questo governo di non votati ci sta portando in un abisso reale, sia per la loro incapacità sostanziale, ma soprattutto perché sono agli ordini e al soldo di quelle lobbies internazionali che, colpite dal fallimento della logica liberista, stanno rastrellando il fondo del barile delle nazioni europee per una loro, tanto inutile, quanto criminale, sopravvivenza. Perché le società di rating, i cui soci sono prevalentemente i grossi fondi d’investimento, che sono i principali acquirenti dei titoli di debito degli stati, devono determinare la differenza tra i vari titoli (spread) degli stati e determinare, di conseguenza, il tasso di interesse che uno stato deve pagare sui vari Titoli? Questo, in uno stato di diritto, si chiama strozzinaggio. E fin qui siamo tutti d’accordo. Ma la truffa dove inizia? Semplicemente nel far credere che queste società di rating siano terze rispetto agli stati ed ai compratori dei titoli, per cui il tasso diventa oggettivo ed accettabile. Questo si ottiene con la complicità dei tecnici e dei politici fasulli di cui ci siamo dotati. I vari Casini, Bersani, Fini, Buttiglione… ci dicono che siamo sull’orlo di un baratro e questa azione terroristica ci convince ad accettare passivamente tutte le inutili manovre fiscali e tassazioni che non servono, come i dati odierni della borsa e dello spread dimostrano, a ridurre i rischi, ma soltanto a stremarci economicamente per gestire al meglio la nostra forza di risparmiatori e di creatori di economia. E’ un falso, ed è quindi un’informazione truffaldina, sostenere che la nostra crisi sia dovuta al forte indebitamento perché ci sono nazioni come il Giappone e la Gran Bretagna, indebitate molto più di noi che non vivono sotto il ricatto della crisi. La crisi italiana è una crisi indotta e costruita dalla BCE che ha ridotto la circolazione monetaria disponibile per l’Italia per cui le banche nazionali non sono più in condizioni, e comunque hanno controlli internazionali che lo impediscono, di finanziare famiglie ed imprese. L’ultima emissione monetaria importante, di svariati miliardi di euro, fatta dalla BCE al tasso dell’1%, alcuni mesi fa, è stata tutta utilizzata per comprare le cedole di debito pubblico italiano che, grazie allo spread truffa, è stato collocato a tassi di interesse superiore al 7% e se qualche comune mortale in quei giorni si fosse recato in banca per acquistare quei titoli così vantaggiosi, si sarebbe sentito rispondere che non c’erano. Questa è la prova provata che l’Italia non è in crisi perché hanno la certezza che noi pagheremo quei titoli a quei tassi. Se la crisi è nella scarsezza della circolazione monetaria, non servono tasse e IMU varie, servono intelligenza, coraggio e visione politica. Che l’euro sia stata una grande truffa, che il governo Prodi ci ha rifilato anni fa, credo che sia ormai notorio a tutti, basti pensare all’impoverimento immediato che c’è stato per tutti gli Italiani ed al dimezzamento del nostro potere d’acquisto rispetto al marco tedesco. La cosa più grave è che non solo non possiamo più emettere moneta, che non esiste un’attività politica, e quindi popolare, di controllo sull’emissione monetaria, che la moneta viene battuta dalla BCE che è una banca privata sottratta a qualsiasi tipo di controllo, ma addirittura l’euro una volta emesso ci viene addebitato per l’intero importo e non per il solo costo tipografico come sarebbe giusto. Tutto questo dimostra che l’ euro non è più proprietà dello stato, anche perché uno stato “Europa” non esiste, e quindi dei cittadini ma di questi enti privati che se ne sono impossessati con la complicità dei nostri sedicenti politici venduti e corrotti. Come uscirne? Semplice Intanto, se il problema è la scarsezza di circolazione monetaria, basta rimettersi a battere moneta. Usando una moneta nazionale per l’interno e l’euro per il commercio estero. La moneta nazionale, che possiamo tornare a chiamare Lira, avrà cambio paritario con l’euro (1lira = 1euro), e dovrà essere battuta da un ente di stato cui devono essere riconosciuti solo i costi di gestione e di stampa. In tal modo si avranno numerosi vantaggi di varia importanza. Per esempio i vari immigrati che fanno rimesse annue per svariati miliardi di euro nei loro paesi di origine, sottraendo così liquidità in circolazione, faranno versamenti in lire e lasceranno inalterata la quantità di euro circolante sul territorio nazionale, lo stesso dicasi per l’enorme afflusso di turisti, le amministrazioni pubbliche, poi, avranno a disposizione la liquidità sufficiente per pagare fornitori e imprese e potranno tornare ad essere volano dell’economia con conseguente aumento della produzione, dell’occupazione e dei consumi . Se a questo aggiungiamo che il denaro così emesso sarà accreditato e non addebitato alle casse dello stato ci rendiamo subito conto di quale enorme boccata di ossigeno daremmo alla nostra esausta economia. Ma questo non è sufficiente, occorre aggiungere tre importanti azioni: la prima, dobbiamo convincerci che ci si deve rimboccare le maniche e bisogna che, ognuno per la sua parte, si torni a studiare ed a lavorare, nel pubblico come nel privato; la seconda, il settore pubblico deve nel più breve tempo possibile recuperare efficienza, il che vuol dire che non servono i tagli, verticali o orizzontali che siano, ma che dovremo prendere dei provvedimenti, anche antisindacali, come rinunciare al “mansionamento”, ancorare la retribuzione alla produttività, creare un’ampia mobilità per decongestionare le strutture diventate mastodontiche per clientelismo e rinforzare quelle da sempre carenti (come tribunali, tutela del territorio,ecc.) e infine consentire di licenziare incapaci e lavativi; la terza, occorre che con un prestito forzoso tutto il debito pubblico ritorni in mani nazionali. Non ci vogliono scienziati per uscire da una crisi indotta come questa, serve buona volontà, onestà e amor di patria. Uniamoci, rimbocchiamoci le maniche e cacciamo questi finti tecnici voluti e sostenuti da finti politici. Adriano Tilgher

Sempre pronti a nuove sfide!

Destra per Milano aderisce al Progetto Itaca: per l'unità politica ed il rilancio culturale della destra italiana.

La Comunità Militante di DESTRA per MILANO, da sempre sostenitrice dell'unità politica e del rilancio culturale della destra italiana, aderisce, con convinzione ed entusiasmo, al Progetto ITACA: Laboratorio Politico per la Rinascita Italiana, promosso da Marcello Veneziani e Renato Besana. F.to Roberto Jonghi Lavarini
L'APPELLO D'ASCOLI Il seminario di Ascoli aspira a dare una voce, un collante e una prospettiva di rinascita a quell'arcipelago che in modo inadeguato e superato definiamo destra. Non è il ritorno al passato, ma vuol essere l'atto di nascita di una nuova storia e di un disegno prepolitico che vuol farsi politico. Ambizioso, ma senza illusioni. Non vogliamo rassegnarci al nulla, al vuoto e alla paralisi. Non vogliamo accettare come definitiva la morte della politica, la fine di ogni destra possibile, ideale e reale, sociale e nazionale, conservatrice e rivoluzionaria. E non vogliamo finire passivamente al rimorchio di leadership e rientrare in fasi che consideriamo concluse. In ogni caso la decisione nel merito scaturisca da un atto preliminare di autonomia. Vogliamo risvegliare la passione civile e ideale in un paese stanco e disperato e la difesa della sovranità, popolare e nazionale, statuale e politica. Siamo convinti che la crisi economica vada affrontata a partire da scelte che precedono l'economia. Vogliamo ripartire dalla tradizione come viva continuità con le origini e con il futuro; e dall'amor patrio come passione autentica per la nostra comunità. Vogliamo suscitare una nuova selezione fondata sul merito e sulla qualità ed esigere da chi fa politica che cooperi a selezionare giovani e donne, tecnici e outsider. Proprio perché siamo realisti non proponiamo di far nascere dal nulla un nuovo soggetto, ma di dar luogo a un incontro per rimettere insieme - in un movimento, in una fondazione, e poi eventualmente in un soggetto politico – le realtà esistenti, ovvero tutti coloro che provengono da destra o che non disdegnano di definirsi tali: dalla componente di Alleanza nazionale rimasta nel Pdl (ora in via di ritorno a Forza Italia) a la Destra guidata da Storace, dai componenti di Futuro e Libertà a tutta la galassia di circoli sparsi, movimenti e gruppi non allineati, associazioni e singoli che non intendono restare prigionieri del passato o di settari estremismi. Suggeriamo un passo indietro a tutti coloro che hanno espresso in prima linea questo ciclo ventennale; lasciando spazio a nuove leve, anzi aiutandole a emergere, favorendo il ricambio. Crediamo nell'autonomia della politica e ancor più della cultura; ma in alcuni momenti di svolta, come già accadde nel biennio 92-94, è dovere spingersi ai confini ed esporsi in un lavoro prepolitico. Non vogliamo veder finire così male quell'intreccio di idee e di esperienze, di radici e di consonanze, che in modo sbagliato seguitiamo a definire destra. C'è dentro la nostra vita, o una sua parte significativa, e non intendiamo lasciarla morire o svilire in una discarica. Permettendoci una parola pomposa e desueta, ma a noi cara, lo facciamo per l'onore, oltre che per il bene della nostra Patria. Il Seminario di Ascoli si propone perciò come promotore di un incontro prima che finisca l'estate con i segmenti politici più vivi ed attenti al fine di ritrovare le ragioni e le passioni di una nuova Alleanza. Si crei prima un ristretto intergruppo, costituito per metà da rappresentanti politici e per metà da extrapolitici che studi la possibilità di dar luogo una costituente, che dovrà poi selezionare i propri rappresentanti. Nessun nemico a destra, non ci poniamo contro; solo in favore della destra, dell'Italia e del suo rinnovamento. Il progetto finale è far nascere un soggetto unitario, sovrano e visibile, che decida se, in che modo e fino a che punto allearsi per incidere nella realtà, se preferire un ruolo di testimonianza e di opposizione; o se, in un mutato clima, diventare esso stesso il battistrada della rinascita italiana.
ITACA di Renato Besana Anche le parole hanno bisogno di manutenzione: destra, per esempio. Affinché continui ad avere un significato, o ne acquisti uno nuovo, al passo con la Storia, bisogna restituirle un progetto, nel qui e ora, lo sguardo rivolto al futuro. Questo l’argomento di lunghe conversazioni con Marcello Veneziani, dalle quali è scaturito un appello di venti righe, girato tra amici, e un nome: Itaca. La terra del ritorno, l’isola che c’è, lontana da utopie velleitarie, dove ritrovare la propria identità, che il lungo viaggio attraverso mari in tempesta ha forgiato in forme inattese e arricchito di esperienze. Nessuna nostalgia per il vecchio Msi, né per la diafana Alleanza nazionale, sparita in un pomeriggio senza una lacrima. L’idea è di aprire un laboratorio politico per la rinascita italiana, premessa a un rinnovamento non più eludibile, che non può certo ridursi a interventi di cosmesi. Veneziani ha poi tradotto questa linea ideale in un più articolato appello, apparso sulle pagine del Secolo d’Italia diretto da Marcello De Angelis. Ne è scaturito un dibattito cui hanno finora partecipato Ignazio La Russa, Massimo Corsaro, Altero Matteoli e Alfredo Mantica: emergono, dai loro interventi, dubbi e perplessità, suscitando l’impressione che giocassero in difesa. Non hanno forse compreso appieno lo spirito dell’iniziativa, che si rivolge a una vasta area oggi in frantumi, da Storace a Fini passando per il Pdl. “Né con te né senza di te”, dice l’epitaffio sulla tragica storia di due amanti in un vecchio film di Truffaut, “La signora della porta accanto”. Lo stesso potrebbe ripetersi, con qualche variante, per il Popolo della Libertà: né con Berlusconi né senza Berlusconi. Il partito ombrello sotto il quale si erano rifugiati, continuando a detestarsi, democristiani e socialisti, liberali e reduci di An, non ha retto al tramonto del leader, il cui ritorno, tuttavia, procurerebbe più guai di quanti riuscirebbe a parare. Il Pdl è ormai un brodo primordiale, nel quale nuotano persone rispettabili e vecchi marpioni, portaborse avidi e triciclati senza pudore, avventuristi e faccendieri, alla ricerca d’una scialuppa per salvarsi dal naufragio. Gli elettori non ne vogliono più sapere, come i turni amministrativi dello scorso anno e di questo hanno dimostrato senza possibilità di smentita. Qualcuno ancora vota di malavoglia, altri restano a casa, altri ancora, per rabbia e disincanto, si sono riversati sulle Cinque stelle di Grillo. C’è chi attende l’uomo nuovo, capace di guidare la riscossa. È un miraggio. Per quasi vent’anni l’arena della politica è stata dominata da partiti leaderistici: i berlusconiani, i dipietristi, i finiani, cui si sono da poco aggiunti i grillini (il cui personaggio bandiera preferisce però tenersi saggiamente in disparte). È questo modello a patire la crisi peggiore. Tra le forze in campo, a mostrare la migliore tenuta è il Pd, che non ha ceduto alla deriva personalistica. Un tempo, la politica poteva condurre alla notorietà; oggi è la notorietà che conduce alla politica. Montezemolo e Mentana vorrebbero costruirsi un partito, e chissà quanti altri. Non è la strada giusta: serve una classe dirigente diffusa, come quella che negli anni della ricostruzione risollevò l’Italia dalle macerie della guerra perduta. Ecco allora la necessità di riprendere l’iniziativa, discutere, confrontarsi. È importante fare rotta su Itaca per delineare prospettive credibili in un Paese che patisce la peggiore delle crisi, quella della idee. Come ha scritto Veneziani, è venuto il momento di stilare “un programma essenziale e popolare in una decina di punti per rilanciare su basi effettive una nuova rivoluzione conservatrice italiana, conservatrice sul piano dei principi e dei beni, rivoluzionaria sul piano delle innovazioni pubbliche e sociali”. L’ alternativa è una sola: la scomparsa. Ciascuno di noi è padrone del proprio destino: tutti insieme, dal basso, saremo il motore del cambiamento. Tenderemo l’arco di Ulisse per fare giustizia dei pretendenti che banchettano nella nostra casa: politici mediocri e corrotti, lacchè dei poteri bancari, demagoghi e moralisti. Una vastissima area è rimasta senza punti di riferimento; le istituzioni democratiche sono al minimo storico. C’è voglia di destra nel Paese: ora o mai più. (Post scriptum: chi ha preso questa iniziativa senza ripararsi sotto la coperta di alcun potere non mira a poltrone o sgabelli e non intende prestarsi a giochi di sorta, che poi si riducono a uno solo, quello delle tre tavolette. Il fine è di catalizzare le molte voci libere che si levano dal corpo vivo della nazione. C’è molto da dire e da fare).
IL MIO APPELLO A TUTTE LE DESTRE di Marcello Veneziani Rivolgo questo appello esplicitamente, anche se non esclusivamente, a chi proviene da destra. Un appello personale, di cui mi assumo intera la responsabilità, non concordato con nessuno. Mi rivolgo a chi proviene da Alleanza nazionale, dal vecchio Msi, dalle esperienze varie e anche non politiche di destra nazionale, sociale e i non allineati. E mi rivolgo apertamente e direttamente a chi attualmente esprime su posizioni diverse il desiderio di ricominciare daccapo. Dico dunque alla componente destra del Popolo delle Libertà, dico alla Destra di Storace, dico a Futuro e Libertà, dico alla galassia di nascenti movimenti, come gli azzeratori di Giorgia Meloni, i patrioti di Elena Donazzan, il Fuori di Galeazzo Bignami, RinascItalia di Elisabetta Foschi, e tutti coloro che in questo momento stanno dando vita a esperimenti, incontri, tentativi di ripartire. Senza escludere la galassia giovanile dispersa o ritrovatasi in comunità e circoli, case e movimenti. Infine considero chi, come me, viene dalla destra sfusa, pensa da anni in libertà e in solitudine, o non è impegnato in nessuna realtà vagamente politica. È ora di ricostruire un soggetto civile, prima che politico e culturale. È ora che si torni ad Itaca, come scrive in un appello che sottoscrivo, Renato Besana. È ora che si tenti, dico almeno si tenti, di ritrovare un motivo comune per rilanciare l’iniziativa politica. Accogliamo come dato di fatto il disarmo bilaterale: Berlusconi e Fini costituiscono inevitabilmente un ciclo concluso. La loro parabola di leader è finita, differiscono i nostri giudizi su di loro, ma non possono essere più motivo di unione né di divisione. Si deve fare un passo oltre. Si chiede un passo indietro anche a coloro che hanno rappresentato in questi vent’anni la destra e si selezionino giovani, donne e outsider per costituire il nucleo costituente. Non volevamo morire democristiani, ma non ci piace nemmeno finire grillini o montezemoliani. Si può agire all’interno del quadro bipolare, dunque collocandosi sul versante alternativo alla sinistra, ma occorre recuperare una propria linea d’azione e di pensiero. Anche perché nel paese esiste, come dimostra la nostra storia e il presente nel resto d’Europa, un’area che oscilla tra il dieci e il venti per cento, che aspetta un discorso serio di rinascita italiana. La Lega è ormai semidistrutta, il Pdl è dimezzato nei consensi e spappolato nelle sue interne spinte centrifughe, Futuro e Libertà vive con disagio all’ombra di Casini che peraltro gioca in autonomia e dichiara concluso il Terzo polo. Sintetizzando in una boutade sostengo che il Pdl, per accrescere l’offerta politica, deve spacchettarsi in P, D e L, ovvero Popolari, Destra e Liberali. C’è un potenziale bacino di consensi per chi con tempismo e attraverso volti e temi giusti riesce a interpretare il disagio presente, la voglia di futuro ma anche la memoria storica. Come mi è capitato di dire e di scrivere, è il momento giusto, per far nascere un’Altra Storia. Un movimento rigoroso e forte, duttile ai fianchi ma duro al centro, onesto e animato da passione civile, etica e ideale, un amor patrio di quelli che non odorano di stucco e rimmel ma vero e severo, che fa tornare il gusto della politica. Stavolta non si lascia il monopolio dell’etica alla retorica partigiana della sinistra, non si lascia l’esclusiva della sobrietà ai tecnici, non si lascia ai giudici stabilire l’onestà, non si lascia la rabbia popolare ai grillini. Si fa sul serio. Si chiamano i migliori, si usano i tecnici per raddrizzar la barca ma senza dar loro il comando: devono risponderne, e non alle banche o ai poteri esteri ma alla politica e al popolo italiano. Il primo atto è la selezione, la cerca dei dieci, e dai dieci dei cento e dai cento dei mille, per costituire una nuova élite, con fresche energie, scegliendo il meglio che c’è nel paese; il minimo indispensabile tra chi c’era prima, gli altri a casa o in fila senza priorità d’imbarco. E poi un programma essenziale e popolare in una decina di punti per rilanciare su basi effettive una nuova rivoluzione conservatrice italiana, conservatrice sul piano dei principi e dei beni, rivoluzionaria sul piano delle innovazioni pubbliche e sociali. L’alternativa è fingere che nulla sia accaduto, accodarsi ai vecchi capi, assistere inermi alla scomparsa, affondare indecorosamente per non osare. C’è un’estate intera per fondare il nuovo o finire nel nulla. Chi mi legge sa quanto sia lontano ormai da anni, dalla politica; ma, senza mutare indirizzo e soprattutto indole, è tempo di innescare un movimento vitale come quello che sorse, giusto vent’anni fa, con L’ Italia settimanale, che fu battistrada di molti eventi e coalizioni. Deponete i rancori, incontratevi, cercate la linea comune. Da soli non ce la fate, andrete al rimorchio se non al guinzaglio o finite fuori dal gioco. Abbiate il coraggio di sacrificare qualcosa e qualcuno per far nascere un vero soggetto politico, in grado di splendere da solo e di allearsi ma in funzione trainante e non passiva, capace di egemonizzare e non di accodarsi. Lo dico per l’Italia, per noi e per chi ha nostalgia del futuro.

Ritorno ad Itaca: formiamo l'equipaggio...

Editoriale Ascoli: è iniziato il viaggio per Itaca Non sarà facile, la rotta è appena abbozzata e l'equipaggio deve essere ancora raccolto, ma intanto... di Sandro Giovannini n una ambientazione del tutto evocativa e con un supporto sobrio ed efficiente abbiamo partecipato a questo primo incontro ascoltando con attenzione tutte le comunicazioni, da quelle introduttive di Besana e Veneziani a quelle dei molti intervenuti, infine al programmato resoconto-comunicato stampa conclusivo di Veneziani al termine della giornata. In un quadro di potenzialità prepolitica che verifichi un definitivo superamento dei decenni di subalternità e riconforti un’eredità inequivoca ed attualmente dispersa in varie tribù delle ‘destre e non solo’ assieme ad una tensione generativa di nuove auspicate sintesi, le ipotesi prospettate dal proemio per i destinatari-partecipanti all’appello erano tre: fondazione, movimento, partito. Il quadro problematico si complica ulteriormente rispetto all’eventualità della terza scelta: salda e/o isolata testimonianza, strumento di accordi condizionati/nti, reale primato se non di potere almeno di rappresentanza. Gli interventi si sono tutti sostanzialmente confrontati poi entro tale cornice alternando considerazioni più decisamente culturali ad altre più strettamente politiche, tutte però, a mio avviso, ormai sostanzialmente consapevoli, ad di là dei prevedibili accenti personali dovuti alle relative scie esistenziali, dell’irrecuperabilità - secondo gli schemi correnti - di una storia recente costellata di molti errori di strategia e tattica e di ingiustificabili irresponsabilità personali. Anche il nostro amico Francesco Sacconi è intervenuto efficacemente con una concentrata serie di domande sempre affacciate da Nuova Oggettività. Complessivamente si auspica la formazione – comunque poi realmente si strutturi – di un movimento che favorisca la nascita poi di un nuovo reale referente politico che sappia tenere i fili di una eredità storica e nello stesso tempo possa determinare una nuova trainante presenza di valori e comportamenti. Fin qui un quadro che ho cercato di rappresentare con una sintesi il più oggettiva possibile. Quali invece le mie impressioni personali, dopo un attento ascolto senza intervento alcuno? 1) In un certo senso sono stato stupito della velocità con la quale un progetto del genere (di tale ambizione sia pur responsabilmente ed intelligentemente presentato su di un orizzonte metodologico del tutto problematico) possa essere varato. Rispetto ai temi ed ai tempi che mi sono sembrati necessari, ad esempio, per avviare processi similari, (la Nuova Destra... la Nuova Oggettività, a puro titolo di esempio, senza minimamente considerare elementi di merito) tutto ciò mi è parso segnato da una necessità stringente. La qualcosa non è detto che sia, però, in tale momento di drammatica emergenza, in sé una cosa negativa. Ci sono addirittura ormai molti segnali in partenza da vari luoghi della sofferenza non solo politica ma più latamente civile e sociale, che non riescono più ad ascoltare se non comunicazioni estremamente concentrate e direttamente legate alla concretezza operativa... Capirete che tale perplessità si lega ad molte possibili riflessioni di metodo e merito. 2) Altra cosa che mi ha stupito è la facilità estrema con la quale molti liquidano come esteriore e con fastidio, la diatriba “destra-non destra-al di là della destra e della sinistra”. Infatti, pur comprendendo in pieno la nausea, ormai procurata per lo più però dall’insistere gazzettiero ultratrentennale sul problema senza una vera possibile soluzione di sintesi che non sia l’aureo richiamo ad un ossimoro storico pieno di drammaticità e nello stesso tempo di comprovata valenza creativa (e potenzialità future in mutate condizioni), resta il fatto che qui un vero approfondimento concettuale almeno dei termini della questione, non si è avuto modo e tempo mai di farlo veramente, nelle sedi più opportune che avessero poi però un collegamento ampio con le sensibilità più estese, e quindi poter far partecipare la maggior parte possibile, senza irosità e senza dileggio alcuno, e senza eccessivi facilismi, il tutto in vista di un risultato produttivo. Per quanto mi riguarda dato il riferimento aureo di cui sopra è chiara la mia posizione personale: essere di vera destra e di vera sinistra, nel medesimo tempo, non è una contraddizione negativa od una furbesca soluzione ma una potenzialità positiva di tensione dialettica espressa dalla potenzialità partecipativa in chiave di volta (e di svolta) non solo tecnica ma primieramente spirituale. Pertanto la scelta comunitarista, differenzialista, anticapitalista, antiglobalista, è irrinunciabile. Ciò nel segno di una continuità storica ed in favore di sempre nuove possibili auspicate sintesi, senza farsi travolgere dal sospetto dei falsi amici e dai semplificatori di turno, dalla malafede di validamente ineliminabili ed autentici avversari, dallo scetticismo sempre feroce dei moderati e dal giudizio comunque ingenerosamente stitico o perdutamente malevolo sempre in agguato... Per il resto (ma queste due perplessità non sono né di poco conto né di poca rilevanza sia per le implicanze di metodo che di merito), per quanto posso capire sia a livello intuitivo che più riflesso, tale percorso lo accolgo con piena e fiduciosa speranza e so che questo creerà anche sconcerto tra alcuni amici che io autenticamente e non solo formalmente stimo per forza, dignità, coerenza. In tale scelta metto a rischio, sappiamo bene senza alcun tipo di paracadute e ne sono pienamente consapevole, un lavoro comunitario di anni, ma oltre alla speranza di essere pienamente compreso, reputo che il primo dovere di ciascuno è di essere autenticamente responsabile.