1. La situazione
attuale.
La situazione politica dell’Italia,
interna ed esterna, sotto ogni profilo istituzionale, economico e culturale è
bloccata. Anche coloro che cercano, costruttivamente e con sincera volontà di
far uscire il Paese dallo stallo, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sentono
che ciò non è più possibile.
1.1. Fine di un ciclo
storico
Tutti si rendono conto che la
spiegazione della situazione si trova nella impossibilità del Sistema
giuridico-politico di continuare a funzionare.
Non si tratta di criticare o condannare
un sistema costituzionale che per molti versi ha bene meritato della Nazione,
per il suo equilibrio, per la capacità di conciliare valori in sé assoluti,
come l’individuo, il corpo sociale intermedio e la collettività dello Stato
nazionale, per le potenzialità interpretative che lo hanno reso duttile alle
esigenze dei tempi.
Ciononostante quel principio di
filosofia della storia detto della eterogenesi
dei fini, per il quale qualsiasi sistema politico e istituzionale ha un suo
ciclo vitale, nasce, ha un’acme e si esaurisce storicamente, non ammette
eccezioni. I tempi possono essere storicamente più o meno lunghi ma alla fine
tutto ha un termine.
Anche le norme di revisione di un testo
costituzionale hanno una loro storicità, alla fine del ciclo non sono più
funzionali.
1.2. Le soluzioni
parziali.
Le soluzioni di riforma parziale non
sono pertanto più in grado di fornire strumenti funzionali ad uscire dallo
stallo politico e istituzionale. L’ultimo tentativo di nominare una Commissione
di giuristi con funzioni di consulenza costituzionale sta destando molti
interrogativi e perplessità e pochi entusiasmi. Il nodo sta nella
rappresentatività di chi dovrebbe elaborare le riforme: l’attuale Parlamento
non rappresenta, a causa della legge elettorale, la società italiana, e questo
deficit di rappresentatività si riflette nella stessa scelta dei consulenti il
cui equilibrio di orientamento nella Commissione non fa che riflettere criteri
e misure della classe politica in Parlamento. Criteri e misure che a loro volta
renderanno problematico il lavoro del Comitato dei Quaranta che dovrebbe elaborare
i testi.
Un’altra dimostrazione della
impossibilità di risolvere i problemi con questi strumenti lo dimostra il fatto
che nell’attuale bipolarismo sussistono temi intoccabili. Mentre il Capo dello
Stato, nel ricevimento al Quirinale dei magistrati di nuova nomina, afferma che
bisogna rivedere “gli assetti” del nostro sistema (il che significa forma di
Governo), temi come il presidenzialismo continuano a mantenere divergenze
insanabili fra gli schieramenti del sistema che dovrebbe autoriformarsi. Quando
Epifani, Segretario del PD, sostiene la necessità “di fermarsi un attimo e
discutere seriamente nelle sedi competenti con gli argomenti giusti, con tempi
giusti e nell’ordine giusto”, o dice una cosa ovvia e inutile oppure ammonisce
che le sedi attuali, gli argomenti attuali i tempi e l’ordine non sono giusti [1].
Tre costituzionalisti, Antonio D’Andrea,
Aldo Lo Iodice e Andrea Morrone, sono stati intervistati in merito da “il Fatto
quotidiano”. Secondo D’Andrea l’impegnare Governo e Camere sulle riforme è una
“patetica scusa” per non impegnarsi nelle questioni di indirizzo politico; non
di “spirito costituente” si può parlare in questi momenti ma di “compulsione
riformista” che si risolverebbe in un “inganno deprecabile per la comunità
politica”; in sintesi si tratterebbe di una truffa “che copre il vuoto di un
sistema politico da ricostruire totalmente”. Secondo Lo Iodice non sussiste “un
effettivo spirito costituente tale da ribaltare l’intero costrutto
costituzionale”. Secondo Morrone infine le riforme sono richieste sia dal Paese
sia dal Capo dello Stato ma non possono essere “fatte da una classe dirigente
dimostratasi non all’altezza della situazione” come dimostra la debolezza delle
politiche nazionali fin qui adottate. Alla fine dell’intervista Morrone
conclude che non si deve “continuare a illudere i cittadini che tutto ciò che
abbiamo è (ancora) ‘la costituzione più bella del mondo” [2].
Inoltre alcuni dei costituzionalisti
della stessa Commissione per le riforme sono addirittura contrari alle riforme,
per quanto riguarda sia la Presidenza della Repubblica sia la forma di governo,
come la Carlassare che, dichiarandosi pronta a dimettersi, conclude: “Cambi alla
forma di governo assolutamente no, perché non si possono scaricare sulla
Costituzione le incapacità della classe politica, i partiti hanno perso la
bussola …” [3].
Tuttavia, se consideriamo in sintesi le
avversioni di una parte delle classi intellettuali e politiche ad una revisione
totale, e anche parziale, dell’attuale ordinamento costituzionale possiamo
scorgere una intima contraddizione; da un lato si riconosce l’inadeguatezza
della attuale classe politica espressa dall’attuale sistema, dall’altra si teme
che proprio questa classe politica peggiori il sistema allontanandolo dalle
originarie basi democratiche e pluralistiche per avviarsi alle derive
leaderistiche, già in atto, di concentrazione del potere.
In altri termini si riconosce la natura
dilemmatica del problema di fondo: l’attuale sistema produce una classe
politica incapace di difendere il sistema stesso. In effetti le ultime riforme
costituzionali hanno dato luogo ad un sistema poliarchico e liederistico insieme
che ha esautorato progressivamente lo stesso Parlamento e ha lasciato
degenerare i tradizionali protagonisti della politica: i partiti politici. Le
conseguenze si sono immediatamente riverberate sull’economia e sul lavoro.
Di qui la proposta di Costituente.
2. La proposta di
Costituente
La Costituente, come tutti sanno ma non
tengono presente, è una fonte giuridica intrinsecamente extra ordinem, cioè è una fonte che trae la legittimazione non dai
poteri costituiti in atto ma direttamente dalla base sociale, dalla costituzione materiale in atto.
Se si vogliono difendere quei principi
che stavano alla base della Costituzione del 1948, in quanto fondamenti
metastorici della natura Repubblicana dello Stato in sé, allora occorre tornare
veramente alle origini, ma in senso procedurale, cioè costituente. Qualche
studioso riconosce che l’attuale situazione italiana è analoga, e forse
peggiore, di quella di Weimar dalla quale nacque quel che nacque.
3. Caratteri della
proposta
Eccoci dunque al nostro Manifesto. Si
tratta di un complesso di analisi e di proposte insieme che cercano di
riportare gli italiani ad un dialogo di fondo quale forse, nella storia della
Nazione italiana, quella nata nel I secolo avanti l’Era volgare, con l’incontro
di Roma e delle popolazioni italiche in un programma comune e unitario di
civiltà, non si verificò più dalla caduta dell’Impero romano.
Un dialogo di fondo, un dialogo che
sappia relativizzare le eterne polarità (guelfi e ghibellini, sinistra e
destra) e strapparle alla assolutizzazione assurda che rende le componenti di
un popolo impossibilitate a pervenire a conclusioni condivise sui problemi
della propria sussistenza e della propria esistenza.
Per questo nella prima parte del
Manifesto che presentiamo ci si interroga sulle definizioni di concetti e
nozioni fondamentali, come per esempio Stato, ordinamento giuridico e politico,
Nazione, classe politica, classe dirigente, classe sociale, ceto, attività politica,
attività amministrativa, cultura, lavoro.
In una seconda parte si propongono i
valori di principio sui quali dovrebbe fondarsi un nuovo ordinamento, partendo
dall’esperienza della crisi in atto.
3.1. I Principio:
l’Unità
Il primo principio è dato dall’unità
dello Stato Nazione proiettato verso l’unità dell’Europa come momento dell’unità
della famiglia umana. Corollari dell’Unità sono l’eliminazione della poliarchia
autonomistica in senso politico che impedisce al governo di programmare la vita
della Comunità. Come si constata in Europa e fuori le autonomie hanno
dimensioni solo amministrative, cioè inerenti ai mezzi e non politiche, cioè inerenti
ai fini. Le autonomie politiche producono la superfetazione di classi politiche
infrastatuali che portano direttamente al secessionismo.
Un altro corollario è costituito
dall’elezione diretta del Capo dello Stato, il cosiddetto, tanto temuto presidenzialismo. La nostra proposta
mantiene la figura del Capo dello Stato come organo super partes chiamato a fornire gli indirizzi fondamentali alla Nazione
ma distinto dal Capo del governo.
La sua legittimazione popolare serve
solo a fornirgli quella autorevolezza e quella forza di intervento nei momenti
di crisi che gli attuali Capi dello Stato italiani derivano solo dalla
inefficienza degli altri ordini di poteri fondamentali anziché dalle loro
effettive funzioni formali.
Pericoli di liderismo? A parte il fatto che ogni istituto con il tempo può
degenerare, teniamo presente che una delle piaghe che il sistema costituzionale
attuale non ha evitato è proprio il liderismo
che caratterizza i partiti e che ha finito per esautorare proprio quel
Parlamento che i timorosi di una riforma basilare del sistema vogliono
difendere. Il Capo dello Stato eletto dalla base sociale non comporta una concentrazione di potere ma un
riferimento ultimo e puntuale della base sociale per difendersi dalle
degenerazioni oligarchiche nella loro manifestazione peggiore costituita dalla
poliarchia territoriale. È la degenerazione del Partito che porta i leader al
populismo demagogico.
3.2. II Principio: la
Partecipazione
Il secondo Principio è costituito dalla
partecipazione della base sociale alla gestione della politica nazionale intesa
non solo e non tanto come un diritto
di tutti e di ciascuno ma come un dovere
di tutti e di ciascuno a partecipare.
Questo principio assolve innanzitutto
una funzione culturale pedagogica che riconcilia l’individuo con la politica,
che attenua le contrapposizioni, che agevola il ricambio sociale e limita le
differenze e gli squilibri economici e sociali. Partecipando si impara, si
comprendono i problemi nella loro reale portata, ci si immunizza contro la
demagogia e contro l’incomprensione fra i gradi di potere, perché gli individui
sono messi in grado di percorrerli.
3.3. III Principio:
la Rappresentanza politica pluralistica.
Il terzo principio è costituito dalla
pluralità della rappresentanza politica. L’attuale Costituzione, all’art. 49
recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti
per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Si
dice dunque: concorrere, concorrere
significa correre insieme, si presuppongono pertanto più soggetti titolari del
potere politico. Ma chi sono gli altri soggetti oltre i Partiti? La Costituzione
attuale non lo dice. Noi proponiamo le categorie produttive, quelle mortificate
attualmente nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, istituzione della
quale il sistema partitico ha voluto bloccare quella che sarebbe stata la sua
naturale evoluzione.
Il sistema bicamerale attuale è
universalmente condannato per l’identità di funzioni. In realtà non è
l’identità di funzioni che rende sterile l’attuale bicameralismo ma l’identità
di rappresentatività. La soluzione che si offre alla discussione è che il pluralismo
partitico mentre da un lato viene salvato nella sua funzione di far politica
sulla base di scelte di valore, dall’altro viene decondizionato dai problemi di
natura tecnica e scientifica per i quali i rappresentanti della produzione, sia
economica che culturale, si assumono le loro debite responsabilità anch’esse
politiche.
Come si vede, se a qualcuno venisse in
mente la restaurazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, può
constatare che nulla è più lontano dal sistema caratterizzato dal Partito unico
e dall’autocrazia come la nostra proposta.
L’altro carattere che si propone per un
nuovo Parlamento è la relativizzazione dello schieramento bipolare. Destra e
Sinistra sono nella loro ultima sostanza delle differenti accentuazioni di
valori che non possono essere contrapposti e istituzionalizzati formalmente in
formazioni sociali, quali i Partiti, i quali per giustificare la propria
esistenza si sono contrapposti anziché rendersi complementari in nome
dell’interesse della Nazione.
Ultimo corollario della riforma della
rappresentanza politica è la riscoperta dell’art. 67 dell’attuale Costituzione:
“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mandato”. Si tratta di ridimensionare da un lato la cosiddetta
disciplina di partito e dall’altro la natura formalistica dei gruppi parlamentari.
4.
Appello
all’unione
Come credo di aver evidenziato, una
assemblea Costituente si rende indispensabile anche per salvare i valori e
quegli istituti che del presente ordinamento debbono e possono essere salvati.
Il presente ordinamento ha prodotto gli esiti negativi ai quali esso non può
rimediare. La situazione, ripeto, è dilemmatica. Il dilemma è un problema che
presenta due soluzioni alternative ciascuna delle quali non risolve ma aggrava
il problema portandolo alle ultime conseguenze.
Il caso del Movimento a 5Stelle è
paradigmatico. Questo movimento, che costituisce la più recente disperata
creazione del sistema attuale, si trova nel dilemma: o disapplicare al proprio
interno quei principi per il quale è nato e ha ricevuto il consenso e insieme
rinnegare perciò se stesso; oppure applicare al proprio interno quei principi
per il quale è nato e ha ricevuto il consenso e perdere quella capacità operativa
con la quale ha conquistato il consenso e che gli sarebbe indispensabile per
attuare la sua strategia di palingenesi.
5.
Il
momento internazionale
Cari amici che avete raccolto il nostro
invito ciò che noi proponiamo è un itinerario imposto dalla situazione in atto
e dalla natura delle cose. Ci rivolgiamo non soltanto alla base sociale
indifferenziata, al mondo della produzione e della cultura che in questa situazione
non è più in grado di operare né economicamente né culturalmente, né scientificamente,
per cui stanno riprendendo alla grande sia le dislocazioni delle aziende sia la
fuga dei cervelli, non ci rivolgiamo soltanto ai cittadini che non vanno a
votare e ai disoccupati senza programmi esistenziali.
Ci rivolgiamo anche alla classe politica
e dirigente, ai Partiti sia dentro che fuori il Parlamento. Una Assemblea
costituente, come tale può essere porsi solo fuori degli attuali poteri
costituiti, se no non sarebbe costituente,
ma anche i partiti attuali, come quelli nuovi che potrebbero formarsi o riformarsi,
sono chiamati ad inserirsi nel movimento rigeneratore per acquisire quella
legittimazione necessaria che adesso non hanno e che l’attuale sistema non
potrà più loro conferire.
È cosa saggia per essi partecipare ad un
movimento che si rafforzerà tanto più quanto più lo si avverserà. È meglio
partecipare subito. Il nostro messaggio sta ricevendo sempre più adesione dagli
esclusi del sistema, tanto più pericolosi in quanto si tratta di autoesclusi. Assenteismo
elettorale e disoccupazione costituiscono una miscela micidiale che purtroppo
le classi politiche giunte al capolinea continuano a sottovalutare credendo che
più o meno tutto continuerà come prima.
Un richiamo storico: quando in Francia,
nel 1789, il Terzo stato lasciò l’Assemblea degli Stati Generali e si
autoproclamò Assemblea Costituente, gli altri due Stati, visto che il Terzo
Stato faceva sul serio si decisero a entrare nella nuova Assemblea per una
nuova legittimazione.
Vedete, tutte le fasi costituenti si
verificano in contesti differenti e in situazioni differenti, ma hanno anche
dei denominatori comuni: incoscienza della classe politica al potere, distacco
profondo della base sociale dalla politica, disoccupazione che della crisi
economica costituisce la dimensione più tragica perché costituisce il massimo
dell’esclusione.
6.
Conclusione.
Quello che, concludendo, mi preme fare
presente e non solo a chi fa politica e a chi non la fa, non solo a chi si
trova in grave sofferenza economica e di ogni altro genere, ma a chi sente
preoccupazione per il destino dell’Italia, della Nazione italiana, dello Stato
nazionale italiano, per la sua esistenza. Il pericolo peggiore non è la guerra
civile cruenta, c’è di peggio. Al tempo della cruentissima e feroce guerra
civile della fine della Seconda Guerra Mondiale le parti contrapposte degli
italiani si combattevano senza negare l’Italia ma rivendicandola ciascuna a sé.
Il pericolo più grave, in questi
drammatici momenti, è la scissione del nostro Stato nato dal Risorgimento, con
il sangue di tanti eroi, per tornare un aggregato di popolazioni divise e
conflittuali e sottomesse a qualche potenza d’oltralpe che attende la nostra
deflagrazione per tornare a dominarci in modo più duro e irreversibile di
quanto non abbia fatto nei secoli passati.
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