di Mario M. Merlino
Sull’Idea di Stato in Platone s’è detto, ricordando fra l’altro il contributo dato da Adriano Romualdi che ricordava, fra l’altro, quanto esso fosse stato lodato dagli studiosi nazional-socialisti. Hueter des Lebens (custode della vita), ad esempio. In particolare l’eugenetica, la selezione dei migliori, affascinava i cultori della razza nordica. Tema questo già riproposto ne La Città del Sole di Tommaso Campanella mentre trascorreva, fingendosi pazzo e sottoposto a periodiche terapie di tortura, ventisette anni nelle carceri spagnole di Napoli. Una idea, un Platone affascinati dalle virtù guerriere di Sparta, l’ideale della kalos-kai-agathia (una sorta di equivalente del romano ‘mens sana in corpore sano’), di cui erano particolarmente cultori i giovani dell’aristocrazia greca. Anche se l’insistere troppo su questa influenza mi solleva qualche perplessità– e lo stesso Platone, consapevole delle difformità, ne evidenziava alcune -.Intanto egli è un ateniese, critico severo e coinvolto nei confronti di quella democrazia che ha portato il disordine e l’assassinio di Socrate, ma pur sempre un ateniese e cioè cittadino della Polis (un arroccamento identitario e, potremmo dire, alquanto provinciale). E Sparta è la rivale che, se non la si è battuta con le armi, la si può dispregiare per i suoi primitivi e incolti costumi. Nel Novecento abbiamo appreso ad usare lo stesso metro, ad esempio, verso i tedeschi, guerrieri sì indiscussi ma di barbara ferocia… Inoltre egli intende trattare di ciò che è vero e bello e giusto, di quel mondo delle idee, che porta in sé la perfezione non contaminata né contaminabile dall’imperfezione della natura degli uomini, ‘pallide ombre di sogno’.
La grandezza di Platone sta proprio in questo. Egli sa offrirci uno scenario ove ognuno di noi può trovare linfa vitale proprio perché ha saputo elevarsi oltre il suo presente in nome di un principio più solido di solida pietra. Certo lo possiamo disattendere criticare dispregiare (immaginate, ad esempio, un nichilista e anarco-fascista quanto possa essere sospettoso e irridente!), ma non c’è concesso metterlo sullo stesso piano degli omuncoli che, simili ai giocatori delle tre carte, si arrogano il diritto di turlupinare la nostra esistenza e intelligenza con piani quinquennali governi tecnici grandi piccole coalizioni e ‘american way of life’…
A definirlo ‘un cane morto’, che, se ci s’imbatte per strada, lo si evita e ci si affretta a scavalcarlo, fu uno dei suoi discepoli postumi, giovane ed arrogante (con il tempo non si migliorerà il carattere). Quel Carlo Marx che, svogliato e bighellonando all’università di Bonn, si soffermò su alcuni suoi scritti e tanto si sentì coinvolto che se ne andò a Berlino a studiare filosofia, disattendendo le aspirazioni paterne di farne un avvocato par suo. E, non volendo sborsare ulteriore denaro (le radici non sono acqua nonostante abiure o conversioni di comodo) lo diseredò. E’ di Georg W. F. Hegel, di cui stiamo parlando. Eppure, molti anni dopo, Friedrich Engels ricordava quanto avesse influito su di lui e Marx, allora ‘giovani hegeliani’, la filosofia di Ludwig Feuerbach per lo strappo con il pensiero dello Hegel. Aggiungeva, però, che in quest’ultimo ‘tanto idealistica è la forma, quanto realistico il contenuto’,cioè attraverso un linguaggio apparentemente astratto emergeva la concretezza del reale cosa che, al contrario, finiva per esserne privo del tutto il primo. Icasticamente Lenin, legittimo erede dell’arroganza marxiana, in uno scritto pubblicato nel 1929 così sintetizzava: ‘Non si può comprendere perfettamente il Capitale di Marx e particolarmente il primo capitolo, se non si è compresa e studiata attentamente tutta la Logica di Hegel. Di conseguenza mezzo secolo dopo, nessun marxista ha compreso Marx!’.
Sospettavamo qualcosa del genere, anzi abbiamo avuto la presunzione di pensare che forse lo stesso Marx non solo non avesse inteso Hegel, ma probabilmente neppure se stesso… tutto compreso a bere birra tanto da lasciare al sodale Engels il compito di fidato amanuense! Del resto gli si può perdonare sia l’amore per la birra sia il naufragare nella complessità dei contenuti hegeliani. Inevitabile ricordo personale: studente di filosofia assistetti alle lezioni del prof. Gennaro Sasso su La Fenomenologia dello Spirito e, per tutto il corso, egli ci spiegò (?) le prime sole otto righe di quella Introduzione, che di fatto era una post-fazione.
Scrive ne La filosofia del diritto (l’unica opera che pubblica, giunto a Berlino in qualità di professore in quella università e di cui diverrà figura dominante):‘lo stato è la realtà dell’idea etica’, e in altro paragrafo, ‘lo stato è l’ingresso di Dio nel mondo ( Der Gang Gottes in der Welt)’. Attraverso l’ampio e articolato dibattito riflessione opinioni in contrasto, che si snodano nel tempo l’idea di stato, enunciata da Platone, trova in Hegel una ridefinizione forte, attenta a non cadere nel contingente negli interessi particolari, capace di proporsi al di là e al di sopra della storia pur essendo della storia il momento più alto. Certo i suoi avversari sono numerosi ed agguerriti. Penso al caro vecchio amico Max Stirner (amico in quanto fu oggetto mancato della mia tesi), a Marx, a Nietzsche che lo definiva ‘il più freddo dei mostri freddi’.Ma anche i suoi estimatori e, qui, il mio pensiero rispettoso si volge a Giovanni Gentile, alla sua vita spesa per dare all’Italia una visione unificante attraverso un progetto complessivo di riforma scolastica, al suo stupido assassinio nei tempi cupi della guerra civile…
Di questo, dello Stato etico da Hegel a Gentile, faremo a Latina, il 26 aprile, presso l’a.c. Passepartout un momento di enunciazione ripensamento di critica con il supporto del prof. Roberto Mancini. Una conversazione di rigorosa filosofia, certo, ma che non può esimersi d’essere un confronto con il nostro malo presente. Guardandoci attorno siamo costretti a pensare che lo stato sia soltanto una leva di potere per gestire poltrone prebende favori, sì, ma –forse e soprattutto per questo – dobbiamo portare rispetto e un pizzico d’invidia per quegli uomini quelle idee quei tempi quelle battaglie ove ci si poteva illudere che la Patria non fosse morta, che la Nazione fosse ‘una unità di destino nell’universale’, che lo Stato rappresentasse in dignità e giustizia le aspirazioni e i bisogni d’un popolo redento…
Siccome– concedetemi una conclusione un po’ retorica ma non troppo azzardata - abbiamo raccolto a testamento da Robert Brasillach ‘la fierezza e la speranza’, beh, confidiamo che vada formandosi – e presto – ‘quella prima generazione di combattenti ed uccisori di serpenti, che precede una cultura e un’umanità più felici e più belle’, come auspicava Nietzsche…
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