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giovedì 8 novembre 2012

Filosofia: "Gli uomini venturi"...

di Flores Tovo Il ritegno è lo stato d’animo fondamentale proprio degli uomini venturi. Secondo Heidegger tale sentimento non è da intendersi come riserbo o discrezione, bensì come disposizione dell’animo di coloro che con coraggio si pongono consapevolmente dentro la situazione emotiva dell’evento (si veda dell’autore l’opera “Contributi alla filosofia – Dall’evento). L’evento è la caduta dell’esserci umano nell’essere-tempo, ovvero esso rappresenta il momento originario in cui l’uomo cessa di vivere in una dimensione puramente zoologica, diventando ente pensante, in quanto la caduta nel tempo implica l’immergersi in quella temporalità che è il senso interno del futuro-passato che ci consente di progettare e quindi memorizzare le nostre azioni e pensieri. Lo stesso principio di ragion sufficiente, che è il principio logico più potente della nostra mente, è possibile solo in virtù dell’evento, in quanto basato sulla successione temporale del prima (la causa) e del dopo (l’effetto). L’ente umano quindi appartiene all’essere, che non solo è il principio di manifestazione, la radura luminosa (lichtung) entro cui gli enti si rivelano, ma è anche il pensiero che pervade la natura vivente, la nostra dea madre. I fondatori del pensiero europeo Anassimandro, Eraclito e Parmenide avevano ben compreso ciò. L’uomo è un ente della natura (physis) che riceve il dono del logos e della verità (alethèia), che comunque saranno sempre una ragione e una verità limitate, che possono a volte celarsi o disvelarsi come poi è avvenuto a seconda delle epoche storiche. Nel mondo dei fondatori l’immersione della vita umana nella natura era totale. Dionisio ed Apollo erano gli dei che la accompagnavano in un rapporto di complementarietà e compenetrazione. La pienezza della vita si attuava nei momenti di equilibrio fra misura e dismisura (hybris), come nel Tao fra yin e yang. Nietzsche ed Heidegger, in ultima analisi, sono dei venturi-già-venuti nella cui mente risuona il richiamo profondo dell’essere. Essi ci insegnano che i sentimenti che nascono nell’avvertire dentro di sé la risonanza dell’essere possono essere heideggerianamente o lo sgomento, che nasce da un profondo turbamento dovuto al contatto, o il pudore, da intendersi come compostezza, talvolta accompagnata, aggiungiamo noi, alla nicciana gioia danzante che ama il destino. Tali sono i sentimenti, a un tempo coltivati per la preparazione e spontanei per l’indole, di coloro, pochi e rari, che ancora sanno, ma soprattutto sentono di appartenere all’essere. Sentimenti che nascono, appunto, dal ritegno. Gli uomini venturi, in un mondo spalancato verso l’abisso, non si esibiscono, non partecipano alle corride, non urlano. “Dove cessa la solitudine, là incomincia il mercato e dove incomincia il mercato, là incomincia anche il rumore dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose” scriveva Nietzsche in “Also spracht Zarathustra” . I preti e i mercanti sono perciò i bagonghi del non-tragico (la vera tragedia è dionisiaca) circo presente. Tante domande sorgono. Che cosa potranno fare allora i venturi? L’esposizione, l’intervento, l’ardore sono le “normali” disposizioni emotive del signore che nulla teme rispetto al servo che in tutto trema, come aveva colto Hegel nella sua celebre “figura” storico-concettuale. Ma in questo presente tempo tali propensioni avrebbero ancora un senso? L’azione fisico-spaziale potrebbe ancora riportare de facto l’ordine dei ranghi nel caotico cosmopolitismo di oggi? Un secolo fa il “che fare” poteva ancora ribaltare il mondo o in una direzione o in un’altra: Lenin, ad esempio, riuscì a sconvolgere l’ordine secolare zarista, con una lucida e fredda determinazione kirilloviana capovolta: egli infatti convinse gli altri a suicidarsi. In Italia Balbo, Mussolini, Gentile, gli arditi seppero proporre gradualmente un disegno, una prospettiva. Si veda e si studi il libro di Sonia Michelacci sul comunismo gerarchico. Il “Progetto” di un mondo davvero nuovo ed antico era già stato annunciato. E’ rimasta la flebile risonanza. Il regno della quantità annienta e illanguidisce la qualità della vita. Mercato globale, società multirazziale, meticciato, democrazia rappresentativa, omologazione sono le parole guida che vengono somministrate ai popoli. Tuttavia gli attuali cosiddetti potenti, mai sono stati così impotenti. Nulla possono fare per fermare l’avvento del buco nero. Essi sono dei bagonghi, come si diceva, dei bagonghi svigoriti. Il “Gestell” travolgerà anche loro. Bisogna perciò attendere. Ciò non significa vivere sotto un cipresso ed osservare l’inevitabile consunzione. Nel dominio dell’imposizione tecnica il mondo cambia senza il nostro intervento e indipendentemente dalla nostra volontà, come aveva ben compreso Marx nella celebre Prefazione del 1859 alla “Critica all’economia politica”. Bisogna attendere che la politica diventi rischio, competenza, dirittura etica. Bisogna che le mosche velenose si ritirino nei loro luoghi naturali: i rifiuti e gli escrementi. Eraclito nel suo frammento numero 7 scriveva che “ se tutte le cose divenissero fumo, le narici saprebbero riconoscerle”. Egli intendeva dire che qualora tutto il mondo cadesse sotto una coltre di nebbia fittissima o in una notte oscura, dove tutte le vacche, dirà Hegel, sembrano nere, le narici, che in questo caso simboleggiano il logos, ossia il pòlemos (la contesa, il conflitto, la guerra, la competizione, ecc.) prima o dopo creerebbe le condizioni affinché le distinzioni e le differenze si affermino nel rispetto della giustizia naturale. Il pòlemos è il principio di ragione divina propria dell’essere che rende alcuni dei, altri uomini, alcuni signori, altri schiavi. Gli uomini venturi devono saper stare fermi nella calma piatta dell’occhio del ciclone, siano essi degli avatara o degli uomini apparentemente comuni. Non si diceva un tempo che la calma è la virtù dei forti? Tovo Flores e-mail : f.tovo@libero.it

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