mercoledì 14 novembre 2012
"Capire le multinazionali."
Franco Cardini – Stefano Taddei - Le Multinazionali – Introduzione Come ricorda Giuseppe Giaccio, riprendendo sul numero 47 della rivista “Trasgressioni” un tema caro ad Alain de Benoist, l’ingannevole discorso liberal-liberistico sull’armonia internazionale, o se si preferisce mondiale (e siamo alla “mondializzazione”, come i francesi preferiscono definire quel che di solito chiamiamo “globalizzazione”), si fonda sull’ “armonia naturale degli interessi” determinata dalla mano invisibile del mercato. “Idea sommamente belligena” – commenta in modo inappuntabile il Giaccio – in quanto “chi rifiuta di farsi colonizzare e ‘armonizzare’ con le ‘pacifiche’ armi della borsa, della finanza e del mercato, è considerato fuori dell’umanità, nemico del genere umano contro il quale ogni misura repressiva è non solo lecita, ma doverosa”. Il fatto è che questa “belligenia” è ben celata agli occhi distratti della pubblica opinione e che, al riguardo, la stragrande maggioranza dei media o cade nella trappola e non identifica le linee di fondo dell’inganno sotto la crosta pacifica e serena di quella “armonia naturale”, oppure la conosce benissimo, è complementare ad essa cioè di essa complice e le viene affidato il ruolo di mantenerla celata. Le nuove tirannie, quelle con le quali il XXI secolo pare chiamato a confrontarsi, non hanno più il volto arcigno e militaresco dei decrepiti sistemi conservatori né quello oceanico delle masse ben inquadrate dei totalitarismi. Il consenso sul quale il totalitarismo liberal-liberistico si fonda è fondato sulla demobilitazione delle masse e sulla loro sistematica riduzione a somma d’individui più o meno soddisfatti dei loro consumi o – nella fase che andiamo attraversando – rassegnati al loro contrarsi, anch’esso “naturale”. L’inganno funziona anche, in gran parte, in quanto i suoi soggetti protagonisti restano nell’ombra: la “società dei consumi” (e dei profitti) si fonda solo apparentemente sulla “visibilità”, specchietto per le allodole che serve largamente a stornare l’attenzione e a creare falsi obiettivi. Solo negli ultimi tempi, dinanzi al fallimento drammatico di quei politici ch’erano i suoi “comitati d’affari”, in alcuni paesi – tra cui l’Italia – le oligarchie economico-finanziarie si sono viste costrette a intervenire in prima persona o quasi, quanto meno affidando ruoli politici ai loro grands oppure petits commis dal momento che il personale esecutivo selezionato da una politica sempre più degradata culturalmente, professionalmente e moralmente si era tragicamente mostrato in tutta la sua inadeguatezza. Questi sono alcuni tratti che distinguono l’età presente e che si vanno proiettando verso un futuro a tutt’oggi molto difficile non diciamo da intravedere, ma nemmeno da prospettare e da ipotizzare. Certo, la funzione del “pubblico” e del “bene comune” va ulteriormente riducendosi e assottigliandosi in questa fase: siamo allo “stato minimo”, a quella che Benjamin R. Barber ha definito la thin democracy. Nascono, o emergono, e acquistano legittimità, nuovi soggetti fino a ieri impensabili o quanto meno “impresentabili”: ci troviamo dinanzi a quella che in termini medievistici potremmo definire una “allodializzazione” dei pubblici poteri e degli interessi comuni; nel plurisecolare duello tra due valori volgarmente avvertiti come complementari ma ontologicamente antitetici, la libertà e l’uguaglianza, la prima sembra aver stravinto e proporsi nella sua nuda, brutale realtà ossimorica, cioè asservimento dei moltissimi come base e garanzia della libertà sempre più ampia di pochissimi, ingiustizia e iniquità come “naturale” (ancora!) risultato di un processo dinamico di successive cancellazioni di tutti quei corpi intermedi (stato compreso) che fino a ieri o a stamani mattina si frapponevano tra capitalismo e persona impedendo o intralciando il definitivo asservimento di questa rispetto a quello. L’imperativo marx-engelsiano, “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!”, sembra essere stato stravolto nel suo opposto: le vicende che qui richiamiamo, quelle dei “soliti ignoti” cioè delle multinazionali, dimostrano che nell’età postmoderna tutti i “lavoratori” (e i semioccupati, e i disoccupati, e i diseredati) si sono frammentati e dispersi, mentre a unirsi – salvo che ciò preluda a nuovi conflitti – per il momento sono stati invece i padroni. Non possiamo opporsi a questa dinamica, sappiamo di essere impotenti dinanzi ad essa, non c’illudiamo sul valore del nostro contributo. Che tuttavia tende, con molta modestia, a tradurre in termini politici il vecchio imperativo esorcistico, Quomodo te vocaris? Ecco: questo è un contributo al disincanto weberiano. Cominciamo a conoscerli e a chiamarli per nome, questi padroni. Cominciamo a riconoscerli, a costringerli a salire al proscenio, a farsi vedere. Cominciamo a contarli e a parlare di loro. Ce la siamo troppo a lungo presa con i politici mediocri e corrotti che essi mandavano avanti a spianare la loro strada: e, come lo stupido cane bastonato, abbiamo azzannato il bastone anziché la mano che lo guidava, e meglio ancora la gola di chi ci stava bastonando. Abbiamo perfino facvorito senza volerlo le guerre tra i popveri, assistendo allo spettacolo desolante delle zuffe tra gli sventurati migranti e gli sventurati sottoproletari convinti che siano i migranti a rubar loro quel po’ di prosperità alla quale erano abituati, o meglio assuefatti. Diceva Vladimir Ilich Ulianov: “La Rivoluzione è l’elettrificazione del paese e il fucile sulla spalla degli operai”. Siamo ancora in quelle stesse condizioni. Elettrificare il paese, oggi, significa diffondere le cognizioni sulla verità a proposito della globalizzazione della quale le multinazionali sono protagonisti. Il nuovo fucile, sulla spalla dei nuovi operai del XXI secolo, sarà la lucida consapevolezza, da parte di tutti i non-privilegiati, di chi siano i loro autentici nemici. Stefano Taddei – Franco Cardini
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