Alcuni compagni
pseudo-giornalisti mi hanno recentemente diffamato, e non è la prima volta, dipingendomi
come un “ricchissimo aristocratico, senza scrupoli ed evasore fiscale,
finanziatore della estrema destra”. Sono, quindi, obbligato, ad una netta
smentita (alla quale seguirà una precisa denuncia per diffamazione, aggravata a
mezzo stampa) ed a un pubblico chiarimento, perché, io, a differenza di altri, non
ho nulla da nascondere! E’ vero, discendo da due antiche famiglie della piccola
nobiltà alpina (walser-piemontesi i baroni Jonghi Lavarini von Urnavas e
lombardo-veneti i conti Ganassini di Camerati di Lumiago) che, nei secoli,
hanno unito le proprie tradizioni contadine al sano spirito imprenditoriale
tipico della laboriosa e produttiva borghesia milanese (i primi nel settore
edile-immobiliare, i secondi in quello industriale-farmaceutico). I miei nonni possiamo
dire che erano “ricchi”, i miei genitori sono sicuramente benestanti ma io,
invece, oramai da tempo, faccio parte di quel “povero” ceto medio italiano che
deve difendersi quotidianamente dalle tasse, dalla burocrazia, dalla inefficienza
dello stato, dalla mala giustizia e dalla usura del sistema bancario che
soffoca le nostre famiglie e le nostre imprese. La mia dichiarazione dei
redditi media degli ultimi anni è di 25mila euro, faticosamente guadagnati,
come impiegato-consulente, e tutti spesi (e nulla risparmiato) per mantenere la
mia famiglia, pagare le scuole private cattoliche delle mie figlie e finire di
pagare il mutuo per la ristrutturazione di casa, unica mia proprietà, insieme
ad una vecchia macchina e ad un malconcio motorino che uso tutti i giorni per
lavoro. Conduco, complessivamente, una vita spartana, senza mode e lussi. Miei
unici “sfizi”, ai quali non rinuncio, sono la cultura ed i libri, la
partecipazione ad iniziative sociali e benefiche, la frequentazione di ordini
cavallereschi e qualche birra con amici e camerati. Fin da ragazzino, sia per
le mie origini che per le mie note convinzioni politiche, mi porto il
soprannome di “Barone Nero” ma, in realtà, anche se la mia famiglia è citata
fin dal 1275, per le autorità italiane competenti in materia, sono
semplicemente un “decurione di campagna”. Diciamo che sono orgoglioso della corretta
traduzione letterale dello spettante titolo di “freiherr” che, secondo la
tradizione germanica, significa “uomo libero”. Ed è con questo spirito libero,
aristocratico e nazional-popolare, con tante idee e pochi soldi, che ho sempre
affrontato la vita, il lavoro e la politica.
ROBERTO JONGHI LAVARINI (Milano,
29 luglio 2013)
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