CCP

mercoledì 27 febbraio 2013

"Guardare avanti e ripartire adesso!

 
 
di Alessandro Nardone – In quarantott’ore è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto, ma ritengo doveroso esprimere il mio personale punto di vista, non foss’altro perché in questa campagna elettorale mi sono esposto in prima persona, tentando di dare il mio modestissimo contributo a valori, quelli di destra che, nonostante tutto, continuo a ritenere attualissimi nonché altamente rappresentativi di una grossa fetta della nostra società.
Per questo, anche e soprattutto oggi, alla luce di un risultato certamente negativo, ritengo doveroso riconoscere a Francesco Storace il grande merito di aver tentato in tutti i modi e con tutto se stesso di tenere viva e unita una comunità che ha pagato a carissimo prezzo le scelte scellerate di Gianfranco Fini e dei suoi colonnelli. Ma non è certo questo il momento per recriminare o, peggio ancora, per piangerci addosso. Al contrario, dobbiamo avere la forza e la capacità di raccogliere ed interpretare il messaggio che il Popolo italiano ci ha voluto trasmettere attraverso il suo voto, che è assolutamente inequivocabile: cambiamento.
La gente è irrimediabilmente stufa della classe dirigente che ha governato negli ultimi vent’anni, non ne puo’ più tanto di Berlusconi quanto di Bersani e ritiene superati i vecchi contenitori post-ideologici.
Certo, molti di voi obietteranno osservando che ero candidato con La Destra all’interno della coalizione di centrodestra. Ovvio, per me sarebbe stato molto più agevole e meno dispendioso non espormi, rimanere “fermo un giro”, ma rivendico con fermezza la mia scelta in quanto credo che si possa risultare credibili soltanto nel momento in cui si ha il coraggio di mettersi in gioco in prima persona, a viso aperto. Altrimenti sono solo chiacchiere.
Oltretutto, questa campagna elettorale è stata l’occasione grazie alla quale ho trovato, sul mio cammino, persone straordinarie, tutte animate dalla volontà di dare il loro contributo alla costruzione di un futuro limpido e radioso per la nostra amata Italia. Sarebbe da matti disperdere un patrimonio simile.
Già, ma nel concreto, in che modo possiamo pensare di ripartire? Un’idea ce l’ho, ma ci arriverò dopo, prima voglio fare un’analisi sintetica di quanto accaduto.
L’EPILOGO DI FINI E LA DISGREGAZIONE DELLA DESTRA
Andrò controcorrente, ma non riesco proprio a gioire per la disfatta dell’ex capo di An. Piuttosto sono deluso ed incazzato, per quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Insieme alla destra italiana ha distrutto anche se stesso e, anche se non lo ammetterà mai in pubblico, scommetto che in cuor suo stia rimpiangendo amaramente di essersi inviso alla comunità che credeva in lui. Quanto a Fratelli d’Italia, con tutto il rispetto per le amiche e gli amici che ci hanno creduto, ho sempre ritenuto che si trattasse di un progetto venuto alla luce su presupposti sbagliati, ovvero non per la salvaguardia dei valori della destra ma, piuttosto, di una classe dirigente che aveva capito di non avere più spazio altrove. Una scialuppa di salvataggio, insomma. La dimostrazione di quanto affermo sta nei primi posti delle liste, tutti ad esclusivo appannaggio dei soliti noti, che si sono ostinati a tenere in seconda linea tanto dirigenti capaci e con esperienza quanto i giovani che, negli anni, si erano affermati sul territorio. Infine La Destra, partito per il quale Francesco Storace ha dato l’anima e che, certamente, ha raccolto meno di quanto non meritasse. I motivi? Per come la vedo io sono essenzialmente due: il primo è certamente la scelta – obbligata – di allearsi a Berlusconi che, grazie alla sua indiscussa potenza di fuoco mediatica, ha letteralmente cannibalizzato argomenti e consensi degli alleati, Lega compresa. La seconda è che, come dicevo all’inizio, probabilmente anche il solo fatto di chiamarsi Destra ha fatto sì che il nostro partito venisse classificato dagli elettori come parte integrante del vecchio sistema, nonostante i contenuti e le battaglie che ha portato avanti non lo fossero affatto. Anzi.
BERSANI E BERLUSCONI, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Se Atene piange, Sparta non ride. Infatti, se il vero sconfitto di questa tornata è certamente Pierluigi Bersani – che tutti accreditavano come sicuro vincitore – il dato certo è che nessuno dei due poli abbia i consensi necessari per ambire a rappresentare la maggioranza degli italiani. Nei fatti, a contendersi il governo del Paese, sono state due minoranze. Questo è un altro sintomo chiarissimo del netto rifiuto, da una parte e dall’altra, nei confronti di una classe dirigente che ha dimostrato di non volersi rinnovare. La questione è assolutamente trasversale e generazionale. Non a caso, infatti, andai a votare per Matteo Renzi alle primarie del Partito Democratico, affermando che una sua vittoria su Bersani avrebbe messo in moto una vera e propria rottamazione a catena, perché avrebbe rinnovato il centrosinistra e, al tempo stesso, costretto il centrodestra ad adeguarsi, obbligandolo a rinunciare all’ennesima “ridiscesa in campo” di Silvio Berlusconi.
IL FENOMENO GRILLO, PROTESTA OBBLIGATA
Nel 1993 a catalizzare i favori degli italiani ed il cosiddetto voto di protesta nei confronti di un sistema marcio e corrotto oltre al Pm Antonio Di Pietro c’erano partiti come il Msi, la Lega Nord e, successivamente, Forza Italia. A distanza di vent’anni, quegli stessi protagonisti vengono, a loro volta, identificati come parte di un sistema in molti casi corrotto e, certamente, non in grado di mantenere le promesse fatte agl’italiani. Una sorta di nemesi. In un contesto siffatto, l’unico soggetto che si è posto, in modo chiaro e netto, in antitesi a quel sistema, ha raccolto i consensi di un italiano su quattro, diventando il primo partito. Ora, personalmente rimango convinto che dal punto di vista politico e dei contenuti si tratti di un soggetto assolutamente inadeguato ed in questo, anche se ho molti motivi per dubitarne, per il bene del mio Paese, spero di essere smentito dai fatti. Quello di Grillo, però, è un successo che sarebbe stupido sottovalutare, considerandolo episodico, perché non è nient’altro che la conseguenza dei fatti che ho citato in precedenza. Un sistema autoreferenziale e partitocratico che, a destra come a sinistra, si ostina a non volersi rinnovare e riformare; una classe dirigente che, dalla legge elettorale al finanziamento pubblico dei partiti, per arrivare alla riduzione del numero dei parlamentari, non ha fatto altro che inscenare il solito tristissimo teatrino, manifestandosi come la massima rappresentazione di quella casta che, giustamente, la gente non vede l’ora di levarsi dalle scatole. Certo, sarebbe ingiusto e demagogico non osservare che in entrambi gli schieramenti sono presenti persone oneste, animate da buona volontà e sani principi, ma va altresì constatato che, se vogliono davvero cambiare le cose, devono trovare la forza ed il coraggio di staccarsi dai rispettivi apparati di partito, anziché chinare continuamente il capo adeguandosi a scelte che non condividono.
LO SCENARIO ATTUALE, NESSUNA LINEA ALL’ORIZZONTE
Inutile dire che, l’attuale composizione del Parlamento, non lasci presagire nulla di buono. Tanto per cominciare si perderanno mesi importantissimi soltanto per espletare le lunghe ed estenuanti liturgie di palazzo: l’insediamento, le consultazioni, l’incarico ad un presidente del consiglio, i voti di fiducia. Dopo di che, visto che al Senato la maggioranza non c’è, comincerà un’agonia totalmente improduttiva e, spallata dopo spallata, il governo cadrà. Allora comincerà il solito spettacolo di reciproche accuse, e ci racconteranno che non ci sono le condizioni per fare nemmeno una delle riforme che servono al Paese. Nel frattempo, piccolo particolare, questo ennesimo Parlamento di nominati, dovrà a sua volta nominare il nuovo inquilino del Quirinale. Una prospettiva che, per come si sono messe le cose, risulta quantomeno inquietante.
Fatta questa fotografia, più o meno obiettiva, della situazione che si è venuta a creare, posso riprendere il filo del discorso da dove lo avevo lasciato, ovvero da dove possiamo e dobbiamo ripartire.
A mio modesto avviso, come avrete intuito, credo sia indispensabile smaltire il prima possibile le tossine della campagna elettorale e raccogliere l’appello lanciato qualche mese fa da Marcello Veneziani – a cui diede immediatamente seguito Francesco Storace – per la costruzione di quella che io, a questo punto, definirei una destra – non destra. Ovvero una destra nei valori e nei principi, ma non più destra nella forma, nel contenitore.
Sì, lo so, vi sembrerà folle, ma oggi più che mai sono convinto che dobbiamo avere l’ambizione di costruire un soggetto nel quale, oltre a noi, possano riconoscersi milioni d’italiane e d’italiani, anziché l’ennesima riserva indiana.
Per farlo servono dosi massicce di follia, passione e coraggio, oltre che un pizzico di fortuna.
Io ci credo e, sono sicuro, insieme a me molti di voi non vedono l’ora di cominciare, così come sono sicuro che lo siano tanto Francesco Storace, quanto Marcello Veneziani. Non ci rimane che da fare il primo passo e poi, tutto il resto verrà da se.
Ora più che mai è il momento di unirci e di guardare avanti… Avanti, Italia!

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