CCP

giovedì 28 febbraio 2013

Goliardata cameratesca contro Fini.

In piazza San Babila gli ex Msi brindano al "funerale" di Fini con vino del Duce

Alessandro Da Rold

Un brindisi con un Sangiovese di Predappio, paese di Benito Mussolini, per ricordare l'esclusione dal parlamento di Gianfranco Fini, l'ex presidente della Camera e leader di Futuro e Libertà, partito che a queste elezioni ha preso lo 0,4%. Gli ex missini milanesi si sono dati appuntamento mercoledì 27 febbraio in piazza San Babila a Milano, per festeggiare l'esclusione di quello che è stato il segretario nazionale del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale Italiano. Ma soprattutto presidente di Alleanza Nazionale per tredici anni, dalla fondazione nel 1995 fino al 2008, quando An si sciolse dentro al Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi. Di quell'esperienza è rimasto davvero poco o niente, frammentata in Pdl, Destra, Fratelli D'Italia e appunto Fli.
I simboli sono i simboli. San Babila lo è stata per la destra milanese e per Ignazio La Russa, da poco rieletto a Montecitorio, tra gli anni '60, '70 e '80. Il vino Sangiovese è invece quello di Predappio, dove è sepolto Mussolini. Promotore dell'iniziativa "goliardica" è Roberto Jonghi Lavarini "Il Barone Nero" insieme con i fratelli Mauro e Diego Zoia. «Questo personaggio - dicono in una nota riferendosi a Fini - pur disprezzandoli per anni ha cavalcato senza crederci gli ideali che sono stati bandiera di molti italiani onesi e lavoratori. Tale esclusione è la giusta moneta con cui la Storia e la democrazia ripagano i traditori». Alla bicchierata presente anche Oscar, il noto proprietario del ristorante "Oscar il Fascista".

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/portineria-milano/piazza-san-babila-gli-ex-msi-brindano-al-funerale-di-fini-con-vino-del-duce#ixzz2MBgtyS8G
 
 
Note dal brindisi in onore della scomparsa di Fini
Gli ex missini stappano a Milano in piazza San Babila, per celebrare l'addio del "traditore" al Parlamento
 
 
«Un infame traditore si merita di non essere rieletto. Prima o poi si raccoglie quel che si è seminato». È questo il filo conduttore del brindisi che il movimento politico la Destra, insieme a una serie di sigle estremiste, ha voluto organizzare per celebrare la “morte politica” di Gianfranco Fini che, con un misero 0,46% alla Camera (159 mila voti in tutt’Italia), è passato direttamente dal più alto scranno di Montecitorio alla più modesta sedia di casa sua (magari il cognato gli darà ospitalità a Montecarlo). L’appuntamento è per le 18.30 nella storica piazza San Babila, negli anni ’70 luogo abituale di ritrovo dei ragazzi dell’allora Fronte della Gioventù riconoscibili per i Ray-Ban a goccia affumicati, gli stivali a punta “Barrow’s” o i mocassini “College” ai piedi, le camicie a collo alto. Militanti che spesso finivano alle mani con altri giovani, con barba lunga ed eskimo, con stesso fervore politico ma idee opposte. Un lontano ricordo che lascia spazio, oggi, a signori attempati che rimpiangono i tempi che furono. Qualcuno indossa il berretto da ufficiale della Repubblica di Salò, reso celebre dal gerarca Alessandro Pavolini, qualcun altro giacche vagamente militari. Si sono ritrovati, in una ventina, per stappare insieme qualche buona bottiglia di rosso (rigorosamente marcata con l’effige di Mussolini) insieme a passanti e curiosi, in onore dell’umiliazione politica di un «traditore della propria Patria, dei propri elettori, dei propri principi e valori». Come quotidiano liberale, distante ovviamente anni luce dalle opinioni politiche dei presenti, non neghiamo il diritto di ognuno di dire la sua, senza censure. È un bene, dal nostro punto di vista, che nessuno, incluse le forze di Polizia presenti, abbiano contestato i saluti romani, gli inni al Duce e le canzoni fasciste. Umanamente, poi, capiamo la rabbia di chi, come l’ex dirigente missino Sergio Spinelli, si è sentito tradito dal suo vecchio leader. Un politico che si è sempre autodefinito, orgogliosamente, fascista che nel 2003 ha dichiarato che «il fascismo è stato il male assoluto». Uno strenuo difensore della famiglia naturale e tradizionale, fino a sfociare nell’omofobia (a una puntata del Maurizio Costanzo show del 1998 ebbe a dire «un maestro elementare dichiaratamente omosessuale non può fare il maestro»), che ha fondato un partito che si dichiara «in prima fila nella battaglia per i diritti civili delle coppie di fatto, etero e omosessuali, e ritiene che finalmente siano maturi i tempi affinché il prossimo parlamento sancisca con una legge dello Stato questi diritti a lungo attesi» (dal blog del fillino Enzo Raisi). Non c’è, in effetti, una cosa su cui Fini sia stato coerente. I neofascisti milanesi l’hanno detto nel loro roboante modo, eccessivo ma dotato, va detto, di una certa gentilezza. Quando sono passati, per caso, due ragazzi stranieri di colore li hanno accolti con un bicchiere di vino, parlando loro del patriota africano Thomas Sankara, comunista sì, ma anche nazionalista e fiero avversario delle multinazionali americane come loro. Molto meglio lui, coerente fino alla morte (avvenuta nel 1987 a seguito di un colpo di Stato), del traditore Fini. Fedele, fino a qualche giorno fa, solo alla propria poltrona.

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