CCP

venerdì 23 marzo 2012

"Strano ma vero": Ebrei Ortodossi anti-sionisti ed amici dell'Iran.



"Strano ma vero": nel mondo vi solo oltre 40.000 Ebrei ortodossi anti-sionisti, negazionisti, filo-palestinesi ed amici dell'Iran. Ricordiamo, fra l'altro, che nella capitale Teheran, esiste una splendida sinagoga ed una antica e felice comunità ebraica, perfettamente integrata, che sostiene convintamente gli interessi nazionali persiani.


Iniziativa di Solidarietà



Iniziativa di Solidarietà a sostegno dei serbi critiano-ortodossi del Kossovo.

Aperitivo con Cesare Ferri

La Memoria di un Popolo



"Un popolo che perde la propria memoria storica è un popolo destinato alla servitù fisica e morale, prima, alla perdita della sua identità nazionale, poi, e, infine, alla sparizione. A poco potranno giovargli – come all’italiano – l’essere stato l’autore di ben tre civiltà, il fatto di possedere il 90% dei monumenti d’arte di tutta l’Europa, il favellare nella lingua più armoniosa e bella del mondo, l’avere le donne più belle e gentili del globo terracqueo, e l’aver avuto gli uomini più intelligenti e valorosi del genere umano. Nulla da fare, un siffatto popolo, che dimentichi chi è e che cosa ha fatto, è destinato a sparire.“

Conte Prof. Pio Filippani Ronconi, Patrizio Romano, Volontario nelle SS Italiane delle RSI.

giovedì 22 marzo 2012

Beatrice Feo Filangeri per Palermo!



Donna Beatrice Feo Filangeri dei Principi di Cutò

“Donna di Cultura, Artista, Mecenate, caposcuola del Pop Barocco italiano”

Candidata Indipendente nel Popolo delle Libertà al Comune di Palermo

Chi è ROBERTO JONGHI LAVARINI



Agenzia ITALIA INFORMA: Chi è ROBERTO JONGHI LAVARINI

Milano, 22 marzo 2012

Roberto Jonghi Lavarini ha 39 anni, è felicemente sposato con Veronica ed ha due figlie di 10 e 5 anni, Beatrice e Ludovica. Laureato in Scienze Politiche alla Università Statale di Milano, lavora come consulente immobiliare nella società di famiglia ed è iscritto a diverse associazioni di categoria. Cristiano Cattolico praticante, fedele alla Tradizione, è Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Volontario del Corpo Italiano di Soccorso del Sovrano Militare Ordine di Malta. Appassionato di storia, cultura, araldica, tradizioni religiose e popolari, enogastronomia e sagre paesane, è molto legato alle radici ed alla identità Walser (tedesco-vallese) della propria famiglia e fa parte del gruppo folkloristico del suo paese di origine, Ornavasso. Da sempre coerente militante di destra, è stato: Segretario Provinciale del Fronte della Gioventù di Milano, Dirigente Provinciale del Movimento Sociale Italiano, Dirigente Regionale di Alleanza Nazionale della Lombardia, Consigliere Circoscrizionale e Presidente della Zona Porta Venezia. Attualmente, per scelta, non ricopre alcuna carica politica e non è iscritto a nessun partito.

INFO: www.robertojonghi.it CONTATTI: robertojonghi@gmail.com

Ungheria esempio contro il mondialismo!

"Porzus e dintorni: quando i comunisti ammazzavano gli antifascisti" di Marco Valle



PORZUS E DINTORNI.
QUANDO I COMUNISTI AMMAZZAVANO GLI ANTIFASCISTI

Di Marco Valle

Sette febbraio 1945. Friuli Orientale. Un centinaio di militi comunisti irrompe di sorpresa nel comando dell’Osoppo. L’azione è rapida, brutale. Terroristica. In pochi minuti gli attaccanti sono padroni del campo. Il bilancio dell’operazione è netto. Vittoria. I difensori, frastornati, alzano le braccia. Urlano, imprecano. Nessuno gli ascolta. I vincitori hanno una stella rossa sul berretto e tanta fretta. Gli ordini del partito sono chiari e non si discutono: il quartier generale degli “osavani” deve essere annientato. Il plotone d’esecuzione è pronto. Qualcuno intona “bandiera rossa”. Pietà l’è morta…
Sette febbraio 1945. Nei boschi della Carnia i sicari dei gruppi d’azione partigiana assassinano il comandante Francesco De Gregori — lo zio dell’artista romano —, i suoi luogotenenti — tra cui Guido Pasolini, il fratello di Pier Paolo — e i loro commilitoni. Un massacro. Venti partigiani italiani, venti antifascisti cadono falciati da raffiche di mitra. Raffiche corte, raffiche lunghe. Raffiche assassine. Tutte sputate dai mitra impugnati da altri partigiani. Anche loro italiani. Anche loro antifascisti. Perché?
Una domanda che rimbalza da decenni tra i monti del Friuli, le memorie dei protagonisti e le paure dei testimoni; un interrogativo silenziato per più di mezzo secolo nei tribunali dello Stato o sepolto negli archivi del defunto PCI e dell’ex Jugoslavia comunista. È “l’affare Porzus”, uno sporco affare.
A tutt’oggi — persino in questo primo scorcio del terzo millennio — quei venti morti rimangono un ricordo intollerabile per gli sfiatati cantori del manierismo resistenziale, un problema terribilmente fastidioso per larghi segmenti della società politica italiana, una questione aperta che dopo sessant’anni imbarazza giornalisti e gran parte degli storici. Di quella strage lontana — la prima delle troppe mattanze che, da Portella delle Ginestre a Bologna e oltre, punteggiano il nostro interminabile dopoguerra — meglio era (è) non parlarne. Meglio dimenticare, scordare. E — se proprio necessario — basta(va) un accenno confuso e deviante. Ancora una volta, perché?
Le risposte — complesse, atroci, definitive — le ritroviamo, finalmente, in “Porzus. Violenza e Resistenza sul confine orientale”. Un libro importante. Coraggioso. Il lavoro, curato da Tommaso Piffer e pubblicato — con il contributo dell’Associazione Partigiani Osoppo Friuli — da Il Mulino, raccoglie i contributi di Elena Aga-Rossi, Patrick Karlsen, Orietta Moscara, Paolo Pezzino, Tommaso Piffer e Raoul Pupo ed illumina con fredda obiettività il contesto nazionale e internazionale del tempo, i passaggi che portarono all’eccidio, le ragioni che hanno reso controversa la memoria del massacro, le tappe del dibattito storiografico e — dato centrale — i motivi dell’assordante silenzio di una “repubblica nata dalla resistenza”.

Una storia scomoda

Rompendo schemi desueti quanto ipocriti, gli autori del saggio — senza sconti per alcuno e forti di un’imponente documentazione proveniente dagli archivi italiani, ex jugoslavi, tedeschi e britannici — hanno in primo luogo indagato la tragedia delle terre di frontiera. Non a caso. Analizzare i fatti del 7 febbraio ‘45 e gli eventi collegati significa non solo illuminare un angolo buio della nostra storia ma (ri)aprire il dibattito sulla complessità e le divisioni del movimento di resistenza antifascista in Europa, in Jugoslavia e in Italia. Infrangendo più di un tabù.
Come Piffer sottolinea nella sua introduzione, «la vicenda di Porzus e il contesto in cui essa è collegata mostrano come la storia del periodo 1943-1945 sia comprensibile nella sua interezza solo se ricondotta al suo vero contesto: un contesto nel quale il conflitto “bilaterale” tra democrazia e nazifascismo si intreccia con il conflitto “trilaterale” tra fascismo, democrazia e comunismo. Un duplice scontro all’interno del quale il conflitto tra forze comuniste e forze antifasciste non comuniste ebbe in alcune zone un’intensità non dissimile da quella tra le stesse forze antifasciste e il nazismo».
Andiamo per ordine. Nell’ultimo conflitto mondiale nei paesi occupati dall’Asse il rifiuto all’hitlerismo fu un richiamo potente e — come, peraltro, il collaborazionismo — assolutamente trasversale. L’opposizione armata all’Ordine Nuovo berlinese assunse — soprattutto dopo El Alamein, Stalingrado e l’armistizio italiano —, dimensioni di massa, trasformandosi in un fattore politico e militare importante in cui s’intrecciarono motivazioni diverse, talvolta contradditorie e spesso contrastanti.
I comunisti, sebbene avessero imbracciato le armi — a differenza delle formazioni nazionaliste, come i gollisti in Francia o l’esercito clandestino polacco — solo nell’estate ’41 dopo la rottura del patto tra l’URSS e il Reich, presto trasformarono l’antifascismo in un vettore ideologico ambiguo, in un coltello a doppia lama. Su ordine di Mosca, celandosi dietro a parole d’ordine rassicuranti (moderate, unitarie e persino scioviniste), i quadri dei PC — un nucleo di solidi “rivoluzionari di professione”, forgiati da decenni di sconfitte e ripetute “purghe” interne — trasformarono la guerra contro la Germania in una fase podromica alla rivoluzione e all’espansione sovietica. In questa logica le forze resistenziali (comprese quelle d’ispirazione anarchica o trotzkista) che non accettavano l’egemonia delle “avanguardie” dovevano essere neutralizzate o/e annientate. Con ogni mezzo, in tutta Europa.
Come annota ancora Piffer, è proprio in nome dell’antifascismo «che furono eliminati i partigiani osovani a Porzus, sulle cui credenziali democratiche non vi può essere dubbio alcuno… è in nome dell’antifascismo che le forze di Tito eliminarono le forze partigiane nazionaliste per poi imporre al paese un regime comunista, o che nel 1946 giustiziarono il loro leader Draza Mihailovic, che all’inizio del conflitto avevano celebrato come il leader della resistenza antifascista europea. Ed è sempre in nome dell’antifascismo che Stalin fece massacrare la resistenza polacca non comunista durante l’insurrezione di Varsavia del 1944, così da poter instaurare senza ostacoli il sistema socialista nel paese alla fine della guerra». La tragedia carnica non fu quindi un’anomalia, un “triste errore” ma era parte di un preciso progetto politico-strategico fissato da Stalin e applicato con cinismo e determinazione dai suoi terminali nazionali.

Lotta di classe e pulizia etnica

Al tempo stesso Porzus e l’intera vicenda del confine orientale presentano varianti e conseguenze originali e impreviste. Tra il 1943 e il 1954 (e oltre), in quell’angolo d’Italia si consumò non solo il “conflitto trilaterale” ricordato da Piffer, ma anche un segreto duello per la primazia sul movimento comunista nell’Europa meridionale tra due partiti comunisti ferocemente stalinisti e tra Tito e Togliatti, due leader rigidamente “moscoviti”. Un gioco ambiguo e, tutt’oggi, poco esplorato.
Come spiegano nei loro contributi Raoul Pupo e Orietta Passerini, nell’ultima fase del conflitto Josif Broz Tito, a differenza del callido Palmiro — rimasto prudentemente in URSS sino al collasso del fascismo —, divenne uno dei protagonisti del panorama internazionale. Capo di un esercito irregolare e (grazie al contributo britannico) vittorioso, il rivoluzionario croato aveva — sfidando gli ordini di Stalin, attento agli equilibri internazionali e fautore di un gradualismo rivoluzionario — imposto il comunismo più duro e severo a un’intera nazione.
Forte del suo successo, Tito si convinse d’essere il principale referente europeo di Mosca e, in polemica con i “partiti fratelli” — si veda a riguardo François Fejto e la sua fondamentale “Storia delle democrazie popolari” (Bompiani, 1977) — impose al PCJ una deriva estremistica, un intreccio di politiche radicali e d’esasperato nazionalismo “gran yugoslavo”. Approfittando della battaglia contro gli invasori stranieri, i “titini” scatenarono in una guerra civile feroce e una “pulizia di classe” accurata quanto criminale. Con l’accusa di “fascismo”, i partigiani rossi annientarono non solo gli avversari e i “nazionalisti borghesi” ma ogni segmento sociale, politico e culturale considerato potenzialmente nemico della “nuova Jugoslavia”: intellettuali, religiosi, imprenditori, piccoli e grandi proprietari terrieri e poi monarchici, liberali e poi socialdemocratici, anarchici, autonomisti croati, sloveni, macedoni, albanesi.
Come ricordava l’ex braccio destro di Tito e poi dissidente Milovan Gilas nel suo libro “Conversazioni con Stalin” (Feltrinelli, 1962), il padrone del Cremlino non apprezzò questo “inutile zelo” che rischiava d’irrigidire gli americani, ma con realismo preferì posticipare l’inevitabile rottura e legittimò parte delle ambizioni territoriali — cassando però le incredibili promesse (l’occupazione del Veneto e della Lombardia) fatte agli jugoslavi da Churchill — dell’ingombrante discepolo balcanico.
In nome della fedeltà all’Unione Sovietica, ai comunisti italiani non rimase che adeguarsi e obbedire. Il punto di svolta decisivo fu l’incontro a Roma, nell’ottobre del 1944, tra i dirigenti titini e il leader del PCI, nel quale Togliatti accettò le loro pretese sull’Istria, Fiume, Trieste, Gorizia e gran parte del Friuli; pochi giorni dopo “il migliore” emanò la direttiva di favorire in ogni modo «l’occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito», ordinando ai suoi referenti locali di «prendere posizione contro tutti quegli elementi italiani che si mantengono sul terreno e agiscono a favore dell’imperialismo e nazionalismo italiano e contro tutti coloro che contribuiscono in qualsiasi modo a creare discordia tra i due popoli».
Da quel momento le formazioni comuniste italiane passarono sotto gli ordini diretti del comando del IX Corpus jugoslavo; chi non tra i “garibaldini” mugugnò o protestò — e vi furono più casi — fu prontamente eliminato. In questo quadro la stessa esistenza dell’Osoppo divenne per il PCJ e i suoi ausiliari italiani, semplicemente intollerabile. I comunisti di Togliatti, per ordine della federazione del PCI di Udine o/e dai “titini” — la questione è ancora aperta —, s’incaricarono di “risolvere” il problema e il sette febbraio ‘45 salirono a Porzus…

Gli scheletri nell’armadio

Da subito, come nel caso delle foibe e del terrorismo anti italiano, il PCI cercò di stendere una fitta coltre sull’episodio. Per decenni, con tenacia, dogmatismo e arroganza Botteghe Oscure e un triste sodalizio come l’ANPI imposero una visione manichea e storicamente inattendibile; ancora nel 1992 Occhetto e il PDS resero impossibile a Cossiga una commemorazione ufficiale a Porzus e tutt’ora il film di Renzo Martinelli sul massacro (girato nel’97) rimane mestamente congelato negli archivi RAI (con buona pace di chi blaterava di “colonizzazione berlusconiana” della TV di Stato). E quando una persona onesta e intelligente come l’ex comunista triestino Stelvio Spataro (forse uno dei possibili custodi degli archivi segreti dell’agente stalinista Vidali…) osò qualche accenno sulla vicenda, fu subito brutalmente zittito. Per il partito nulla d’importante era successo. Di nulla si doveva parlare. Un silenzio assordante. Non mancarono gli ipocriti e gli ignavi: uno per tutti il non compianto Bocca che accusò il povero De Gregori di viltà, attendismo e, persino, di grafomania anti comunista….
Resta il fatto che per Togliatti ieri — e per i suoi tristi epigoni, oggi — è(ra) difficile, forse impossibile ammettere, come sottolinea Patrick Karlsen che «per il partito comunista la motivazione nazionale della guerra di liberazione era un fatto negoziabile sull’altare dello scontro di classe». Non a caso per lo studioso (autore di un importante lavoro come “Frontiera rossa. Il PCI, il confine orientale del contesto internazionale”, Editrice Goriziana, 2010) Porzus e le foibe sono eventi assimilabili «nella misura in cui a essere colpiti dalla pulizia di classe comunista sono stati altri antifascisti. Nel fenomeno delle foibe vediamo almeno due logiche in azione. C’è un’epurazione preventiva nei confronti di coloro che, per ragioni ideologiche o nazionali, vengono considerati nemici della Jugoslavia comunista che si sta formando ed espandendo; e c’è un’epurazione punitiva, diretta a eliminare i fasciti o presunti tali. Nell’eccidio di Porzus all’opera c’è solo la prima spinta: a essere trucidati dai partigiani comunisti furono gli altri resistenti, alleati nella lotta di liberazione ma contrari all’annessione alla Jugoslavia comunista».
Ma vi è di più. Per i nostalgici del PCI affrontare con coraggio il massacro dell’Osoppo significherebbe aprire le pagine più buie del loro “album di famiglia” e spiegare le corresponsabilità, tra il 1944 e il 1948, dei comunisti italiani nella distruzione di ogni opposizione antifascista non comunista (nazionale e slava) ad est del Tagliamento.
Accanto a De Gregori, Pasolini e gli altri martiri “osoppiani” lungo è l'elenco di antifascisti e partigiani assassinati, traditi, infoibati. Il primo è Luigi Frausin, dirigente triestino del PCI, ostile alla sottomissione ai “titini”: arrestato dai nazisti su “delazione slava” — come recita la motivazione della Medaglia d’oro alla memoria —, morì assieme ai suoi compagni tra le mura della Risiera. Altri furono eliminati direttamente dai comunisti: tre membri del Cln di Trieste; due di quello di Fiume; Vinicio Lago, ufficiale di collegamento della Brigata Osoppo; Enrico Giannini, del Corpo Italiano di Liberazione.
Come ricorda Maurizio Stefanin su “cronache di Liberal” (febbraio 2010), rimane «allucinante la sorte di Angelo Adam, un ebreo e repubblicano storico che finì infoibato dopo essere stato confinato a Ventotene ed essere scampato anche al lager di Dachau: sua moglie e sua figlia minorenne, arrestate per essere andate a chiedere informazioni sulla sua sorte, furono fatte scomparire a loro volta. Teobaldo Licurgo Olivi, membro socialista del Cln di Gorizia, fu arrestato dagli jugoslavi il 5 maggio 1945 e fucilato a Lubiana il 31 dicembre successivo. Di Augusto Sverzutti, membro dello stesso Cln per il Partito d'Azione e arrestato assieme a lui, si sa che era ancora vivo e detenuto nel 1949. Poi, il mistero. Né mancarono quei comunisti cui l'ideologia non aveva impedito di rimanere fedeli all’ideale patriottico. Tra questi, spicca il nome di Rocco Cali, un combattente della Brigata Garibaldi Natisone. Fu assassinato a Rovigno nel maggio 1945 perché, anche dopo la decisione del Pci di far passare l'unità alle dipendenza del IX Corpus sloveno, aveva rifiutato di togliere la coccarda tricolore che sempre portava accanto alla bandiera rossa. Ma furono sterminati anche i leader del Partito Autonomista Fiumano, che sognavano uno Stato indipendente sia dall'Italia che dalla Jugoslavia: Mario Blasich, strangolato nel suo letto di paralitico; Giuseppe Sincich; Mario Skull; Giovanni Baucer; Mario De Hajnal; Giovanni Rubinich... E furono anche uccisi un bel po'di slavi non comunisti: Ivo Bric, antifascista cattolico; Vera Lesten, poetessa e antifascista cattolica; i quattro membri della famiglia Brecelj; i sacerdoti don Alojzij Obit, don Lado Piscanc, don Ludvik Sluga, don Anton Pisk, don Filip Tercelj, don Izidor Zavadlav di Vertoiba... Andrej Ursic era stato addirittura un membro del Tigr: gruppo armato che dagli anni '20 aveva iniziato una lotta terrorista contro le autorità italiane, contro l'annessione all'Italia di Trieste, Istria, Gorizia e Fiume (le cui iniziali in lingua slava costituivano l'acronimo del nome della belva richiamata nel nome). Ma fu sequestrato dalla polizia segreta jugoslava il 31 agosto del 1947, sottoposto a sevizie, probabilmente ucciso nell'autunno del 1948, e il suo cadavere gettato in una delle foibe della Selva di Tarnova».

Nel Giorno del Ricordo, lo scorso 10 febbraio, Giorgio Napolitano ha annunciato la sua intenzione di recarsi a Porzus a maggio prossimo per rendere omaggio alle vittime dell’eccidio. Un gesto importante che rende giustizia, 67 anni dopo, al sacrificio dell’Osoppo. Un monito forte ai “giustificazionisti”, ai “negazionisti”, a tutti i nostalgici del filo spinato; un segnale a quella stramba e petulante coorte — tra cui spiccano il senescente Pahor e l’imbarazzante Pisapia — che ancora rifiuta d’accettare la tragedia del confine orientale; un incoraggiamento a storici coraggiosi come Piffer, Pupo, Karlsen e la grande Elena Aga-Rossi, un aiuto a editori liberi come il Mulino.
Non vi è pace senza giustizia, non vi è superamento senza verità. Anche a Porzus. Anche in quell’ultimo lembo d’Italia.

“Porzus, violenza e Resistenza sul confine orientale”
A cura di Tommaso Piffer
Ppgg. 154. Euro 15,00
Il Mulino. Bologna, 2012

Per una DESTRA identitaria e federalista!



Non è semplice retorica affermare che l’attuale fase politica sia estremamente delicata e vi sia la necessità di affrontarla con la massima attenzione. Considerato il pesante disorientamento di un elettorato sempre più incerto, prossimo ad un probabile e pericoloso astensionismo, l’individuare una giusta strategia permetterebbe di costituire solide basi su cui poggiare un progetto serio, coerente e un’organizzazione partitica dinamica, articolata.

Il fallimento (indotto o auto-indotto) dei vari Governi Berlusconi (soprattutto nei periodi 2001-2006 e 2008-2011) ha generato un’immensa platea di “smarriti” che una Destra identitaria può avere la capacità di intercettare.

Fondamentale è però partire da un’analisi del “fenomeno Lega Nord”, un Movimento che ha avuto il merito storico di rilanciare tematiche purtroppo abbandonate proprio dal MSI (poi Alleanza Nazionale) (vedi in particolare la lotta all’invasione extraeuropea) e proporre soluzioni istituzionali ispirate proprio alla valorizzazione delle diverse identità etno-culturali (il federalismo). Un Movimento però che alla fine ha tradito la fiducia dei suoi sostenitori, monopolizzato da una classe dirigente inadeguata e decaduto nella sterile inerzia governativa, abbandonando così miseramente le sollecitazioni che lo hanno portato a superare più volte il 10% dei consensi a livello nazionale pur presentandosi solo in 10-11 Regioni. Si badi bene, visto che in natura “nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma”, stiamo parlando di una formazione politica che per molti anni al Nord ha saputo coinvolgere una bella fetta dell’ex-elettorato MSI (poi AN), DC e perfino PCI, insomma una valanga di contribuenti italiani che, oscurate le infinite diatribe fascismo-antifascismo, hanno innata una forte venatura sociale. Tale insolita convergenza non è più così automatica, nonostante il (disperato?) tentativo di Roberto Maroni di “serrare i ranghi”: alla gente concreta del Nord che gli ha dato fiducia per lustri non puoi più far digerire il messaggio-scusa “Non siamo riusciti ad ottenere nulla perché non abbiamo il 51% dei consensi!”… Governare l’Italia per 8 degli ultimi 10 anni, con percentuali e referenti ministeriali di grande influenza, e non riuscire a bloccare nemmeno l’1% dell’immigrazione clandestina non è un bel biglietto da visita in prospettiva delle prossime elezioni…

Proprio per queste considerazioni non solo politico-ideologiche (il valore intrinseco dell’identità comunitaria) ma anche pragmatiche, oggi alla Destra Sociale deve aggiungersi una DESTRA FEDERALISTA, rigettando esplicitamente il becero anti-leghismo degli Alemanno, dei Fini e dei Napolitano. Una Destra che abbia il coraggio di dare risposte vere a chi ritiene una gravissima anomalia strutturale dello Stato Italiano quei 56 miliardi di euro che ogni anno attraversano l’Appennino in un viaggio di sola andata Nord-Sud, ma allo stesso tempo sappia mantenere la ferma convinzione che l’identità nazionale non è racchiusa in una bandiera o in un inno ma nel rispetto delle varie componenti e tradizioni etno-culturali e nella loro sintesi in quel comune Spirito Italiano ed Europeo che la Storia ha saputo conoscere nella sua grandezza non più di qualche decennio fa. Oltre 30 miliardi di euro annui spesi dalla collettività italiana per gli immigrati (più 1,6 miliardi solo per i rifugiati politici…) sono una Vergogna Nazionale da denunciare apertamente! Per non parlare dei vari progetti marxisti (targati soprattutto Fini-Riccardi) di introdurre anche nel nostro paese lo ius soli…

Considerato che l’obiettivo dell’attuale Governo Monti è quello di continuare a vessare e spremere chi lavora e produce per mantenere chi invece vive tranquillo all’ombra del parassitismo pubblico, crediamo sia opportuno un esempio concreto, denunciato dal giornalista Gilberto Oneto sul quotidiano “Libero” nel dicembre scorso. La cosiddetta manovra “Salva Italia” vale 30 miliardi di euro (ricordiamo, i soldi spesi ogni anno per gli allogeni…), 18 dei quali in nuove tasse e tagli alle pensioni… Chi pagherà? Beh, soprattutto il Nord! Si calcola che per il primo anno (2012) l’aumento delle tasse sulla casa supererà da solo i 5 miliardi di euro. E visto che vi sono parti della penisola dove il Catasto è un mero optional e si valutano in circa 2 milioni gli immobili inesistenti al fisco, quasi tutto graverà sulle spalle delle regioni “padane”, in particolare “grazie” alla rivalutazione del 60% degl’estimi. Già sappiamo che l’IVA (per cui si stimano entrate per 4 miliardi di euro) è una tassa pagata per il 75% al Nord. In materia di previdenza poi il Governo conta risparmi per 4-5 miliardi di euro, e sappiamo che il 60% delle pensioni di vecchiaia e quasi tre quarti di quelle d’anzianità sono al Nord. Per non parlare di addizionali regionali IRPEF, accise, superbolli: dato che il tasso d’infedeltà fiscale va dal 5,9% di Trieste al 41,9% di Agrigento, in progressione latitudinale (alla faccia del blitz di Cortina d’Ampezzo e simili…), bolli e altre ignobiltà colpiranno le aree più risparmiose. Insomma si calcola che nel 2012 i “padani” dovranno tirar fuori quasi 550 euro a cranio contro i 300 della media nazionale e i 160 del centro-meridione, con punte di 700-800 euro in Lombardia e 80-90 euro in Calabria… Questa non è “giustizia sociale” e, a causa di tale trattamento, inevitabilmente il lombardo è molto più adirato contro il Governo cosiddetto “Tecnico” (e le forze politiche che lo sostengono…) rispetto al calabrese.

Interessante è poi notare come anche le recenti proteste anti-governative dello stesso “Movimento dei Forconi” in Sicilia si basino su un forte spirito indipendentista…

Ecco, la Destra deve saper dare risposte anche a queste rabbie giustificate! Il Carroccio non è più in grado di farlo! Non bastano i festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia per far dimenticare agli italiani il portafoglio vuoto!

Di quest’esigenza ne abbiamo parlato a Verona (da sempre centro di avanguardia politico-culturale) il 28 gennaio scorso all’Assemblea di “Progetto Nazionale”, e sabato 3 marzo, alla grande manifestazione contro il Governo dell’Usurocrazia organizzata a Roma da “La Destra” (vedi foto allegata), abbiamo molto apprezzato il passaggio finale del comizio di Francesco Storace con cui ha aperto ad un percorso capace di “coniugare Nazione e federalismo”.

Se a tali valutazioni aggiungiamo la battaglia per la “Sovranità Monetaria” e contro l’oppressione della Finanza Internazionale sul nostro sistema produttivo (tematiche su cui abbiamo un’esperienza secolare…), possiamo lanciare una stagione di profonde riforme sociali e costituzionali.

È arrivato quindi il momento di sdoganare a Destra figure come Gianfranco Miglio e riproporre quel progetto di REPUBBLICA FEDERALE ITALIANA (o Confederazione Italiana) sul modello elvetico, purtroppo relegato in un polveroso archivio e soppiantato da ridicole discussioni su un ancora oscuro “federalismo fiscale”. I riferimenti culturali non mancano, soprattutto nella nostra area più filo-germanica… Per non parlare di come a Destra il coro “risorgimentalista” non sia mai stato omogeneo…

Insomma, sentiamo fortissima la necessità di impostare un progetto in grado sia di scardinare uno Stato assistenzialista e clientelare sia di opporsi a quel Mondialismo che sta cancellando i Popoli Europei. Sicuri della condivisione di moltissimi Italiani.

In alto i cuori!

PIERO PUSCHIAVO e FEDERICO PATTUELLI
Progetto Nazionale - La Destra

Donna Assunta Almirante contro Fini e Bocchino



Parla donna Assunta Almirante e liquida Fini&Bocchino

Non è certo la prima volta, ma donna Assunta Almirante (87 anni) è davvero scatenata. Sul nuovo Chi oggi in edicola, non si è risparmiata, e in un’intervista ha sparato a zero contro Gianfranco Fini e Italo Bocchino, che a Pietrasanta hanno brindato alla fase due del Fli in versione elettorale, dicendo che ormai sono «finiti, nessuno si fida più di loro».

La vedova di Giorgio Almirante, fondatore e leader storico del Movimento Sociale Italiano, ha invitato a non dare retta a Fini e tantomeno a Bocchino. «Una volta stanno con Casini, un’altra con Rutelli e poi con nessuno. Vanno alla ricerca di qualcuno che faccia il partito con loro. Ma la loro è una battaglia contro i mulini a vento. Chi si può fidare di uno come Bocchino?». Povero Giorgio.

Dibattito sulla Destra: Corsaro e Malgeri.


mercoledì 21 marzo 2012

Presidio anticomunista ad Abbiategrasso: la Giovane Italia contro Saverio Ferrari.



DICIAMO NO A SAVERIO FERRARI

Il gruppo di Giovane Italia di Abbiategrasso esprime il proprio sdegno e la sua ferma protesta per la partecipazione di Saverio Ferrari alla conferenza sul Neofascimo e le Nuove Destre, organizzata dal circolo abbiatense di Rifondazione Comunista, sabato 24 marzo alle ore 16 nel complesso dell'Annunciata. Naturalmente Giovane Italia non contesta né polemizza con la scelta di indire una conferenza e un momento di dibattito, diritto che deve essere accordato a ogni partito politico, tuttavia non possiamo che disapprovare la scelta di invitare Saverio Ferrari, esponente della sinistra radicale e già militante di Avanguardia Operaia negli anni Settanta. Quello che ci sorprende è che sia stata chiamata una persona condannata in via definitiva, dalla Corte di Cassazione, per l'assalto e le violenze verificatisi al bar di Largo Porto di Classe a Milano, avvenuto il 31 marzo 1976. Un episodio di violenza politica tristemente noto, che provocò il ferimento di 7 persone, tre delle quali in maniera grave: Fabio Ghilardi (subì due operazioni, il coma e l’epilessia permanente), Giovanni Maida di soli 16 anni (quattro fratture alla mandibola ed una alla spalla) e Bruno Carpi (doppio sfondamento della calotta cranica con lesioni permanenti al cervello). Il compito di ogni forza politica, in particolar modo dei giovani, dovrebbe essere quello di stigmatizzare e respingere, in modo fermo e deciso, la lunga e tragica stagione della violenza politica, che negli anni Settanta costò la vita a decine di giovani, di destra e di sinistra. Ci chiediamo inoltre cosa pensi a riguardo il candidato sindaco della coalizione di centrosinistra Gigi Arrara, che conosciamo come persone civile e moderata: Rifondazione sostiene Arrara, al quale chiediamo di dissociarsi pubblicamente da questo evento. Giovane Italia è intenzionata a manifestare ed organizzare un presidio, civile e pacifico, in occasione della conferenza indetta da Rifondazione sabato pomeriggio, per ribadire che ad Abbiategrasso il signor Saverio Ferrari non è persona gradita.

Daniele Morani
Presidente Giovane Italia Abbiategrasso

L'ultimo libro di Marco Valle: "Il milanese e l'unità d'Italia"





23 marzo 1919 - 2012


Anniversario di Fondazione dei Fasci di Combattimento (Milano, Piazza San Sepolcro)

Venerdì 23 Marzo 2012 - alle ore 15.00 - al Cimitero Monumentale di Milano

L'Associazione Nazionale Arditi d'Italia e la Unione Nazionale Combattenti della R.S.I.

onorano i "Martiri della Rivoluzione Fascista" e gli "Squadristi del Fascio Primogenito"

martedì 20 marzo 2012

Nicola Pasetto: Presente!

La "ragnatela mondialista"

Politica ed amicizia "alla luce del sole"









Ieri è stato un giorno di grande amarezza e forte tensione: l'avviso di garanzia a Romano La Russa è un sonoro schiaffone morale a tutta la comunità, umana prima che politica, che, in Lombardia, ha incominciato a fare politica, a destra, nel Movimento Sociale Italiano.

Sono stato fra i primi, in tempi non sospettti, a criticare pubblicamente la deriva nepotistica di Alleanza Nazionale a Milano, sopratutto, in merito, alla selezione della classe dirigente ed al cumolo di nomine, incarichi e mandati ma non posso credere a questa degenerazione del quadro clinico-politico.

Conosco bene la famiglia La Russa, dal lontano 1986, quando, a soli 14 anni mi iscrissi al Fronte della Gioventù di Via Mancini, ed a tutti loro sono sinceramente affezionato. Non ho grande fiducia in questa magistratura, fortemente politicizzata a sinistra, lenta e contemporaneamente ad orologeria che, negli ultimi anni, si è evidentemente accanita contro il Presidente Berlusconi e tutto il centro-destra.

Quindi, in attesa di ulteriori sviluppi e di prove concrete, a prescindere da ogni altra considerazione politica, non posso che esprimere la mia piena umana solidarietà a Romano La Russa ed a Marco Osnato, auspicando che possano, presto, dimostrare l'assoluta infondatezza delle infami accuse a loro carico.

"I veri amici si vedono nel momento del bisogno": io che dai potenti La Russa non ho mai ricevuto nulla, voglio proprio vedere quanti dei mediocri parassiti e cortigiani che, in tutti questi anni, hanno approfittato della loro amicizia, solo per ricevere favori e prebende, avranno il coraggio di esprimere la medesima vicinanza!

Roberto Jonghi Lavarini

venerdì 16 marzo 2012

Roberto Bigliardo: Presente!



Destra per Milano ricorda la figura dell'On. Prof. Roberto Felice Bigliardo (già vice segretario nazionale della Fiamma Tricolore ed Eurodeputato), prematuramente scomparso nel 2006, che, per primo, nel lontano 1999, insieme ai milanesi Marco Valle e Roberto Jonghi Lavarini, già pensava a costruire un grande Movimento Sociale Europeo (stile Fronte Nazionale francese). Tutti gli altri, da Romagnoli a Storace, sono "venuti dopo" ed hanno seguito le sue intuizioni politiche.

Comitato Mlitanti MSI

Comunicato Stampa

Il neo costituito comitato dei militanti del MSI manifesterà venerdì 16 marzo in piazza Nicosia, a Roma, dalle 10 alle 12, per chiedere che si faccia chiarezza sul patrimonio creato sul sacrificio di tanti militanti del MSI, ereditato da Alleanza Nazionale e finito nel buio e nel segreto di una Fondazione denominata Alleanza Nazionale. “Le voci che corrono su questo ingente patrimonio - ha dichiarato Pietro Cassiano, portavoce del Comitato - destano molta preoccupazione soprattutto in considerazione che nulla è stato fatto a favore della comunità umana e politica che ha militato in quelle formazioni”. Chiarezza e trasparenza sono indispensabili per fare pace con la coscienza di chi ha dato tutto se stesso per quell’idea e quel partito.

comitato.militanti.msi@hotmail.it
Pietro Cassiano (Portavoce)
Tel. 3687044876



Ho ricevuto questa comunicazione da Alfonso Indelicato e Gianni Prudenza. Aderisco subito al Vostro Comitato, sostengo volentieri la Vostra giusta e nobile iniziativa e, tramite "Destra per Milano" la propagando immediatamente in tutta la Lombardia.

Roberto Jonghi Lavarini

Classe 1972
già Segretario Provinciale del Fronte della Gioventù di Milano
Dirigente Provinciale del Movimento Sociale Italiano
Dirigente Regionale di Alleanza Nazionale della Lombardia

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Abbiamo occupato l’ex direzione nazionale del MSI di Via della Scrofa per chiedere trasparenza sul patrimonio del Partito, patrimonio costruito e difeso da migliaia di militanti. Lotteremo con ogni mezzo affinchè questo patrimonio non faccia la fine della casa di Montecarlo. Oggi nasce e noi aderiamo al “Comitato Militanti MSI”. Nel corso dell’occupazione abbiamo esposto lo storico stendardo del’48 del MSI, lanciato volantini e fatto megafonaggio”. Lo dichiara Giuliano Castellino, portavoce del coordinamento “Destra Sociale” (La Destra).

“Aderiamo al “Comitato Militanti MSI” e domani 16 marzo, dalle ore 10.00, saremo in Piazza Nicosia a manifestare per chiedere trasparenza sui beni della Fiamma. Basta silenzi: dalla casa a Montecarlo al patrimonio immobiliare troppe cose non tornano. Siamo pronti a lottare a tutela di ciò che è stato costruito e difeso col sacrificio di migliaia di attivisti. Domani scenderemo in piazza col primo gagliardetto della Federazione romana del MSI, quello del 1946 dedicato ad Achille Billi”. Lo afferma Giuliano Castellino, portavoce del coordinamento “Destra Sociale” (La Destra)”.

La vera DESTRA è SOCIALE




giovedì 8 marzo 2012

PATRIA e ONORE!



In ricordo di Amelia Bighelli: una Donna "con le palle"!


Non ho mai festeggiato la "festa della donna" ritenendola una ricorrenza "femminista e comunistoide"... Oggi, però, voglio mandare un saluto a tutte le Signore, ricordano la figura di una grande donna che, per me, è stata molto importante e di esempio: Amelia Bighelli, morta a 100 anni, madre e moglie, prima donna soldato come volontaria delle Ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana (imbracciando, giovanissima, il mitra, in difesa del tricolore e dell'onore d'italia) e poi storica militante del Movimento Sociale Italiano, una donna estremamente intelligente e determinata, dolce e femminile ma veramente "con le palle", le stesse che, putroppo, sempre più spesso, mancano a molti uomini.

ROBERTO