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giovedì 28 febbraio 2013

Ricordi e riflessioni del "mago" Merlino...



Bastoni e barricate...

Ricordo bene. Ritrovo un articolo di Pierre Drieu la Rochelle del 3 marzo 1939, pubblicato su Je suis partout (la rivista più radicale del fascismo francese e di cui Robert Brasillach fu capo redattore durante gli anni della collaborazione). Titolo: Ancora e sempre Nietzsche. Cercavo un episodio di quando era in guerra, dove racconta d’aver messo nello zaino da fante, una sorta di viatico, la copia del Così parlò Zarathustra, dono di sua madre. Scrive: ‘Nella battaglia di Charleroi, fui ferito e dovetti liberarmi dell’equipaggiamento. (In effetti, dopo un momento esaltante ed eroico in cui aveva guidato alla carica gli altri fanti del suo plotone, sotto le raffiche delle mitragliatrici e della fucileria nemica, la paura era subentrata e con lei la fuga). Fu così che il mio Zarathustra rimase con lo zaino, come un trofeo, sul sentiero di un boschetto a qualche chilometro dalla frontiera belga. Fu bruciato o raccolto da qualcuno? Immagino uno studente tedesco in uniforme fare quella piccola scoperta e scuotere il capo. Decifra qualche nota a margine e si ritrova mio fratello di spirito e tutto sommato anche di sangue’.
Nel 1963, avevo diciannove anni, quando esce in edizione italiana La Commedia di Charleroi,‘il capolavoro narrativo dello scrittore proibito’, come recitava la fascetta gialla sulla copertina, e la vicenda di cui sopra vi è raccontata con quella capacità di denudarsi interiormente, folle e disperato, che tanto affascina il lettore attento e coinvolto di Drieu. Credo che vi siano state ristampe presso altre case editrici in tempi più prossimi. Su uno scaffale vi sono tutte le opere degli scrittori francesi che scelsero, a vario titolo, l’ardua e odiata via della collaborazione con il tedesco, nel giugno del ’40, vincitore. Altri partirono, nel 1941 e successivamente, per il fronte dell’Est fino ad essere gli estremi difensori dell’Europa fra le macerie di Berlino. Là dove, per dirla con Adriano Romualdi, si consumò la ‘finis Europae’ e che Saint-Paulien ha descritto magistralmente ne I leoni morti… (Il libro che portai con me a Berlino per cercare, al di là del muro, le tracce e i luoghi di quell’epopea; libro che avevo prestato e che avrei voluto recuperare il pomeriggio di quel 12 dicembre mentre rientravo a casa… ma questa è altra storia, ormai inessenziale).
 
Scrivo questo articolo (?) domenica mattina prima che sia dato il via al gioco delle schede di color rosa e quelle gialle e, qui nel Lazio, tanto per non farci mancare nulla, anche verdi. Alla fiera delle vanità… Sarà pubblicato, suppongo, quando dalle televisioni dalla radio carta stampata manifesti e commenti al bar sull’autobus nelle metropolitane al mercato vincitori (?) e vinti (?) plaudiranno o si stracceranno le vesti, tutti politologi tutti ansimanti in schizzi di libidine del politicamente corretto (forse più scorretto vista la magra figura da statisti della classe dirigente dei partiti dei sindacati di associazioni e la voracità dell’abbuffata). Così, non possedendo la palla di vetro o non avendo ereditato la bacchetta magica del mio antenato, mi asterrò da previsioni anche perché – non si sappia in giro – sono stato fin da studente un pessimo conoscitore di numeri cifre grafici ecc.. Però vorrei dire qualcosa, garbatamente, su quelle che sono le mie segrete aspirazioni non del futuro, che è troppo alla mia età, ma di un tempo il più prossimo possibile…
 
Pochi mesi addietro mi trovavo a cena d’amici con altri ospiti. Fra costoro un giornalista de Il Sole 24 Ore di cui non rammemoro il cognome, sebbene sia considerato un analista di valore. Inevitabile che il conversare abbia seguito la piega verso l’attuale crisi economica e finanziaria di carattere mondiale. Qualcuno, memore di letture scolastiche marxiane e forse nostalgico della propria giovinezza trascorsa negli anni della contestazione, faceva riferimento alle ricorrenti cicliche crisi del sistema capitalista. Altri al ‘giovedì nero’del 1929 quando dagli Stati Uniti si sparse a macchia d’olio una crisi che alimentò, secondo alcuni storici, l’affermarsi del totalitarismo e la convinzione che fosse suonata la campana a morte del capitalismo. La convinzione sempre più diffusasi - e mi tornavano a mente le considerazioni dell’amico Giano Accame - come le ‘demoplutocrazie’ fossero rappresentate da governi imbelli e asserviti alle lobbyes ebraiche (perché oggi, no?) e ormai composte da una popolazione svirilizzata e senile. Errore fatale perché nell’eterna guerra del sangue contro l’oro quest’ultimo è pronto a tutto pur di salvare se stesso, riaffermare il proprio predominio e potenziarsi. Fu il presidente USA Roosevelt ad incaricare i suoi consiglieri, che portavano il cognome di Rothschild e Morgenthau, di verificare quanta pericolosità vi fosse nell’espansione del fascismo in Europa. La risposta fu che, se entro dieci anni non si fosse posto rimedio, l’America sarebbe stata estromessa dal Vecchio Continente. Il rimedio: dal 1938 una ‘sana’ politica di riarmo, poi con il Lend-Lease Act rifornimenti bellici all’Inghilterra e successivamente all’Urss, volgendo contemporaneamente la sua attenzione verso il Pacifico e il Giappone…
Non mi andava di fare ‘il grillo parlante’, anche perché la cucina della padrona di casa meritava una attenta rispettosa meticolosa cura (spaghetti all’’n’duja polpette di carne e di melanzane contorno di cipolle funghi peperoni gratinati soppressata e silano, insomma una cena leggera della tradizione calabrese…).Così, dando soddisfazione al giornalista che avvertiva, un po’ tronfio di sé, d’essere il ‘piatto forte’, gli ho chiesto – con la modestia il tono sommesso quasi timidamente com’è nella natura del mio animo schivo (!?) – quando e in che termini prevedevano gli economisti, in Italia e all’estero, il superamento, l’uscita dalla crisi.
 
‘Non ci preoccupiamo troppo perché prevediamo che, entro tre o quattro anni, ci sarà una guerra…’. Pausa d’effetto, modulazione della voce, sguardo profetico di chi vede cose non percepibili da noi comuni mortali, immersi nella mota dell’ignoranza. ‘Non una guerra convenzionale, carri armati e cannoni. Una guerra di bastoni e barricate…’.

Rodolfo, nel proporre i temi cari ad Adriano Romualdi – e, in particolare, l’opera postuma, riedita in questi giorni, Il Fascismo come fenomeno europeo -,ricordava come egli si fosse inserito nel dibattito storiografico, tra Renzo de Felice e richiami al pensiero di Evola, perché convinto che bisognasse portare un contributo scientifico allo studio appunto del fenomeno fascista per evitare che la memorialistica il reducismo la nostalgia finissero per prevalere e ingabbiare ogni proposta di lettura e rilettura alternativa. Ne abbiamo parlato sabato pomeriggio presso l’a.c. Raido che si propone sempre con incontri stimolanti e,in un certo senso, ‘trasgressivi’. Duole, quando si rammenta un amico scomparso e figura sicuramente di riferimento e di crescita, dover dissentire. Io credo, però, ad esempio con Mishima, che le emozioni precedano il ragionamento e che, con Drieu la Rochelle, il ruolo dell’intellettuale sia di collocarsi là dove altri non sono ancora arrivati, magari sporcandosi i piedi e cercando di evitare di sporcarsi le mani… Fu sulle scalinate di piazza di Spagna che si consumò, anche in modo plastico, la frattura, 1 marzo 1968, e poche ore dopo fummo avanguardia di lotta, bastoni e molotov, a Valle Giulia. Alla ricerca di… ‘tu chiamale se vuoi emozioni’, cantava Lucio Battisti.
 
Qualcuno propone, dopo l’ubriacatura elettorale di prefissi telefonici invidie ripicche distinguo personalismi steccati, di sedersi finalmente intorno ad un tavolo e, guardandosi negli occhi, cercare nel confronto l’unità d’intenti che tutti auspicano ma che, in fondo, nessuno intende realizzare. I corvi preferiscono pavoneggiarsi con le penne del pavone piuttosto che riconoscere nel volo delle aquile la grandezza di tutti e per tutti… Io stimo, provo affetto, per chi vorrebbe il superamento delle divisioni, soprattutto, in nome di quel ‘realismo eroico’ al quale abbiamo attinto gli ideali e i sogni della nostra giovinezza. Stima affetto rispetto ma non condivisione…

Una dotta conferenza, con relative pubblicazioni, appaga i relatori, soloni del sapere che, con garbo e in punta di penna, credono di cambiare il mondo…Misurare la consistenza del proprio gruppo, magari strappando ad altri qualche brandello di presenze, appaga la vanità del proprio carisma(?) e della sigla e simbolo d’appartenenza. E, poi? In precedenti occasioni – anche qui su Ereticamente, del resto –abbiamo ricordato l’affermazione del Capitano, Corneliu Zelea Codreanu, ‘la quantità di sofferenza ed amore’. In uno dei primi interventi, divenuto Presidente del Consiglio, Mussolini affermò che si sarebbe battuto perché sulla tavola d’ogni italiano non mancasse il pane. Lo spirito trova se stesso e la misura del proprio valore attraverso l’amore, che è rendere le idee azioni e far sì che queste azioni siano là dove un popolo chiama, magari appunto perché non ha pane sulla tavola. ‘Bastoni e barricate’, con tutti i rischi d’essere dispersi nella marea montante dell’inquietudine della rivolta oppure inesorabilmente trovarsi dalla parte di ‘banche e manganelli’ in sicura e pessima compagnia. E, qui, più che un bagaglio ideologicamente compiuto ognuno di noi dovrà scegliere e mettersi in gioco attraverso le personali emozioni, il proprio buon gusto.
A Valle Giulia tentammo l’impossibile (?), creare un fronte generazionale contro i signori e i loro guardiani a difesa dell’esistente. Ci trovammo contro il mondo adulto, espresso dalle istituzioni e dai partiti di riferimento destra e sinistra. Ne pagammo il prezzo e, nostro malgrado, lasciammo una eredità di lotte odio e sangue sbarre e chiavistelli. Se alcuni di noi sono ancora qui, forse ridicoli e anacronistici, è perché vogliamo essere coerenti con la nostra giovinezza e responsabili delle scelte e delle conseguenze di quelle scelte. E, se qualcuno in un delirio di onnipotenza, pur rappresentando di certo tanta novità e alternativa, ci considera dei superati falliti perdenti, ciò non ci turba né scuote il nostro cuore avventuroso e la mente inquieta… Bastonate e barricate, figlie del kaos, per veder nascere stelle danzanti in un cielo che, parafrasando il vecchio Mao, assiste dall’alto e da lunga data a ‘molta confusione’. In nome di un popolo e non di una plebe servile e accattona, bastonate e non manganelli molotov e non lacrimogeni barricate e non blindati. Metaforicamente, va da sé, che poco ci vediamo e poco sentiamo e con la dentiera non si morde e il fiato s’è reso corto e la prostata s’è ingrossata… metaforicamente, forse…

Che c’entra, allora, il ricordo di Drieu, lo zaino con lo Zarathustra, un giovane studente in uniforme feldgrau? Già sul fronte della Grande Guerra, poi nella Parigi della notte del 6 febbraio 1934, nella Francia sconfitta con l’illusione di passare dalla collaborazione ad una solida alleanza per un nuovo ordine europeo, sporcandosi i piedi mai le mani, andare là dove nessuno ha ancora osato. Così i Drieu la Rochelle i Robert Brasillach i Rebatet i Céline e i volontari sul fronte dell’Est. Letteratura? Storia? Romanticismo fascista? Atmosfere in nero? Beh, per alcuni di noi qualcosa in più… ‘noi siamo uomini d’oggi – noi siamo soli – non abbiamo più dei – non abbiamo più idee – non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx – bisogna che immediatamente – subito – in questo stesso attimo – costruiamo la torre della nostra – disperazione e del nostro orgoglio– con il sudore ed il sangue – di tutte le classi…’. E, poi, avere finalmente l’estrema verifica di chi è contro e di chi non lo è, di chi sta sulle barricate e di chi si rifugia nell’ovattato e protetto mondo borghese…
 
Mario Merlino
 

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