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giovedì 24 gennaio 2013

"La destra irrilevante e le preoccupazioni di Jonghi"...

In questi giorni di frenesia elettorale le domande che mi pongo sono molteplici. Alcune paradossali come quali convergenze politiche si possano avere con il Partito Radicale. Nelle scorse regionali del Lazio, ad esempio, l'esponente radicale era semplicemente l'avversaria politica della "Patrizia" Polverini e, mi sembrava, con battaglie esattamente opposte. Se invece parliamo di "valori", ammesso che si intendano veramente come Valori, credo che il Partito Radicale dia un significato molto diverso dal mio e nostro. Al di là della giusta battaglia sulle condizioni carcerarie che molti detenuti non meritano, non capisco cosa centri l'indulto se non si parla di riforma della giustizia che oggi è sempre più garantista verso gli extracomunitari e sempre più politicizzata verso specifiche aree politiche. Cosa questa comprovata. (Umt) Pochi giorni fa, il 18 gennaio per l'esattezza, il leader di Progetto nazionale, Pietro Puschiavo si interrogava - prima dell'incidente tecnico che l'ha vanificata - dell'alleanza elettorale tra il suo partito, la Destra di Storace, e i Radicali di Pannella. Ne ha tratto rapidamente le conclusioni e si è prontamente organizzato per presentare proprie liste indipendenti in Veneto. Nella frenesia elettorale ha però dimenticato di aggiornare il suo blog, in cui troneggia ancora il simbolo della Destra. A rendere nota l'ennesima scissione è il buon Roberto Jonghi Lavarini che ha deciso, al contrario, che è il momento di fare quadrato intorno alla leadership di Storace perché La Destra, nonostante tutte le sue carenze organizzative e gli evidenti errori politici (nella selezione della classe dirigente ed anche nella scelta dei candidati), assicura un voto coerente ed utile, sia contro la sinistra e la plutocrazia mondialista, sia per riportare la voce della destra sociale missina in parlamento e nei consigli regionali, che per sostenere il progetto Itaca di Marcello Veneziani con la convocazione di un congresso costituente. Per il Barone nero, che è candidato indipendente della Destra a Milano la presentazione di 6 liste fuori dalla coalizione berlusconiana (Fiamma, Forza nuova, CasaPound più tre realtà locali in Veneto, Campania e Lazio) costituisce una situazione paradossale e tragicomica, una autentica follia, un vero e proprio suicidio politico, visto che nessuna delle liste sopracitate ha la minima speranza di ottenere eletti in parlamento o nei consigli regionali. In realtà la situazione non riguarda soltanto quella che Jonghi, riprendendo Adinolfi, definisce destra terminale. Anche l'aerea post missina, un tempo riunita in Alleanza nazionale, si presenta divisa in quattro fazioni l'un contro l'altra armate: Futuro e libertà, quel che resta, assai danneggiato, nel Pdl, Fratelli d'Italia e La Destra. Scrivendo su Barbadillo, un blog collettivo di intellettuali di destra - molti dei quali di lavoro fanno i giornalisti - parla di "destra asfaltata" e di "irrilevanza" Angelo Mellone, uno degli ispiratori, delusi, della svolta liberal futurista: La destra – ovvero ciò che resta di Alleanza Nazionale nei quattro rivoletti elettorali che si presentano il 24 febbraio – non corre il rischio di scomparire. Non ce n’è bisogno. E poi dietro il termine scomparsa sta l’evocazione di qualcosa di eroico: la morte in trincea, al fronte, col coltello tra i denti. No, la destra, o ciò che rimane della sua espressione politica, è già da oggi ufficialmente confinata al terreno dell’irrilevanza, della testimonianza inefficace, del borgorigmo reducistico. Ci siamo fatti dei conti abbastanza facili e, sommando i possibili risultati che otterranno Fli, la Destra, Fratelli d’Italia, uniti ai quattro gatti di ex-An che Berlusconi ha deciso di portare in Parlamento, si ottengono dei numeri risibili. Nemmeno trenta deputati, forse dieci senatori. Nelle ultime elezioni della prima Repubblica, nel 1992, sono i parlamentari che ottenne il Partito Repubblicano, una formazione politica di nicchia e già sfiorata dal venticello di tangentopoli. Ma le elezioni del 1992 ci dicono ancora di più, danno altra legna al fuoco dell’analisi sconsolata: in quell’occasione il Movimento sociale (parliamo di 21 anni fa), accomodandosi all’ultima cena del pentapartito, e non ancora in grado di intercettare i consensi che da lì avrebbero viaggiato l’anno appresso verso destra, ottenne il 5,4%, 34 deputati e 16 senatori. Magari oggi le quattro “componenti” dell’ex An (diciamo componenti e non anime perché “anima”, insomma, ha un sostrato di nobiltà che ci teniamo in caldo per occasioni migliori) riuscissero a raggiungere quei numeri: con questa legge elettorale, sappiamo già che è impossibile. Essendo completamente d'accordo, il professor Alessandro Campi, che della svolta finiana e del progetto di una destra nuova è stato il più raffinato elaboratore teorico, si pone una domanda angosciante, dinnanzi alla catastrofe politico-culturale (e in gran parte anche umana e antropologica) che ha colpito la destra italiana e che l'ha condotta ad una condizione di oggettiva marginalità ed irrilevanza, ad un passo dalla scomparsa dalla scena pubblica - se per caso abbiamo sbagliato anche noi. Intendo quelli che come me e te (ma potrei citare tanti altri amici) che hanno cercato in questi anni, ad esempio all'epoca della Fondazione Farefuturo, di far nascere una "destra nuova", ma probabilmente hanno nell'ordine 1) sbagliato interlocutori (ci sarà da fare, prima o poi, un serio discorso sulle responsabilità di Fini in questa debacle e sulla sua oggettiva inadeguatezza - umana, politica e culturale - a mettersi a capo di un processo di revisione e trasformazione di un'intera area politica); 2) forzato eccessivamente le loro posizioni in una chiave troppo provocatoria rispetto al mondo cui ci si rivolgeva, con un tono peraltro spesso liquidatorio e polemico, più che critico e dialettico; 3) sottovalutato l'autentica e più profonda matrice ideologica della destra italiana, che rimane sostanzialmente la nebulosa ideale e sentimentale del neofascismo, ragion per cui certi temi e certe suggestioni, che si richiamavano all'esperienza delle destre liberali e conservatrici europee, non potevano che cadere nel vuoto o restare incomprese; 4) preso atto con ritardo dell'anomalia rappresentata dal leghismo e dal berlusconismo, rispetto ai quali la destra di An per anni ha mantenuto - per ragioni di potere e nel nome di un malinteso pragmatismo - un atteggiamento di compiacenza, complicità, collusione o subordinazione, che in prospettiva è ciò che ha finito per decretarne la perdita di identità e di profilo progettuale. Insomma, nel mentre si prende atto della "fine di un mondo" (che in prospettiva potrebbe persino rivelarsi salutare, nel senso che potrebbe toccare ad una prossima generazione tentare di far rinascere una destra politica autenticamente nuova in questo Paese), forse sarebbe utile un ripesamento critico (e fatalmente autocritico, per la piccola parte che anche noi abbiamo avuto, non sul lato politico, ma su quello intellettuale) della parabola della destra italiana negli ultimi vent'anni. Se credi, caro Angelo, possiamo riparlarne. - http://www.fascinazione.info/2013/01/la-destra-irrilevantie-tra-le.html

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