Quando mi è stato gentilmente chiesto, da un camerata ben più titolato di me, di scrivere qualcosa su Pino Rauti, inizialmente, mi sono tirato indietro perché non mi sentivo, certamente la persona più indicata a farlo. Infatti mio rapporto politico con Pino Rauti è iniziato tardi, è stato decisamente “complesso” ed è durato poco. Nel Movimento Sociale Italiano mi riconoscevo nella componente culturale “di destra” che faceva riferimento a Pino Romualdi e, a Milano, all’eurodeputato Franco Petronio. Al congresso missino di Rimini che elesse Rauti alla segreteria nazionale del partito, seguendo le indicazioni dei “romualdiani” milanesi (in particolare di Alfredo Mantica), sostenni il suo avversario, Gianfranco Fini, indicato da Giorgio Almirante come suo successore. Nei mie anni di militanza politica, come dirigente locale del partito (del Fronte della Gioventù di Via Mancini, del Fronte Universitario di Azione Nazionale di Scienze Politiche in Statale e del MSI della sezione della storica “zona nera” di Milano - Porta Venezia), mi sono sempre schierato, con Ignazio La Russa, contro i “rautiani”, ritenendola, allora, la posizione più giusta, coerente ed a me congeniale.
Ovviamente, al di là delle divisioni e dei momenti congressuali, il Movimento era, comunque, una solida comunità umana prima che politica, ed io, come la maggioranza dei miei camerati, ho sempre servito lealmente la fiamma missina, a prescindere da chi fossero i suoi dirigenti, diventando personalmente amico di tanti “rautiani”, in particolare del loro rappresentante lombardo (e mio storico segretario del Fronte) Marco Valle. La mia, realista e lealista, appartenenza “almirantiana-finiana” però non mi ha certamente impedito di leggere tutte le opere di Rauti e di seguire attentamente tutte le sue, diverse e numerose, iniziative culturali ed editoriali (come il giornale Linea), rimanendo particolarmente affascinato (e direi segnato) dal fondamentale libro “Le idee che mossero il mondo” che consiglio, soprattutto ai giovani.
Anche quando nasce Alleanza Nazionale, rimango, critico ma disciplinato (come ed insieme al mio mitico amico Teodoro Buontempo), con la maggioranza dei missini che ha accettato il nuovo progetto e percorso politico, e non seguo Rauti ed il vecchio senatore milanese Cesare Biglia che invece daranno vita alla Fiamma Tricolore. Sarà solo qualche anno più tardi, nel 1999, che profondamente deluso e disgustato dalle abiure e dalle giravolte politiche di Fini (quanto dall’accondiscendente silenzio della sua classe dirigente), decido, come Presidente di Zona 3, insieme ad altri dirigenti e consiglieri (come i fraterni amici Riccardo Falcone e Sergio Spinelli), di lasciare AN per aderire alla Fiamma di Rauti che subito mi accolse con una lunga e calorosa telefonata.
Di Rauti ho un ricordo complessivamente positivo, di una persona assolutamente profonda, estremamente colta, che non si fermava mai davanti alle apparenze ed alle novità ma che ne cercava sempre di analizzare tutti gli aspetti, facendo continuamente ricerche e studi, per essere costantemente aggiornato sul mondo moderno che cambia così velocemente. Pino Rauti era uno studioso che non si arrendeva e fermava mai, cercando sempre di essere sulla cresta dell’onda, per continuare a “cavalcare la tigre”. In realtà, possiamo tranquillamente dire che, per lui, la Fiamma era “un peso”, nel senso positivo di un dovere d’onore, nei confronti della propria comunità e del proprio giuramento, fatto come Combattente della Repubblica Sociale Italiana, al Fascismo ed a Mussolini.
Mai avrebbe pensato, l’uomo dell’Andare Oltre e dei Campi Hobbit, di Fare Verde e dello sfondamento a sinistra, di guidare un piccolo partito “nostalgico”, ma si è fatto carico di questo onere, probabilmente anche contro voglia, per principio, per mantenere alta la nostra bandiera ideale e fede alla parola data. Questo era lo spirito che accomunava me (allora giovane dirigente della destra milanese che aveva sostenuto il progetto di Alleanza Nazionale) al “grande vecchio” del neofascismo italiano (storico capo della sinistra missina): dovevamo, a tutti i costi e al di sopra di ogni altra cosa (comprese la dialettica interna e le nostre personali carriere politiche), difendere la memoria, la dignità della nostra comunità umana e politica, il sacrificio dei nostri caduti, continuando a testimoniare le nostre idee, senza “lasciare soli” le migliaia di camerati traditi ed abbandonati dall’infame Fini. Di questo, con Rauti, abbiamo parlato spesso ed a lungo: Lui era un vero uomo della Tradizione, quindi, profondamente ancorato alla nostra storia (le famose “radici che non gelano mai”), guardava sempre avanti e pensava veramente al futuro, ma, non poteva concepire il tradimento di chi sputava nel piatto dove aveva mangiato fino ad allora, di chi disonorava la memoria dei propri padri, in cerca solo di potere fine a se stesso.
Avanti si ma senza rinnegare, questo è l’insegnamento principale, oltre ad un fortissimo senso di giustizia sociale, che mi ha lasciato Pino Rauti.
Roberto Jonghi Lavarini
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