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Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo
Per iniziativa della casa editrice Il Giglio, di Napoli, è stata pubblicata la più recente edizione di una delle opere più famose di Plinio Corrêa de Oliveira: «Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo». Scritta nel 1965, l’opera denuncia una delle più insidiose manovre rivoluzionarie, tesa a cambiare subdolamente la mentalità delle persone attraverso ben studiate tecniche dimanipolazione psicologica, come l’utilizzo di “parole talismano”.
Nel 1965 «Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo» fu pubblicato sul mensile brasiliano “Catolicismo”. L’anno successivo fu ristampato in un volume. Nel tempo, si sono succedute cinque edizioni in lingua portoghese, sei in spagnolo, una in tedesco e una in italiano, raggiungendo un totale di 136.500 copie diffuse. Il saggio, inoltre, è stato pubblicato su numerose riviste brasiliane, argentine, cilene, colombiane, statunitensi, portoghesi e spagnole.
In Italia, una prima traduzione, curata da Giovanni Cantoni e da Silvio Vitale, fu pubblicata nel 1970 a Napoli, per le edizioni de «L’Alfiere». A 47 anni dalla sua uscita, l’Editoriale Il Giglio ne ha curato una nuova edizione, affidando la traduzione dall’originale portoghese a Guido Vignelli.
Benché il testo sia contestualizzato ad un preciso momento storico-politico, la tecnica del dialogo che vi è svelata e descritta nelle sue diverse fasi non ha perso di attualità poiché ha continuato ad essere utilizzata costantemente fino ai nostri giorni, producendo effetti di notevole rilievo sul piano culturale ed identitario. Effetti che il lettore potrà facilmente cogliere, anche grazie alla postfazione al testo, “Il mito del dialogo relativista. Una strategia di conquista che continua”, scritta da Guido Vignelli.
S.A.I.R Bertrand de Orléans e Bragança, Principe Imperiale del Brasile, pronipote di Teresa Cristina di Borbone-Due Sicilie, ha firmato la presentazione del volume.
Gli anni Sessanta si aprirono all’insegna di un generalizzato ottimismo, nella convinzione che, memore della lezione ricevuta dalla guerra da poco finita, il mondo si avviasse ad un’era di pace e benessere fondata su un “umanesimo laico” condivisibile da tutti, indipendentemente dalle diverse posizioni ideologiche, politiche, religiose o razziali.
Questo clima venne rappresentato in particolare da tre personaggi, attorno ai quali i mass media costruirono un alone quasi mitico che ancora resiste: il presidente USA J. F. Kennedy, che aprì il suo mandato prefigurando una “nuova frontiera ricca di sconosciute occasioni”; il leader sovietico Nikita Krusciov, che aprì la fase della “destalinizzazione”; il pontefice Giovanni XXIII, che aprì la Chiesa “al mondo”, con l’“aggiornamento” e la forte impronta ecumenica negli anni post-conciliari.
L’impatto mediatico di queste tre icone produsse l’aspettativa di un “nuovo ordine mondiale” ormai a portata di mano, nel quale qualsiasi contrapposizione potesse essere ridotta a semplice “confronto” da appianare attraverso il “dialogo”, ed in questa prospettiva venne enfatizzato il ruolo di organizzazioni internazionali come l'ONU o la CEE, embrione della futura Unione Europea.
Si diffuse, così, l’idea che il dialogo dovesse essere lo strumento per dirimere qualunque divergenza, politica, confessionale, civile, etica. All’opinione pubblica, però, non fu spiegato che, al di sotto dell’idilliaca superficie, quella del dialogo era una tecnica precisa, che sottintendeva la negoziabilità di qualunque principio, che imponeva la rinuncia all’esistenza di qualsiasi verità, che stabiliva le premesse perché, col tempo e con una serie progressiva di mediazioni, i principi stessi finissero per essere svuotati di senso. Una tecnica che obbligava ad una continua trattativa, ad un continuo e incalzante compromesso, pur di tenere aperto il tavolo di mediazione con la parte avversa.
Sostenuto dai mezzi di informazione, in breve tempo il dialogo divenne in tutti i settori “il” valore da ricercare ad ogni costo: prescindendo dal suo contenuto e dalle conseguenze, qualunque mediazione era considerata un obiettivo positivo purché fosse frutto del dialogo tra le parti. Si affermò quindi, il primato del dialogo sulla verità: un errore sempre inaccettabile, sia quando i dialoganti sono in buona fede, sia nel caso contrario, quando la parte in buona fede è di fatto alla mercé della parte in malafede.
Ciò nonostante, negli anni Sessanta influenti élites intellettuali, mediatiche, politiche ed ecclesiastiche, soprattutto in campo cattolico, lo adottarono come approccio privilegiato alla costruzione e al mantenimento degli equilibri interni ed internazionali tra i due grandi blocchi che si fronteggiavano all'epoca. Questa adesione, in realtà, affondava le radici in una sorta di “complesso di inferiorità culturale” che già allora si era diffuso in molti ambienti di ispirazione cattolica rispetto a quelli di formazione marxista, laicista, protestantica. Molti intellettuali erano convinti, infatti, che la direzione impressa alla storia dal progresso fosse irreversibile, che il comunismo fosse una necessaria tappa del processo in cui, tutt’al più, alcuni eccessi dovevano essere smussati, che il cattolicesimo dovesse rinunciare a forme esteriori e posizioni dottrinali “integriste”, considerate inadatte alle moderne concezioni di libertà di opinione, di critica e di scelta.
A Plinio Corrêa de Oliveira va il merito di aver denunciato la dinamica progressiva, che sposta sempre più avanti il traguardo del dialogo, definendo sistematicamente ogni mediazione raggiunta come “promettente” ma “insufficiente”. In questo modo, il dialogante estremista spinge il moderato a concessioni sempre maggiori, accompagnandolo verso un inavvertito trasbordo ideologico che lo porterà ad abbandonare le posizioni tradizionali per assumere quelle rivoluzionarie. Il dialogo, infatti, è la strategia utilizzata per «creare una verità fittizia che giustifichi un accordo sociale … capace di assicurare certi risultati pratici: l’unione e la pace mondiale, il benessere, i diritti umani, l’ecumenismo, la salvaguardia della natura. Insomma, si mira a realizzare non più l’unità nella verità, ma al contrario la verità nell’unità: diventa vero ciò che mette d’accordo tutti – o almeno la maggioranza, o almeno i più influenti – mediante un compromesso che realizzi una “nuova sintesi condivisa”».
Questa tecnica, adoperata su larga scala dai progressisti di ogni matrice negli anni ’60 e ’70, non è stata abbandonata, ma al contrario è stata diffusa a tutti i livelli, rivestita da un’aura di “buonismo”, di “equilibrio”, di “rispetto delle differenze”. La sua più recente versione è quel politically correct che permea ogni settore e che viene brandito ad ogni pie’ sospinto per mettere a tacere chi osi affermare un qualsiasi principio. Quel politically correct che, tanto per fare un esempio, in nome della libertà religiosa garantita a tutti impedisce ai cattolici di mostrare i propri simboli perché non graditi ai fedeli di altro credo ed espelle Gesù Bambino dalle recite scolastiche di Natale. Quel politically correct che in pratica impedisce i cattolici di insegnare il Magistero della Chiesa in tema di omosessualità, per non essere condannati come “omofobi”. Quel politically correct che, in piena era di ecumenismo, permette l’efferata persecuzioni ai cristiani in terre a maggioranza islamica nonché nei Paesi ancora comunisti.
Quel politically correct che si sta velocemente trasformando nella dittatura del relativismo denunciata da Benedetto XVI.
Intervista a Guido Vignelli, curatore dell’edizione
Contro il dialogo relativista: attualità di una storica denuncia
Perché mai ristampare un libro di quasi 50 anni fa, che tratta questioni legate alla sua epoca?
Il saggio del prof. Plinio Corrêa de Oliveira prende spunto da vicende passate come la “distensione” tra Est ed Ovest. Tuttavia esso ha una indiscutibile attualità, perché analizza, denuncia e confuta un metodo propagandistico – quello del “trasbordo mediante dialogo” – che viene ancor oggi usato dalle forze rivoluzionarie per traviare l’opinione pubblica, soprattutto se cristiana. Pertanto questo saggio resta uno strumento indispensabile, sia perché smaschera e confuta il falso dialogo pacifista e relativista, sia perché permette di sostituirlo col vero dialogo, ossia quello apostolico e apologetico.
Questo libro è un classico del pensiero cattolico contro-rivoluzionario, tuttora fondamentale per tre motivi. Primo: fece, a suo tempo, una profetica denuncia del “dialogo” pacifista e relativista, prevedendone le rovinose conseguenze che poi si sono realizzate; secondo, esso mantiene una scottante attualità, che ci permette di cogliere ed evitare analoghi pericoli incombenti; terzo, esso delinea una strategia di riscossa, che contribuirà a salvare la residua civiltà cristiana dalle insidie che la minacciano; se infatti il recente passato ha dato ragione all’Autore, ancor più gliene darà il prossimo futuro.
Quali sono le differenze tra il “dialogo” di ieri e quello di oggi?
Tra gli anni Sessanta e Ottanta, il metodo del “trasbordo mediante il dialogo” fu usato soprattutto per impedire all’Occidente e alla Chiesa di combattere il comunismo e il progressismo. Oggi invece quel metodo è usato, nel campo religioso, per disorientare e addormentare i cristiani e, nel campo culturale, per intimorire e paralizzare l’Occidente e per favorire il potere mondialista emergente. Si pensi al ruolo, oggi, svolto dal “dialogo” nel dibattito su immigrazione, globalizzazione, multiculturalismo, solidarismo, soprattutto nel dibattito sul problema islamico.
Secondo i promotori più esigenti del “dialogo”, esso non si sarebbe realizzato in modo abbastanza radicale e audace, perché la tesi e l’antitesi, invece di scontrarsi producendo la sintesi, si sono accomodate in ipocriti compromessi, impantanando così il processo rivoluzionario. Pertanto il nuovo contesto rivoluzionario ha imposto al “dialogo” una metamorfosi. Lungi dall’attenuare le “diversità” riducendole a un minimo comun denominatore, il nuovo “dialogo” mira a esasperarle fino a suscitare uno scontro capace di creare una sintesi. Infatti, le forze dominanti, da quella mass-mediatica fino a quella terroristica, spingono opposte fazioni ideologiche, politiche e religiose a radicalizzare le loro “identità” (vere o fittizie) per suscitare uno scontro multipolare che produca un “salto di qualità” capace di avviare “un nuovo inizio” facendo ripartire la rivoluzione in crisi.
Ad esempio, alcuni sostengono che, per realizzare quella solidarietà universale che sola salverà la pace, bisogna andare oltre il dialogo, passando dalla “condivisione con l’altro” alla “inclusione dell’altro” e infine alla “identificazione con l’altro” mediante “reciproca accoglienza” e “piena integrazione” in un nuovo sistema multiculturale e multireligioso. Pertanto, si pretende che l’europeo, soprattutto se cristiano, abbia l’obbligo di assicurare non solo ospitalità territoriale e assistenza sociale, ma anche “ospitalità ideologica”, diritti politici e riconoscimenti giuridici a tutte le etnie, tribù, comunità e sette religiose immigrate.
Come vanno realizzandosi le condizioni di questo nuovo “dialogo” conflittuale?
Ormai l’opinione pubblica benpensante, per quanto avvelenata dal relativismo e indebolita dalla corruzione morale, sta rendendosi conto che questa “solidarietà fra estranei” produrrà non la pace, ma anzi la conflittualità permanente e la guerra civile planetaria. Allora il nuovo “dialogo” serve a superare la resistenza dei “moderati” usando gli stessi metodi di quello vecchio, ossia sfruttando le loro debolezze. Questo procedimento si svolge in un clima di ricatto psicologico, di pressione mediatica, d’insicurezza politica, di rivolta sociale, di persecuzione giudiziaria, talvolta anche d’intimidazione terroristica. Infatti, le sette rivoluzionarie stanno propagando una cristianofobia che pretende di ridurre al silenzio, all’isolamento e all’impotenza quelle forze cattoliche che sono in possesso della verità e tentano di farla rispettare nella vita civile.
Di conseguenza, i poteri laicisti stanno organizzando una nuova persecuzione anticristiana fatta in nome del “pluralismo”, della “libertà” e della “uguaglianza” anti-discriminatoria. Ormai ad essere vietate non sono più solo le verità soprannaturali, ma anche quelle naturali che favoriscono la rinascita religiosa; ad essere attaccata non è più solo la Chiesa nel suo potere, ma anche nella sua mera influenza e anzi nella sua stessa sopravvivenza. Mass-media, università, magistrature, autorità politiche e religiose combattono non solo il generico Cristianesimo, ma anche la Chiesa cattolica, il clero e il Papa, avvertendoli che si trovano in stato di libertà vigilata e ammonendoli ad attenersi al “religiosamente corretto”, se non vogliono essere annientati. Pertanto, la difesa della fede cristiana è ormai diventata anche una questione di libertà religiosa, culturale e politica; ma questa libertà possiamo riconquistarla solo guarendo dal morbo relativista, rifiutando il dialogo pacifista e soprattutto recuperando lo spirito della militanza cattolica.
La riscossa cristiana presuppone una rinascita spirituale che si basa sul rilancio della Chiesa come società militante, della vita cristiana come lotta. Bisogna opporre quello spirito d’intransigenza, di missione e di crociata, che ieri ha costruito la Cristianità, a quello spirito del dialogo pacifista, relativista ed egualitario, che oggi tenta di distruggerla.
La battaglia per la verità è giunta alla fase cruciale, per cui ogni prospettiva di “mediazione” e di compromesso è destinata al fallimento. I timidi e distratti uomini d’oggi iniziano ormai a rendersene conto perché costretti dalla dura lezione dei fatti, perché patiscono nella loro vita quotidiana le dolorose conseguenze della pubblica apostasia. Ma il prof. Corrê de Oliveira aveva compreso e insegnato tutto questo molto tempo fa, svolgendo quel ruolo profetico tipico di chi illumina le future generazioni preparandole alla loro missione: «Facesti come quei che va di notte / portando il lume dietro, e a sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte» [Dante Alighieri, La Divina Commedia - Purgatorio, canto XXII, vv. 67-69]. Anche per questo, la futura Cristianità restaurata lo celebrerà usando le parole incise sulla sua tomba: vir catholicus, totus apostolicus, plene romanus.
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