La notizia è di quelle che dovrebbero far riflettere. Sergio Ramelli era un ragazzo di non ancora 18 anni che aderiva al Fronte della Gioventù di Milano. Non fu mai coinvolto in violenze di alcun tipo. Era stato costretto dagli extraparlamentari di sinistra a cambiare scuola, era stato cacciato perché “fascista”. Un giorno, all’ora di pranzo, lo attesero sotto casa sua e lo massacrarono a colpi di chiavi inglese, senza che lui avesse fatto nulla. Dopo 47 giorni di agonia morì. Era il 29 aprile del 1975. Il giorno del funerale molti missini furono denunciati per adunata sediziosa. Dal vicino collettivo di Medicina gruppettari fotografarono i partecipanti alle esequie, foto ritrovate successivamente in un covo terrorista. Ogni anno l’omicidio di Ramelli è commemorato con iniziative di vario genere. La notizia è questa: il presidente e consiglieri di sinistra del consiglio di zona 3 di Milano, ossia quello di Città Studi, hanno approvato una mozione con cui si chiede di vietare la commemorazione della morte di Sergio Ramelli. Dopo quasi quarant’anni. E malgrado tutti i problemi che ha Milano, il consiglio ritiene questa una priorità.
È ovvio che non è compito del consiglio di zona vietare o meno un corteo, ma è altrettanto ovvio che la sinistra vuole far arrivare la questione a Palazzo Marino, che il potere di vietare i cortei ce l’ha. Tuttavia, a quanto si apprende, l’iniziativa liberticida mostra già qualche crepa, poiché alcuni esponenti della maggioranza si sono tirati indietro, sottolineando come in questi casi – si parla di un 18enne massacrato – debba prevalere il diritto a manifestare. Sulla vicenda, che sembra riportare Milano al clima di odio degli anni Settanta, interviene con un articolo su Libero Guido Salvini, il magistrato che scovò gli assassini di Ramelli, sia pure molti anni dopo. Gli assassini, otto, facevano parte del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia ed erano studenti di Medicina, tanto è che in seguito erano diventati medici. Senza, osserva Salvini, che mai un pentimento li abbia sfiorati. Il giudice ci racconta che gli otto furono condannati a pene piuttosto lievi e che dopo qualche anno tornarono tutti alla loro professione. Salvini ritiene che il diritto a manifestare sia importante, e che per le temute esibizioni fasciste le forze dell’ordine siano in grado di punire i responsabili. «Invocare la proibizione del corteo – dice Salvini – resta quindi l’espressione di una concezione politica abbastanza primordiale». E meno male.
Il magistrato propone quindi di effettuare un incontro su quegli anni e su quei fatti, al quale invitare i protagonisti di una parte e dell’altra. Anche perché, ricorda Salvini, le commemorazioni per i morti di sinistra a Milano si fanno ogni anno, senza che nessuno si sogni di chiederne la proibizione, con tanto di patrocinio del Comune. Insomma, il magistrato propone di discutere e non proibire, sentendo quelli che negli anni Settanta facevano politica a Milano, come Ignazio La Russa da una parte e Stefano Boeri dall’altra. Salvini nell’articolo cita anche i casi dei giovani di sinistra Varalli e Zibecchi, morti in quel periodo, ma ricorderà certo il giudice che le circostanze della loro morte – rispetto a quella di Ramelli – furono diverse e soprattutto ricorderà da quale parte venivano gli assalti armati e violenti: la notte prima della morte di Ramelli il Giornale di Montanelli fu occupato da extraparlamentari di sinistra armati di pistole e spranghe che impedirono la diffusione del giornale solo perché avevano saputo che il quotidiano intendeva dare una versione corretta dei fatti, ossia classificare i comunisti come aggressori. Ben venga l’incontro con tutti, ma propedeutico sarebbe da parte delle sinistre non chiedere di vietare di commemorare i caduti di una parte mentre poi commemora i suoi. I morti non sono di serie A o di serie B.
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