Nell’epoca in cui la politica si prostra al potere economico e finanziario, innanzi al proliferare di una nuova religione che serpeggia nei palazzi romani, il centralbanchismo, dove le banche rappresentano le nuove cattedrali e i banchieri i nuovi sacerdoti, con un Draghi nel ruolo di sommo Pontefice; tutto il sistema politico deve cambiare, dobbiamo uscire dalla concezione del ‘libero mercato selvaggio’ dove l’economia virtuale, finanziaria e speculativa prevarica l’economia reale e produttiva, che crea ricchezza e posti di lavoro.
Occorre dare risposte forti e per fare questo non bisogna essere veri economisti; questi non sono quelli che frequentano i salotti televisivi e si riempiono la bocca di belle parole, ma quelli che riescono ad arrivare alla fine del mese, pagare un mutuo o un affitto, pagare le bollette, e mantenere dignitosamente una famiglia.
Oggi le banche adottano politiche sempre più restrittive, negano prestiti, chiudono le aperture di credito dalla sera alla mattina, revocano gli affidamenti alle aziende, già martoriate da normative vessatorie come Basilea 2 e 3.
Aggiungiamo pure l’operato di un Leviatano come Equitalia, vera e propria estorsione legalizzata, ed immaginiamo in che contesto possano operare le nostre imprese; già oberate da una burocrazia e da un fisco sempre più oppressivo, pronto a rastrellare risorse attraverso l’aumento indiscriminato di tasse e tariffe che non vengono però riammesse sul mercato ma dirottate a pagare gli interessi passivi sul debito pubblico.
Serve necessariamente un rilancio dell’economia e del sistema produttivo che può avvenire solamente attraverso una rivoluzione radicale che impone:
1) ricondurre le attività monetarie sotto il controllo della politica; (proposta di legge per emissione diretta da parte dello Stato)
2) istituire di un Comitato Interministeriale per il Credito ed il
Risparmio (CICR) nell’interesse dei cittadini;
3) le Banche Centrali devono tornare pubbliche, perché i soggetti che creano moneta e determinano il tasso di sconto, non possono assolutamente essere privati.
Questo ha fatto e sta facendo l’Ungheria di Viktor Orban, rilanciando l’intero sistema economico-produttivo del paese dopo aver riacquisito la proprietà della propria Banca Centrale e, conseguenzialmente, il controllo del debito pubblico; come già fa un altro paese economicamente avanzato come il Giappone, con un debito di gran lunga superiore a quello già esorbitante dell’Italia, ma con un’economia dai fondamentali più solidi rispetto a quella del nostro Paese.
Ma là dove non è possibile avere risposte dal governo centrale, occorre necessariamente ripartire dal territorio, prendendo ad esempio realtà che hanno già avviato progetti che si sono ampiamente concretizzati e consolidati quali alternative al sistema economico imperante.
Qual è lo Stato che può vantare una disoccupazione minima, aumenti del Pil a due cifre con incrementi dei redditi delle persone fisiche oltre al 25% in pochi anni? L’autore di questo miracolo è il North Dakota, ovvero uno dei piccoli e in apparenza marginali tra gli stati della federazione.
La sua fortuna? Non aderire al Federal Reserve System, ovvero al circuito finanziario imperniato sulla Fed, la Banca centrale americana.
Il successo del North Dakota è tutto qui: pur usando il dollaro come valuta di scambio, oggi è l’unico Stato americano che non dipende dalla Federal Reserve. A garantire le sue riserve sono i cittadini.
Per legge lo Stato e tutti gli enti pubblici devono versare i fondi nelle casse della Banca centrale del North Dakota, che li usa non per ottenere utili mirabolanti, né per oliare indebitamente le banche private, ma per aiutare la crescita dello Stato.
Di fatto agisce come un’agenzia di sviluppo economico e dunque sostiene progetti d’investimento, concede finanziamenti a tassi molto bassi, nonché un numero impressionante di prestiti a condizioni eque.
Questi investimenti producono ricchezza nel territorio e dunque nuovo gettito fiscale, nuovi fondi per la banca; insomma, generano un ciclo virtuoso. In ultima analisi lo scopo della banca centrale di un Paese dovrebbe essere quello di agevolare uno sviluppo economico armonioso e senza squilibri finanziari o inflazionistici. La Bank of North Dakota ci riesce a tal punto da chiudere ogni anno in utile.
Sulla base di questa esperienza, la principale tra tante altre, Progetto Nazionale ha elaborato una proposta che vuol essere una provocazione, uno spunto allo studio, all’elaborazione, al fine di una possibile concretizzazione per un vero e reale modello alternativo; in risposta a chi oggi si preoccupa maggiormente dello spread piuttosto che delle imprese che chiudono e a chi presta più attenzione agli artificiosi parametri dell’inflazione piuttosto che dei sempre più numerosi italiani che fanno la fila per mangiare alle mense della Caritas.
Dobbiamo trovare alternative per reperire risorse, sempre più sottratte ai cittadini dai governi di ogni colore, divenuti veri e propri esattori fiscali in nome e per conto del sistema bancario; perché se non sappiamo dove andare a prendere il denaro, è inutile che parliamo di ricerca, di sanità, di realizzare infrastrutture e di stato sociale.
PROGETTO BANCA LOCALE
In un contesto in cui persiste appunto la sudditanza della classe politica al sistema bancario e soprattutto innanzi alla scesa in campo dei banchieri in prima persona, in mancanza dell’adozione di misure necessarie a rilanciare l’economia da parte del governo centrale; occorre necessariamente ripartire dal territorio e organizzare strumenti per reperire nuove risorse. In quest’ottica, il Comune o l’unione di più comuni, potrebbe prendere in considerazione l’idea di creare una banca, concepita come Ente morale (in sintonia con lo spirito delle prime Casse di Risparmio); una ricetta realizzabile e concretizzabile solamente attraverso la volontà degli amministratori.
La BANCA LOCALE, volta al rilancio dell’economia del territorio, è una banca pubblica dove, da statuto, necessariamente, il 51% dovrà essere detenuto dal Comune stesso, il restante ad azionariato diffuso.
Il Comune, depositandovi parte delle sue entrate fiscali (ricordiamoci che esistono amministrazioni virtuose che chiudono i bilanci in attivo e non possono spendere il surplus nel rispetto dei scellerati patti di stabilità), unitamente agli asset immobiliari, va a costituire la maggioranza del capitale sociale cui aggiungere i depositi provenienti dai risparmi. L’ammontare del capitale, va a costituire deposito della banca che, nel pieno rispetto della regolamentazione sancita dal sistema bancario, può essere moltiplicato, a fini di nuovi impieghi, per un fattore di 9, secondo il principio della riserva frazionaria.
Da qui, la banca, ha la facoltà di concedere prestiti (le proprie entrate moltiplicate per 9) a chiunque ne abbia i requisiti; famiglie, piccole-medie imprese, industriali, artigianali o agricole e all’amministrazione stessa. In relazione agli eventuali rischi per attività e gestione condotte in maniera scriteriata, occorre precisare in primis che la Banca Locale, non avendo finalità di lucro per statuto (e le eventuali eccedenze a bilancio vengono destinate ad aumentare il capitale sociale, creando un effetto dinamo sul coefficiente moltiplicatore), rimane vincolata ad utilizzare la raccolta per impieghi sul territorio (parte di questi impieghi possono purtroppo avere anche esiti negativi per investimenti sbagliati, ma proporzionalmente non saranno mai in grado di far crollare un sistema al pari di un utilizzo meramente speculativo). Secondariamente poniamo un quesito: quale maggior rischio hanno contratto fino ad ora le amministrazioni che hanno visto imporsi dalle banche operazioni coi derivati che hanno condotto anche alcuni enti pubblici e comuni stessi alla soglia del fallimento? Anche solo uscendo da questa logica cui le amministrazioni erano costrette ad affidarsi per accedere a finanziamenti, rimane quindi un fattore positivo.
È normale che i criteri di impiego della raccolta debbano essere fatti nella maniera più accorta possibile, primo perché vengono utilizzati soldi pubblici, secondariamente perché vanno finanziati esclusivamente progetti seri e concreti che possano ridare effettivamente slancio all'economia del territorio alimentando il circuito produzione-occupazione-consumo.
Di fatto la banca agirebbe come una agenzia di sviluppo economico, sostenendo progetti di investimento, e da calmiere dei tassi di interesse, concedendo finanziamenti a tassi notevolmente più bassi rispetto a quelli attualmente sul mercato. Si produrrebbe così ricchezza nel territorio e dovunque nuovo gettito fiscale, nuovi fondi per la banca; insomma, andrebbe a generarsi un ciclo virtuoso, lontano da squilibri inflazionistici, bolle speculative e ‘derivati’; un’economia non ‘dopata’, ma sana, fondata sul risparmio e sugli investimenti.
Attraverso una simile operazione, non solo si taglierebbero fuori i tradizionali ‘istituti di debito’, ma si potrebbe seriamente rivitalizzare il tessuto economico e rilanciare lo sviluppo sul territorio, facendo fronte alla realizzazione e alla manutenzione straordinaria delle infrastrutture.
La strada è molto difficile e ne siamo consapevoli, ma risulta una proposta scomoda e coraggiosa, che darà fastidio, anche se vista solamente come provocazione politica, a politici ed amministratori sempre più incapaci di pensare e proporre alternative per uscire dalla crisi sempre più dilagante.
La politica prima o poi, se vorrà realmente fare gli interessi del territorio e della nostra gente, dovrà raccogliere il testimone.
Il vostro entusiasmo, la vostra passione, la voglia di cambiare le cose sono gli ingredienti giusti di un’Italia che vuole cambiare.
Di una cosa siamo sicuri: questi ingredienti fanno parte del dna di Flavio Tosi, che può cambiare veramente le cose partendo proprio dal territorio!
Con Progetto Nazionale!
Con Flavio Tosi!
Per Ricostruire il Paese!
Manuel Negri
Responsabile nazionale Linea Politica
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