di
Alessandro Nardone – In quarantott’ore è stato detto e scritto tutto ed il
contrario di tutto, ma ritengo doveroso esprimere il mio personale punto di
vista, non foss’altro perché in questa campagna elettorale mi sono esposto in
prima persona, tentando di dare il mio modestissimo contributo a valori, quelli
di destra che, nonostante tutto, continuo a ritenere attualissimi nonché
altamente rappresentativi di una grossa fetta della nostra società.
Per
questo, anche e soprattutto oggi, alla luce di un risultato certamente negativo,
ritengo doveroso riconoscere a Francesco Storace il grande merito di aver
tentato in tutti i modi e con tutto se stesso di tenere viva e unita una
comunità che ha pagato a carissimo prezzo le scelte scellerate di Gianfranco
Fini e dei suoi colonnelli. Ma non è certo questo il momento per recriminare o,
peggio ancora, per piangerci addosso. Al contrario, dobbiamo avere la forza e la
capacità di raccogliere ed interpretare il messaggio che il Popolo italiano ci
ha voluto trasmettere attraverso il suo voto, che è assolutamente
inequivocabile: cambiamento.
La
gente è irrimediabilmente stufa della classe dirigente che ha governato negli
ultimi vent’anni, non ne puo’ più tanto di Berlusconi quanto di Bersani e
ritiene superati i vecchi contenitori post-ideologici.
Certo,
molti di voi obietteranno osservando che ero candidato con La Destra all’interno
della coalizione di centrodestra. Ovvio, per me sarebbe stato molto più agevole
e meno dispendioso non espormi, rimanere “fermo un giro”, ma rivendico con
fermezza la mia scelta in quanto credo che si possa risultare credibili soltanto
nel momento in cui si ha il coraggio di mettersi in gioco in prima persona, a
viso aperto. Altrimenti sono solo chiacchiere.
Oltretutto,
questa campagna elettorale è stata l’occasione grazie alla quale ho trovato, sul
mio cammino, persone straordinarie, tutte animate dalla volontà di dare il loro
contributo alla costruzione di un futuro limpido e radioso per la nostra amata
Italia. Sarebbe da matti disperdere un patrimonio simile.
Già,
ma nel concreto, in che modo possiamo pensare di ripartire? Un’idea ce l’ho, ma
ci arriverò dopo, prima voglio fare un’analisi sintetica di quanto accaduto.
L’EPILOGO
DI FINI E LA DISGREGAZIONE DELLA DESTRA
Andrò
controcorrente, ma non riesco proprio a gioire per la disfatta dell’ex capo di
An. Piuttosto sono deluso ed incazzato, per quello che sarebbe potuto essere e
non è stato. Insieme alla destra italiana ha distrutto anche se stesso e, anche
se non lo ammetterà mai in pubblico, scommetto che in cuor suo stia rimpiangendo
amaramente di essersi inviso alla comunità che credeva in lui. Quanto a Fratelli
d’Italia, con tutto il rispetto per le amiche e gli amici che ci hanno creduto,
ho sempre ritenuto che si trattasse di un progetto venuto alla luce su
presupposti sbagliati, ovvero non per la salvaguardia dei valori della destra
ma, piuttosto, di una classe dirigente che aveva capito di non avere più spazio
altrove. Una scialuppa di salvataggio, insomma. La dimostrazione di quanto
affermo sta nei primi posti delle liste, tutti ad esclusivo appannaggio dei
soliti noti, che si sono ostinati a tenere in seconda linea tanto dirigenti
capaci e con esperienza quanto i giovani che, negli anni, si erano affermati sul
territorio. Infine La Destra, partito per il quale Francesco Storace ha dato
l’anima e che, certamente, ha raccolto meno di quanto non meritasse. I motivi?
Per come la vedo io sono essenzialmente due: il primo è certamente la scelta –
obbligata – di allearsi a Berlusconi che, grazie alla sua indiscussa potenza di
fuoco mediatica, ha letteralmente cannibalizzato argomenti e consensi degli
alleati, Lega compresa. La seconda è che, come dicevo all’inizio, probabilmente
anche il solo fatto di chiamarsi Destra ha fatto sì che il nostro partito
venisse classificato dagli elettori come parte integrante del vecchio sistema,
nonostante i contenuti e le battaglie che ha portato avanti non lo fossero
affatto. Anzi.
BERSANI
E BERLUSCONI, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Se
Atene piange, Sparta non ride. Infatti, se il vero sconfitto di questa tornata è
certamente Pierluigi Bersani – che tutti accreditavano come sicuro vincitore –
il dato certo è che nessuno dei due poli abbia i consensi necessari per ambire a
rappresentare la maggioranza degli italiani. Nei fatti, a contendersi il governo
del Paese, sono state due minoranze. Questo è un altro sintomo chiarissimo del
netto rifiuto, da una parte e dall’altra, nei confronti di una classe dirigente
che ha dimostrato di non volersi rinnovare. La questione è assolutamente
trasversale e generazionale. Non a caso, infatti, andai a votare per Matteo
Renzi alle primarie del Partito Democratico, affermando che una sua vittoria su
Bersani avrebbe messo in moto una vera e propria rottamazione a catena, perché
avrebbe rinnovato il centrosinistra e, al tempo stesso, costretto il
centrodestra ad adeguarsi, obbligandolo a rinunciare all’ennesima “ridiscesa in
campo” di Silvio Berlusconi.
IL
FENOMENO GRILLO, PROTESTA OBBLIGATA
Nel
1993 a catalizzare i favori degli italiani ed il cosiddetto voto di protesta nei
confronti di un sistema marcio e corrotto oltre al Pm Antonio Di Pietro c’erano
partiti come il Msi, la Lega Nord e, successivamente, Forza Italia. A distanza
di vent’anni, quegli stessi protagonisti vengono, a loro volta, identificati
come parte di un sistema in molti casi corrotto e, certamente, non in grado di
mantenere le promesse fatte agl’italiani. Una sorta di nemesi. In un contesto
siffatto, l’unico soggetto che si è posto, in modo chiaro e netto, in antitesi a
quel sistema, ha raccolto i consensi di un italiano su quattro, diventando il
primo partito. Ora, personalmente rimango convinto che dal punto di vista
politico e dei contenuti si tratti di un soggetto assolutamente inadeguato ed in
questo, anche se ho molti motivi per dubitarne, per il bene del mio Paese, spero
di essere smentito dai fatti. Quello di Grillo, però, è un successo che sarebbe
stupido sottovalutare, considerandolo episodico, perché non è nient’altro che la
conseguenza dei fatti che ho citato in precedenza. Un sistema autoreferenziale e
partitocratico che, a destra come a sinistra, si ostina a non volersi rinnovare
e riformare; una classe dirigente che, dalla legge elettorale al finanziamento
pubblico dei partiti, per arrivare alla riduzione del numero dei parlamentari,
non ha fatto altro che inscenare il solito tristissimo teatrino, manifestandosi
come la massima rappresentazione di quella casta che, giustamente, la gente non
vede l’ora di levarsi dalle scatole. Certo, sarebbe ingiusto e demagogico non
osservare che in entrambi gli schieramenti sono presenti persone oneste, animate
da buona volontà e sani principi, ma va altresì constatato che, se vogliono
davvero cambiare le cose, devono trovare la forza ed il coraggio di staccarsi
dai rispettivi apparati di partito, anziché chinare continuamente il capo
adeguandosi a scelte che non condividono.
LO
SCENARIO ATTUALE, NESSUNA LINEA ALL’ORIZZONTE
Inutile
dire che, l’attuale composizione del Parlamento, non lasci presagire nulla di
buono. Tanto per cominciare si perderanno mesi importantissimi soltanto per
espletare le lunghe ed estenuanti liturgie di palazzo: l’insediamento, le
consultazioni, l’incarico ad un presidente del consiglio, i voti di fiducia.
Dopo di che, visto che al Senato la maggioranza non c’è, comincerà un’agonia
totalmente improduttiva e, spallata dopo spallata, il governo cadrà. Allora
comincerà il solito spettacolo di reciproche accuse, e ci racconteranno che non
ci sono le condizioni per fare nemmeno una delle riforme che servono al Paese.
Nel frattempo, piccolo particolare, questo ennesimo Parlamento di nominati,
dovrà a sua volta nominare il nuovo inquilino del Quirinale. Una prospettiva
che, per come si sono messe le cose, risulta quantomeno inquietante.
Fatta
questa fotografia, più o meno obiettiva, della situazione che si è venuta a
creare, posso riprendere il filo del discorso da dove lo avevo lasciato, ovvero
da dove possiamo e dobbiamo ripartire.
A
mio modesto avviso, come avrete intuito, credo sia indispensabile smaltire il
prima possibile le tossine della campagna elettorale e raccogliere l’appello
lanciato qualche mese fa da Marcello Veneziani – a cui diede immediatamente
seguito Francesco Storace – per la costruzione di quella che io, a questo punto,
definirei una destra – non destra. Ovvero una destra nei valori e nei principi,
ma non più destra nella forma, nel contenitore.
Sì,
lo so, vi sembrerà folle, ma oggi più che mai sono convinto che dobbiamo avere
l’ambizione di costruire un soggetto nel quale, oltre a noi, possano
riconoscersi milioni d’italiane e d’italiani, anziché l’ennesima riserva
indiana.
Per
farlo servono dosi massicce di follia, passione e coraggio, oltre che un pizzico
di fortuna.
Io
ci credo e, sono sicuro, insieme a me molti di voi non vedono l’ora di
cominciare, così come sono sicuro che lo siano tanto Francesco Storace, quanto
Marcello Veneziani. Non ci rimane che da fare il primo passo e poi, tutto il
resto verrà da se.
Ora
più che mai è il momento di unirci e di guardare avanti… Avanti, Italia!
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