mercoledì 13 giugno 2012
L'autobiografia di Stefano Delle Chiaie: "L'Aquila ed il Condor".
Ve li racconto io i misteri d’Italia...
Antonio Pannullo - SECOLO D'ITALIA
Il libro di Stefano Delle Chiaie L’aquila e il condor ha colmato un grosso vuoto nella storia politica italiana. E in particolare in quella dei movimenti alla destra del Msi (diremo “destra” per convenzione, perché sarebbe troppo complicato in questa sede avventurarci nello stabilire se il fascismo sia di sinistra o di destra). Avanguardia Nazionale è stato un gruppo politico che ha agito negli anni Sessanta e Settanta in Italia, e Stefano Delle Chiaie ne fu fondatore, insieme ad altri, e il leader.
Il volume è uscito per una casa editrice importante, Sperling & Kupfer, nella collana “Le radici del presente” diretta da Luca Telese, che della storia politica recente italiana è un esperto e che ha voluto con forza questa opera. L’autore di “Cuori neri” nella sua postfazione si lamenta un po’ perché avrebbe voluto trovare di più nel racconto di Delle Chiaie. In certi anni Delle Chiaie era dipinto dai media come “la Primula nera”, l’uomo che sapeva tutto, che era a conoscenza di tutti i misteri - e le stragi d’Italia - Ma forse così non era, come del resto provano le sentenze e gli atti processuali. Non c’era chissà che da trovare.
Avanguardia Nazionale, dice l’autore, era un gruppo extraparlamentare che faceva un certo tipo di attività politica. Almeno fino al momento in cui non si fece chiara quella che Delle Chiaie chiama una persistente campagna di “intossicazione” contro la runa di Odal, simbolo del movimento, tesa a far credere all’opinione pubblica che il gruppo e lo stesso Delle Chiaie avessero rapporti stretti e pericolosi con ambienti dei nostri servizi segreti. E fu questo che in realtà rovinò Avanguardia, screditata sulla base di costruzioni complesse e, secondo Delle Chiaie, non veritiere da parte del “sistema”, come lo chiamavano gli attivisti dell’epoca, che fecero rapidamente scendere Avanguardia nella considerazione che c’era stata sino allora.
L’operazione del sistema riuscì, pur tra tanti drammatici errori: come dice il grande comunicatore canadese Marshall McLuhan, una menzogna per diventare realtà ha solo bisogno che sia propalata da un certo numero di media per un periodo di tempo sufficientemente lungo. E qualcosa del genere sosteneva anche Karl Marx, a proposito dell’infangare e diffamare l’avversario politico fino a che la bugia non diventi verità. E se ne sono visti tanti di questi esempi, e ancora in alcune circostanze si possono osservare, sia in ambito nazionale sia in ambito internazionale, nella distinzione manichea, ormai sistematica, tra “buoni” e “cattivi”. Ecco: Avanguardia Nazionale era cattiva, e Delle Chiaie era il capo dei cattivi. I meno giovani ricorderanno certamente che in un certo momento storico Delle Chiaie diventò il parafulmine e il capro espiatorio di ogni nefandezza che avveniva in Italia: dietro ogni strage, ogni attentato, ogni bomba, c’erano lui e la sua organizzazione; accusato di tutto e di più, le calunnie erano tanto più credibili in quanto lui era all’estero latitante. Il tempo ha fatto giustizia di tutto, ma sono dovuti passare i decenni: Avanguardia e Delle Chiaie non si macchiarono mai dei delitti atroci a loro ascritti, ma ancora oggi la percezione della gente è diversa.
L’aquila e il condor ha numerosi meriti. Dà il suo contributo per far luce su episodi oscuri della storia della Repubblica: Piazza Fontana, Bologna, Ustica, piazza della Loggia e altri fatti. Delitti per i quali si è sempre seguita la pista nera e i colpevoli si cercavano in base a teoremi e pentiti, sistema che Delle Chiaie nel libro attacca duramente spiegando perché questi metodi non hanno mai condotto alla conquista della verità. Interessanti per gli addetti ai lavori la storia e la struttura di Avanguardia nazionale, galassia sconosciuta per i più: ma su questo Delle Chiaie non scende in profondità, non fa numeri, non fa cifre, non racconta episodi o strategie, limitandosi a far capire tra le righe che si trattava di un’organizzazione molto efficace, con una gerarchia precisa e con un servizio di autocontrollo interno. Che però non l’ha salvata dall’accusa di contiguità con gli onnipresenti servizi. E forse è proprio per questo che Delle Chiaie dopo tanti anni ha rotto il silenzio, consegnando alla storia un libro nel quale si difende da tutte le accuse respingendole al mittente e spiegando che i rapporti con i servizi, sì, ci furono, ma solo nella misura in cui i servizi stessi tentarono a più riprese di infiltrarsi, comprare, depistare, delegittimare il movimento perché considerato troppo eversivo.
Dalla lettura dell’opera si esce con la convinzione che Delle Chiaie abbia fatto un onesto lavoro di controinformazione, resa molto più credibile dagli altri fatti oscuri avvenuti negli ultimi anni, sempre a spese della destra italiana. Se in quegli anni abbiamo bevuto come acqua la propaganda antifascista ossessivamente messa in onda per decenni dai media, perché oggi non dovremmo leggere la difesa di chi di quegli anni fu protagonista e testimone?
Nel libro c’è anche un interesse umano sfuggito a molti critici: lo strettissimo rapporto dell’autore con il comandante Junio Valerio Borghese, davanti al quale Augusto Pinochet si mise sull’attenti in colloqui cui partecipò lo stesso Delle Chiaie; il ruolo fondamentale di Avanguardia nella rivolta di Reggio del 1970; la storia terribile, dimenticata in Italia anche perché all’epoca passata in sordina, dell’omicidio, nell’ottobre 1982, di Pierluigi Pagliai, di Avanguardia (colpevole in tutto di renitenza alla leva), al quale in Bolivia i servizi tesero un agguato per poi riportarlo morente in Italia a bordo dell’aereo Alitalia “Giotto”. In precedenza un piano di eliminazione chiamato “Pall Mall” nei confronti di Delle Chiaie era fallito, ma a Roma vi erano stati alcuni omicidi dalla dinamica mai chiarita, come quello della giovane Laura Rendina, uccisa nel gennaio del 1981 «per errore». I servizi erano in fibrillazione per la strage di Bologna, non ne riuscivano a venire a capo, anche perché la pista degli inquirenti fu subito orientata in una sola parte, mentre numerose altre piste, elencate e spiegate da Delle Chiaie, apparivano – e appaiono ancora – molto più consistenti. Ma tant’è. In pieno giorno, nella capitale boliviana, Pagliai venne attirato in una trappola e ferito a morte mentre stava parcheggiando. L’intera operazione è ben descritta da Delle Chiaie e non vogliamo anticipare nulla: vale la pena di leggerla. In seguito, per queste e altre vicende furono condannati uomini dei servizi per depistaggio ma, sottolinea ancora l’autore, non si indagò sul perché e per chi depistarono.
Dal periodo sudamericano Delle Chiaie trae una riflessione importante soprattutto per i giovani: «...Mi sentii boliviano e capii cosa significasse in concreto che la mia Patria è là dove si combatte per la mia Idea». Il libro si conclude con il ritorno del leader di Avanguardia in Italia, i processi, il carcere, la libertà, il reinserimento. Il 20 febbraio del 1989. Bello anche l’episodio, pochi giorni dopo, dell’incontro con i “vecchi” camerati al “loro” bar, quello storico di piazza Tuscolo, zona dove tanti anni prima un adolescente aveva iniziato la sua avventura politica nella sezione del Msi di via Solunto (sezione? Era praticamente una grotta, racconta l’autore).
Alla fine del libro Delle Chiaie rende un commosso omaggio a chi con lui condivise il sogno, ambizioso, di «cambiare il mondo». E conclude: «Molti, anche sul fronte opposto, sognarono. Quando siamo stati costretti al risveglio, ci siamo trovati in un deserto di idee e di emozioni. Ma allora non fu più nobile il nostro sogno della realtà che ci sconfisse?». Certo, ma il sogno ha avuto costi esistenziali altissimi per tutta una comunità umana. Solo la storia dirà se veramente ne sia valsa la pena. Era ben prevedibile che il sistema (oggi si direbbe «i poteri forti») si sarebbe difeso.
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