CCP

giovedì 30 maggio 2013

Gabriele Leccisi nuovo Segretario della Fiamma Tricolore...


 
Sarà l'Avvocato milanese GABRIELE LECCISI, 64 anni, noto penalista milanese, figlio di Domenico (mitico trafugatore della salma del Duce e storico deputato missino), il probabile successore di Luca Romagnoli, alla Segreteria Nazionale del MOVIMENTO SOCIALE - FIAMMA TRICOLORE che si riunisce in Congresso, a Roma, il 22 giugno. Gabriele Leccisi, che ha sempre militato nella "destra neofascista" e frequentato le associazioni patriottiche e combattentistiche, attualmente è Federale Provinciale della Fiamma Tricolore di Milano e Presidente del Circolo Domenico Leccisi. Uomo integerrimo, coerente e leale, galantuomo d'altri tempi, tutto di un pezzo, stimato da tutti come sia professionista che come dirigente politico, Leccisi avrà il difficile compito di riorganizzare e rilanciare quella antica e gloriosa Fiamma, legittima erede politica del MSI, oramai ridotta a lumicino, dopo tutta una serie di errori politici, scissioni e sconfitte elettorali, culminate con il pessimo 0,25% ottenuto da Romagnoli come candidato sindaco di Roma. Al Congresso Nazionale del MS-FT potranno partecipare solo gli iscritti al 2012, in regola con l'iscrizione 2013. Peccato, perché in tanti, oggi, si sarebbero iscritti (o riscritti, dopo tanti anni) a sostegno dell'amico e camerata Gabriele Leccisi. Speriamo, almeno, in un chiaro e corretto svolgimento di tutte le necessarie procedure congressuali.
 
(Firmato Giuseppe Catena e Nicola Sensale).




mercoledì 29 maggio 2013

Elezioni Comunali in Lombardia: commento ai risultati.

 
 
In sintesi, con queste elezioni, in Lombardia: arretrano PDL, Lega e Grillo, resiste la sinistra, avanzano le liste civiche. Cala il sipario sulla destra sociale italiana. Scompaiono tutti i partitini della destra radicale, i pochi che sono riusciti a presentare le proprie listarelle dello zero virgola.
I Fratelli d'Italia resistono a Brescia ed a Lodi, con poco meno del 3% ma scompaiono dalla provincia di Milano. Fortemente indicativo e simbolico il pessimo risultato (0,9%) di Fratelli d'Italia a Cinisello Balsamo, storico "feudo politico" di Romano La Russa e Sandro Sisler.
Eccezioni che confermano il trend negativo, sono, invece, i buoni risultati personali di Pino Pozzoli ad Opera (Milano) e di Marco Mastrandrea a Seveso (Monza), a conferma che quando ci sono giovani militanti politici, attivi e radicati sul territorio, il consenso si ottiene e si consolida.

martedì 28 maggio 2013

ELEZIONI AMMINISTRATIVE: i risultati di ROMA.

 
A Roma, come prevedibile, crolla il consenso del sindaco uscente Gianni Alemanno, si consolidano la sinistra ed i grillini ma il vero vincitore di queste elezioni è il non voto, la protesta contro il sistema, il disgusto per la partitocrazia ed il distacco dalla politica, con la metà degli aventi diritto che non è andata a votare. L’astensione al 50% rappresenta la clamorosa e definitiva sconfitta della democrazia dei partiti, nata dalla resistenza antifascista e dalla invasione anglo-americana.
La destra italiana, nella sua storica e simbolica roccaforte romana, divisa come non mai, ottiene, un risultato sicuramente deludente. Tengono Fratelli d’Italia con il 5,92% e resiste anche La Destra di Storace con l’1,3%. Nella gara dei poveri, fra gli zero virgola, vince Casa Pound con lo 0,61%. Forza Nuova ottiene solo lo 0,17%. Si spegne definitivamente la Fiamma Tricolore, con Luca Romagnoli candidato sindaco, che ottiene un miserabile 0,15%. Seguono i "non classificabili", ovvero i penosi 0,08% e 0,06% dei cattolici tradizionalisti di Italia Cristiana e Milizia Christi, ed il ridicolo 0,06% dei monarchici di Italia Reale.

Articolo dei compagni sui "camerati" di Terra Insubre.

 

Varese: l’associazione Terra insubre (Lega Nord) omaggerà il terrorista altoatesino Georg Klotz

(24 Maggio 2013)
 
L’associazione Terra Insubre (legata alla Lega Nord) renderà omaggio al terrorista altoatesino Georg Klotz, conosciuto anche come il “martellatore della val Passiria” Militante del Bas (Befreiungsausschuss Sudtirol-Comitato per la liberazione del Sudtirolo), che colpì, negli anni Sessanta, con sistematici atti dinamitardi lo Stato italiano. Klotz, con un passato da volontario nella Wermacht, secondo i tribunali italiani svolse un ruolo fondamentale nella strage di Malga Sasso, quando il 9 settembre 1966, nei dintorni del Brennero, fu fatta saltare una caserma della Guardia di finanza. Nell’esplosione rimasero uccisi tre finanzieri. Fu condannato in contumacia a 52 anni di carcere.
Ora verrà celebrato nell’ambito della settima festa di Terra insubre “Popoli d’Europa. Metamorfosi di un continente” che, inaugurata dal nuovo governatore della Lombardia Roberto Maroni, si terrà il 25 e il 26 maggio prossimo a Varese, con la collaborazione e il patrocinio del Comune e della Provincia! In quest’ambito, dopo il saluto del neo assessore regionale leghista alla cultura, Cristina Cappellini, sarà presentato il libro della figlia di Klotz, Eva, dal titolo "Georg Klotz, una vita per l’unità del Tirolo".
L'associazione Terra Insubre è un gruppo di ispirazione pagana fondato dall'ex missino varesino Andrea Mascetti (ora leghista). Circa trecento i militanti (quasi tutti iscritti alla Lega) presenti fra la Lombardia e il Piemonte. Un migliaio circa i simpatizzanti. Collaborano con il Centro identitario di Max Bastoni, il circolo del Regno Lombardo-Veneto dei fratelli Zoia di Magenta (ex Fiamma tricolore), il comitato Destra per Milano di Jonghi Lavarini e lo Spazio Ritter di Battara e Murelli. Hanno stabili contatti internazionali con l'estrema destra europea, in particolare con il Movimento Iidntitario francese e l' Unione del popolo tedesco (DVU), ma anche con i movimenti autonomisti e indipendentisti (bretoni, fiamminghi, irlandesi), l'Alleanza vichinga (presente in Svezia, Norvegia e Finlandia) e sette religiose pagane e celtiche, in particolare la Società di Thule e la Comunità odinista.
Terra Insubre è divisa in sezioni provinciali ed ha un suo servizio d'ordine (mascherato da gruppo escursionistico) chiamato "Lupi delle Alpi e del Ticino" (il significato simbolico del lupo è lo stesso degli Hammer), guidato da Roberto Stefanazzi Bossi che organizza, oltre al Festival dell'Insubria, anche campeggi e riti celtici. Fra i simpatizzanti di Terra Insubre anche i leghisti: Leo Sieghel (ex missino e giornalista di Radio Padania), Valerio Zinetti (del Gruppo Universitario Padano di Milano) e Luca Lepore (ex presidente di Zona 2 a Milano) che, non a caso, ogni anno, organizza il "Capodanno Celtico" che si tiene al Castello Sforzesco.
Quelli di Terra Insubre, amici di Maroni e di Tosi, che contestavano il "cerchio magico", sono stati definiti "fascisti" da Umberto Bossi (pensate un po' come sono messi!). Recentemente, grazie a Jonghi, appartenente alla ultra conservatrice "Comunità Walser" (minoranza tedesca del Piemonte), Terra Insubre è riuscita ad inserirsi in diverse sagre folkloristiche organizzate dai Comuni alpini e finanziate dalle amministrazioni locali.

Siamo alla fine politica della destra sociale italiana?




Requiem per la destra

Da Fini ai Fratelli d’Italia passando per CasaPound, così gli italiani hanno giustiziato l’ultimo equivoco


Mai così marginale, ininfluente, inafferrabile dal secondo Dopoguerra a oggi. Così si offre la destra italiana allo sguardo di chi voglia misurarne il battito cardiaco dopo le elezioni politiche del febbraio scorso. Malgrado alcuni recenti, non disprezzabili tentativi di dilatarne la rappresentazione includendovi la ventennale vicenda berlusconiana (vedi Antonio Polito nel suo “In fondo a destra”, Rizzoli), la destra qui presa in esame è quella post fascista nelle sue più sottili ramificazioni, secondo la filiera che dal Movimento sociale italiano ha via via generato: Alleanza nazionale (1995-2008), un terzo del Pdl guidato da Gianfranco Fini (2008-2012), la Destra di Francesco Storace (2007) e Fratelli d’Italia (2012). La quota di ex missini rimasta nel partito berlusconiano e riconducibile a Maurizio Gasparri ha programmaticamente rinunciato a un collegamento esplicito con l’area politico-semantica della destra. All’inventario delle sigle va naturalmente aggiunta la formazione di Fini, Futuro e libertà (2011), disastrosa scommessa personale del più longevo e discusso leader nella storia post fascista. Quanto alle così dette forze residuali anti sistemiche presentatesi agli elettori, da CasaPound e Forza nuova alle innumerevoli fiammelle sparse, la totalità dei loro voti è appena superiore alla loro completa irrilevanza sulla scena.
I numeri fuoriusciti dall’ordalia delle urne – Fratelli d’Italia 1,95 per cento; la Destra 0,64 per cento; Futuro e libertà 0,46 per cento; Forza Nuova 0,26 per cento; CasaPound Italia 0,14 per cento; Fiamma tricolore 0,13 per cento – ci dicono al dunque che i vari affluenti della destra italiana sono oggi rappresentati da una decina di Parlamentari (nove FdI; due finiani uno dei quali, Benedetto Della Vedova, viene dal Partito radicale). E’ un dato di grande interesse politico, poiché segnala la quasi sopraggiunta estinzione di un equivoco storico nato nel 1995 a Fiuggi, quando l’Msi si è suicidato nel letto di Procuste di An senza neppure la forza di elaborare il proprio lutto. Molte delle prefiche di allora versarono lacrime d’occasione senza aver ancora compreso di candidarsi, in quel preciso momento, al ruolo di esecutrici testamentarie del mondo che veniva da Giorgio Almirante, Arturo Michelini e Pino Romualdi. Ma questa è una tragicommedia già ampiamente vivisezionata (ce ne siamo occupati nel 2007 con “Il passo delle oche”, Einaudi).
La novità del momento è questa: ammessa per ipotesi retorica che la temperie del Ventennio mussoliniano sia rappresentabile come una possente tempesta d’acciaio piombata sui cieli italici dal 1922 al 1945, a distanza di quasi settant’anni si stanno definitivamente prosciugando le pozzanghere di quella tempesta, gli acquitrini sopravvissuti al Fascismo. Come ha scritto il terzaforzista Gabriele Adinolfi, “adesso non veniteci a cantare la solita solfa della riunificazione. Il Msi è stato definitivamente sotterrato. Se non si riuscirà a immaginare e concretizzare un futuro peronista non si potrà che assistere al continuo declino per scissioni” (noreporter.org). Ma più che di declino è bene parlare di dissoluzione per sfinimento. E non è detto che sia un male.
La scomparsa di cui stiamo parlando riguarda anzitutto una “classe dirigente”: uomini e donne che autoproclamandosi “di destra” hanno progressivamente dissipato una rendita ben radicata nell’Italia del Novecento, dimostrandosi completamente inadatti a rappresentare le idee e le istanze delle quali s’erano improvvisati cantori e portavoce. A meno di ritenere, e non è così, che nel corredo genetico della destra siano contenuti come legge di natura l’insopprimibile tendenza al malgoverno e, in casi non rari, alla delinquenza. L’esperienza della destra di potere, appuntamento epocale reso possibile dall’affiliazione al berlusconismo, è al riguardo un banco di prova inoppugnabile. Messa più volte, dal 1994 a oggi, in condizioni di governare l’Italia da Palazzo Chigi, senza contare numerose regioni e altrettanto importanti enti locali, la destra si è sfarinata elettoralmente e ha rovinosamente perduto la sua credibilità politica. Il corredo di scandali, denunce per nepotismo e inchieste giudiziarie che ha accompagnato la fine della giunta Polverini nel Lazio e che accompagna ora l’ingloriosa fine-sindacatura romana di Gianni Alemanno vale come testimonianza plastica di una bancarotta morale non meno che strategica. Che tutto questo sia stato possibile è un fatto, per quanto stupefacente agli occhi del senso comune. Come tutto questo sia avvenuto è questione sulla quale dovrà soffermarsi chiunque si sentirà chiamato a ricostruire sulle rovine della destra.
   
Che fai, mi cacci?
C’è stato un momento nel quale la così detta destra finiana, già contrafforte malgré soi del neonato Popolo della libertà, ha dato l’impressione di volersi sottrarre a una subalternità non più tollerabile nei confronti di Silvio Berlusconi. Nel 2010, sorretto dalle speranze variopinte dei mezzi d’informazione persuasi dell’imminente trapasso del berlusconismo, Gianfranco Fini si è intestato la battaglia del patricida. Accusato d’infedeltà e ingratitudine dai pretoriani del Cavaliere (molti dei quali provenienti dalle file di Alleanza nazionale), Fini ha dato l’impressione di voler costruire una destra di stampo europeo, un po’ neogollista (tendenza Chirac), un po’ troppo giovanilistica, con punte di radicalismo sociale (la battaglia per il riconoscimento dello ius soli agli extracomunitari, una certa improntitudine sulle questioni di natura bioetica) e non senza occhieggiamenti verso il così detto establishment editorial-finanziario dichiaratamente ostile a Berlusconi. Malgrado i notevoli chiaroscuri biografici dell’allora presidente della Camera, compresa la brutta storia della casa di Montecarlo appartenente alla Fondazione di An e assegnata per vie tortuose al cognato di Fini, la sola volontà di rompere con il patriarca di Arcore sembrava trovare un promettente riscontro nei sondaggi. Uno psichismo diffusamente compiacente verso l’impresa finiana ha insinuato nei protagonisti della rottura la certezza di poter vincere per vie parlamentari, infliggendo una sfiducia brutale al governo Berlusconi. All’immediato fallimento dell’espediente tattico, non è seguita una fase di riorganizzazione politica e di ridefinizione culturale autentica. Semplicemente, Fini e i suoi hanno immaginato di dover soltanto rinviare il tempo della vendemmia. Negli interstizi dell’attesa è emerso il vuoto della proposta di Futuro e libertà: tagliati i ponti con il passato prossimo (del passato remoto è inutile qui parlare ancora), a Fini è riuscita più congeniale l’eliminazione diretta della parola “destra” dal proprio arsenale retorico. La sua offerta si è richiamata anzi all’esigenza di rompere del tutto con categorie che a suo dire erano ormai deprivate di senso: la dialettica destra/sinistra è così uscita dal cono di luce del delfino almirantiano, ma senza che a questa eliminazione sommaria corrispondessero un disegno dai contorni precisi, una base identitaria, una prospettiva intorno alla quale conservare, rendere coeso e incrementare l’insieme dei consensi e delle aspettative ingenerate. Il risultato di questa meccanica è stato l’avvicinamento “destinale” a Pier Ferdinando Casini e della sua Unione di centro, cui è seguita l’accettazione acritica del tecno-governo di Mario Monti con l’intermittente consiglio/sostegno di Luca Cordero di Montezemolo. L’entente, come noto, è sbocciata nella formazione di liste sorelle (unitaria per il Senato) che sono apparse come la sommatoria di calcoli, debolezze e vanità comuni. Gli elettori ne hanno fatto giustizia, consegnando Fini e i suoi consiglieri al limbo degli esuli in Patria. Anzi dei senza Patria e basta. A distanza di tre anni dalla nascita dei primi focolai di dissenso nel Popolo della libertà, è difficile che l’azzardo di Fini possa essere rubricato sotto la categoria della destra in rivolta contro l’assimilazione violenta alla compagine berlusconiana. Se innegabile era la tendenza livellatrice e monocratica esibita dall’allora premier, altrettanto manifesta è stata poi la natura personalistica, politicistica e velleitaria di Futuro e libertà. Di là dalla rimasticazione episodica degli slogan futuristi primonovecento, di là dalla improvvisata modernolatria dei pochi (e presto abbandonati) intellettuali alla corte di Fini, non è stato possibile individuare alcun nucleo politico o ideale degno di sopravvivere alla fragorosa condanna elettorale. Ma il danno d’immagine, per un mondo che almeno nei presupposti e nelle provenienze individuali non è possibile disgiungere dall’archetipo post fascista, quello è chiaro e distinto. E sarà durevole.

Che fai, mi riprendi?

Gli altri gruppi della così detta destra italiana, accomunati senz’altro da un livore furibondo nei confronti del loro ex sovrano Gianfranco Fini, sono nati o sono cresciuti ora in conflitto ora in rapporto di vassallaggio con Berlusconi. La Destra di Storace è stata allestita come controparte identitaria anti finiana, ma al tempo stesso si è più volte proposta come un cuneo di ribellione conficcato ai fianchi del Cavaliere. Salvo poi ripiegare appena possibile, calendario elettorale alla mano, nella più confortevole ombra di Arcore. Le immagini di Daniela Santanchè nella sua versione paleo berlusconiana, poi storaciana (la “destra con la bava alla bocca” che non accetta di stare sdraiata) e infine nuovamente, appassionatamente accanto al capo del Pdl, ci danno la misura delle oscillazioni mostrate dalla classe dirigente post fascista. In questo quadro, Storace si è impegnato a impersonare un ruolo di vaga ed equivoca testimonianza identitaria non poi così dissimile rispetto a quello svolto dall’estrema sinistra post bertinottiana (con conseguenze simmetricamente funeste).
Su tutt’altro fronte, quel che resta della Destra sociale di Gianni Alemanno ha combusto la propria immagine di forza alternativa allo strapotere berlusconiano, all’amletismo finiano, al tatticismo superficiale degli storici avversari interni Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri. La totale assenza alemanniana dal discorso pubblico innescato con la nascita di Futuro e libertà si è perfettamente combinata con il tentativo di procedere a un berlusconicidio pre elettorale sanzionato dal mondo clericale (da Comunione e liberazione in giù) con cui il sindaco di Roma è infeudato da sempre. In poche parole, dall’inverno scorso Alemanno ha cullato il sogno di un’iniziativa di conio popolare che procedesse alla rimozione dolce (ma nondimeno completa) dell’ostacolo Berlusconi. Receduto dall’azzardo, causa colpo di reni della vittima sacrificale, Alemanno è stato fra i primi a ritornare all’ovile proclamando nuovamente una fedeltà tanto palloccolosa quanto inane. Il che non è gli bastato, tuttavia, per riconquistare una dimensione nazionale degna della sua superbia, né per sfuggire alle conseguenze del suo disastroso quinquennio al Campidoglio.
Una debolezza parallelamente meschina caratterizza l’operazione Fratelli d’Italia. Il volto non più acerbo della leader (ed ex ministro pidiellino) Giorgia Meloni è insufficiente a coprire il pizzetto consunto dell’ex berlusconiano d’acciaio Ignazio la Russa. Concepito come un disperato tentativo di differenziarsi dal declinante benefattore di Arcore, nell’auspicio di contenere l’emorragia di voti destinati all’astensione o al grillismo, il gruppo di Meloni è appassito prima ancora di germogliare per la semplice ragione che non aveva alcunché da offrire al suo potenziale elettore che non fosse già stato offerto in precedenza con l’etichetta del Pdl. Per quale ragione un cittadino che ha votato prima An e poi Pdl avrebbe dovuto premiare Fratelli d’Italia? E in effetti, a ben guardare la composizione di quel deludente uno-e-qualcosa per cento rimediato nelle urne, si comprende con facilità che la cifra origina nel pacchetto sempre più impoverito delle clientele militanti di una corrente (la Destra protagonista) un tempo egemone in An e dalla quale, con una coerenza che gli va riconosciuta, si è distaccato l’iper berlusconiano e mai fascista Maurizio Gasparri.

Che fai, mi ignori?
Se la caduta delle destre istituzionali dipende in larga parte dal fatto che, sequestrate dai loro piccoli cacicchi vanitosi e imbelli, non erano più “di destra” in senso tradizionale da circa vent’anni, il “sonno” delle destre radicali extraparlamentari trova una sua ragione nella quasi totale assenza di leadership carismatiche e messaggi auscultabili all’esterno della claustrofobica catacomba neofascista. In questa congiuntura il brodo di coltura antisistemico italiano è stato fecondato dalla proposta millenaristico-settaria che il comico Beppe Grillo ha condiviso con il guru dell’e-commerce Gianroberto Casaleggio. Un lavoro scientifico, il loro, che per la verità è cominciato da diversi anni e che si è talmente rafforzato da attirare come un magnete perfino le limature di ferro dello scontento estremista, sia di destra sia di sinistra. Nel frattempo i cuori neri si baloccavano con le loro solite, logore liturgie intonate al culto della sconfitta neofascista e con l’immancabile rivalità fra consanguinei. Fatta eccezione per il movimentismo di CasaPound, reso popolare dal recupero del migliore dannunzianesimo ma viziato spesso da pulsioni avanguardistiche inconcludenti, non c’era una sola buona ragione per la quale le destre anti sistemiche dovessero presentarsi alle elezioni immaginando di non venirne malamente sbertucciate.
Requiem o palingenesi?
In natura nulla va perduto, è così perfino nell’Italia a sovranità limitata, assoggettata alla germanizzazione del suo sistema economico-finanziario e appetita dal capitalismo apolide responsabile della crisi internazionale. Dunque anche per la destra c’è speranza. Non è possibile qui aggettivare oltremisura la destra di riferimento, ma certo è che per rinascere bisogna essere stati qualcosa nel passato. E’ a una destra tradizionale che si può o si deve guardare, nel senso più alto, nobile e purtroppo negletto dalla maggior parte delle formazioni esistenti: ogni altro tentativo e ogni altra variante essendo falliti alla prova dei fatti recenti. Il grillismo è un fenomeno di falsa rottura transeunte ed è destinato prima o poi a liberare energie insospettabili, dopo aver caoticamente rilegittimato alcune idee e istanze di sovranità politica e culturale tipicamente di destra. Chi un domani sappia saldare questo accumulatore di energia con un circuito elitario, nel quale le nuove personalità di riferimento siano realmente formate lungo linee di vetta metapolitiche (frutto di una disciplina perfino interiore, siamo portati a dire), potrà modellare un corpo adatto al manifestarsi di una “destra eterna” che attende la sua prossima incarnazione. Quando il sole avrà estinto l’ultima pozzanghera.

Il testo riprodotto verrà pubblicato sulla Rivista di Politica diretta da Alessandro Campi, n. 2, aprile-giugno 2013, con il titolo: “La fine di un mondo. Come (e perché) si è dissolta la destra” in Italia

venerdì 24 maggio 2013

La destra fra scomposizione e ricomposizione...

La destra sociale italiana è politicamente esplosa in mille pezzi. Ai sette partitini che si sono presentati alle scorse elezioni politiche, ne vanno ora aggiunti almeno altri undici che si presentano autonomamente alle elezioni amministrative di domenica prossima. I gruppi organizzati d'area, almeno quelli censiti e classificati, con assoluto rigore scientifico, dalla Facoltà di Scienze Politiche della Università di Roma, sono oltre duecento, in continua crescita, a seguito di micro scissioni locali. Oltre mille sono invece le sigle ed i simboli presenti in rete e sui social network. Si tratta di una vera follia, di un suicidio politico, di una tragicomica dispersione di energie, uomini e mezzi, tempo e danaro che, insieme, potrebbero, realisticamente, dare vita ad un grande "fronte nazionale" del 15-20% come quello francese di Jean Marie e Marine Le Pen.
Meditate camerati e patrioti, meditate...
Questo è il simbolo proposto da alcuni dirigenti politici per il possibile nuovo soggetto unitario che, partendo da un preciso accordo fra Fratelli d'Italia, La Destra di Storace, gli ex finiani di Futuro e Libertà e la Fiamma Tricolore di Romagnoli, dovrà, finalmente, riunificare, rinnovare e rilanciare la destra sociale, popolare ed identitaria italiana, in un nuovo e grande "fronte nazionale". Speriamo, sarebbe ora, meglio tardi che mai...
 

giovedì 23 maggio 2013

INDICAZIONI DI VOTO - 26-27 maggio 2013

 
Purtroppo, non abbiamo più/ancora un partito unico di riferimento e, quello che resta, della povera destra sociale italiana è, ancora, tragicomicamente, diviso in una decina di listarelle concorrenti. Pertanto, non possiamo che invitarVi a valutare bene le singole situazioni politiche locali, a non sprecare e disperdere il voto, a scegliere gli uomini e le donne giuste (a prescindere dalle liste) ed a sostenere candidati validi ed affidabili che abbiano veramente la possibilità di rappresentarvi, al meglio, nelle istituzioni locali. Certo è che, all'interno della coalizione di centro-destra, meglio sostenere quelle forze (Lega Nord, Fratelli d'Italia e La Destra) che sono alla opposizione di questo deludente governissimo nazionale che continua ad essere succube della plutocrazia mondialista e di questa infame Europa dei banchieri e dei burocrati.
 

In ricordo di Giorgio Almirante.


 
 
Dalla Repubblica Sociale all'ultimo discorso alla Camera, passando per momenti drammatici della vita politica nazionale
L’esordio alla Camera (1948)
Sulla barca governativa sono stati accolti dei remiganti i quali indubbiamente vogliono remare in direzioni opposte: al centro di questa barca l'onorevole De Gasperi ha innalzato una bianca vela, la vela del progressismo e dell' innovazione; giacché ci ha comunicato nel suo discorso che la Democrazia cristiana è un partito innovatore e progressista. Ma noi temiamo fortemente che, remando gli uni in un senso e gli altri nell'altro e mancando purtroppo ancora il buon vento degli effettivi del paese, la barca si areni nelle solite secche.
RSI, addio! (1948)
Colui che qualche anno fa innalzò questo tempio d'ingiustizia ebbe a chiamarlo «tempio, tetrastilo», usando una formula greca, forse perché alla lingua latina, la lingua del diritto, ripugnava una definizione di questo genere. Oggi questo tempio a quattro colonne o è crollato o sta crollando; ma sotto le macerie troppa gente ancora soffre, troppi italiani soffrono. Si teme forse che essi possano, come diceva il Presidente del Consiglio, rientrare nella famosa spirale della vendetta. Non è vero: essi l'hanno spezzata, essi vogliono rientrare nel circolo degli affetti familiari, essi vogliono lavorare per l'Italia. Con questo auspicio, o colleghi -che finalmente si possa lavorare per l'Italia in un'atmosfera veramente pacifica e pacificata -il Movimento sociale italiano inizia la sua attività parlamentare, che sempre condurrà da questo punto di vista e con questo preciso intento. Non importa che la nostra pattuglia sia ristretta: è grande il nostro cuore d' italiani!
Il ritorno di Trieste
La sera del 10 giugno in piazza Unità è rimasta incancellabile nell'animo di tutti coloro che hanno avuto la grande sorte ed il grande privilegio di viverla insieme col popolo triestino. Era sentimento? No, era un atto di storia, era un fatto storico fondamentale nella vita del nostro paese. Trieste quella sera, in quei giorni, celebrò la sua vittoria, che non fu vittoria politica, ma vittoria storica. Trieste riconsacrò l'Italia a se stessa. Da Trieste partì in quei giorni una luce, che chiarì a molti italiani, che in questi anni ne avevano perduto la nozione ed il ricordo, cos'è la nazione, cos'è la patria, cosa significa amare l'Italia. Trieste vinse allora, e noi siamo sicuri che Trieste vincerà ancora. Trieste ha ricordato agli italiani, ha radicato nuovamente negli italiani, anche nei più riottosi, il senso vivo della nazione. Trieste, nell'ambito internazionale, saprà ricordare agli europei, agli uomini civili europei e di tutte le parti del mondo, il senso vivo d' Europa, della sua civiltà, della sua lotta contro ogni barbarie.
In ricordo dei Caduti
Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte. E se l'avversario irride alle nostre cadute, noi confidiamo nella nostra capacità di risollevarci. In altri tempi ci risollevammo per noi stessi, da qualche tempo ci siamo risollevati per voi, giovani, per salutarvi in piedi nel momento del commiato, per trasmettervi la staffetta prima che ci cada di mano, come ad altri cadde nel momento in cui si accingeva a trasmetterla.
Julius Evola
Se volete un motto che vi ispiri e vi rafforzi, ricordate l’insegnamento di Evola: “Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai”.
Pacificare senza rinnegare
Non vi offendete, non prendetevela a male. Quello che sto dicendo non vuol essere affatto provocatorio, anche se mi rendo conto che può sembrarlo. Bisogna che tutti prendano atto che la Repubblica nata dalla Resistenza è morta e bisogna celebrarne i funerali. Non lo dico polemicamente. Mi rendo conto che è difficile, per ciascuno di voi, almeno per coloro che hanno militato nei ranghi della Resistenza, accettare un simile discorso: ma io lo faccio egualmente. Quando noi anziani (o noi vecchi), che siamo giustamente legati alle nostre memorie ed alle nostre vecchie tradizioni, parliamo un linguaggio che ci sembra attuale e che invece attuale non è, quando voi insistete a proposito dei valori della Resistenza ed io insisto sui contrapposti valori della Repubblica sociale italiana, io vi dico che non sono disponibile a cedere su questo piano: non sono disponibile a rinnegare; e ricordo a me stesso che il vecchio motto del Movimento Sociale Italiano fu inventato da Augusto De Marsanich, che fu splendido segretario del partito e che insegnò nella sua esperienza, nella sua pulizia, nella sua estrema correttezza morale, nella sua grande capacità politica, a non rinnegare e a non restaurare. Non siamo disponibili per rinnegare; ma (abbiamo dato l'esempio, e continuiamo a darlo) siamo capaci di non restaurare. La nostra non è una tradizione che pigramente pensiamo di poter inserire immutata nel presente e nell'avvenire del nostro paese. Noi pensiamo di rinnovare noi stessi, di dare esempio di capacità di rinnovamento da parte nostra; pensiamo che sia venuta l'ora per riconoscerci in una Repubblica diversa, adeguata alle necessità dei tempi, in una Repubblica che sappia davvero rappresentare il punto di incontro tra tutti gli italiani.
In morte di Ugo Venturini (1970)
Sto dicendo la verità a nome di un partito che in quella occasione ha fatto esemplarmente il suo dovere e sto dicendo la verità a nome di un partito (anticipo, dolorosamente, quello che stavo per dire) che ha avuto in Genova uno dei suoi giovanissimi martiri, Ugo Venturini, il quale è stato fatto fuori a pietrate accanto a me, per salvarmi la vita. Erano pietrate che erano destinate al mio cranio, e che purtroppo sono arrivate al giovane cranio di Ugo Venturini. Dopo i fatti del 1960, per la prima volta tornavo a Genova per tenere una manifestazione; trovai il solito servizio di disordine, trovai forze dell'ordine che purtroppo avevano avuto l'ordine di consentire il disordine. La pelle ce l'ha rimessa un ragazzo di trentatré anni, Ugo Venturini. Ci permettete di ricordare i nostri morti, ce lo permettete? Perché lo stiamo facendo senza nessuna faziosità, con enorme dolore.
Il Potere e l’Opposizione
Non ho alcuna aspirazione di potere. Noi non abbiamo alcuna aspirazione di potere, e siamo in grado di raccogliere consensi sempre più vasti anche dicendo ai nostri elettori che non li potremo difendere da posizioni di potere, ma che li difenderemo da posizioni di opposizione. Da quarant'anni a questa parte questo è il nostro atteggiamento, questo è il nostro comportamento in Parlamento e nel Paese.
La Coscienza
Buona fortuna agli avversari; noi abbiamo buona coscienza, il che è più importante.
Dopo l’assassinio  di Alberto Giaquinto (1979)
Si accertino questi fatti; si sarebbero dovuti accertare prima. Ma che razza di ministro dell’Interno è un ministro che ripete il mattinale della questura, di una squalificata questura, di uno squalificato questore, quando ci sono dei ragazzi assassinati?
Mi sento padre di questa famiglia, come segretario di questo partito.
Non volevamo tenere comizi, perché i comizi sono di pessimo gusto quando si tratta di dare la parola a chi ha dato il sangue.
Sono il segretario del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, partito nato 32 anni or sono, che ha onoratamente vissuto alla opposizione quasi tutta, posso dire tutta, la sua vicenda politica, nel bene e nel male, sbagliando o a ragione.
La giustizia se lo ricordi, onorevole ministro, nell’esercizio della sua funzione è la sola alternativa alla violenza. Non ne esistono altre. È inutile parlare di pacificazione. No, la giustizia ci vuole! I giovani questo vogliono, a questo hanno diritto.
Ebbene, in nome dei giovani, nostri ed altrui, noi vogliamo giustizia e non molleremo, onorevole ministro. 
Cadono i nostri ragazzi, e me ne duole infinitamente. Cadono ragazzi di sinistra o di altre parti; me ne duole altrettanto, ma cominciate a cadere anche voi, perché siete marci, in questo meccanismo di corruzione indotta, di viltà contagiosa, di menzogna invereconda!
L’ultimo discorso alla camera (1987)
Qualcosa comincia finalmente a tradursi in realtà. Lo stesso onorevole Craxi ha fatto propria (senza naturalmente citare la fonte: ma non ha alcuna importanza) una delle tesi da noi sostenute, cioè le necessità che il Presidente della Repubblica sia eletto direttamente dal popolo. Gruppi parlamentari come quello socialdemocratico hanno presentato abbastanza recentemente proposte di legge per l'elezione diretta del sindaco: e non si tratta di una riforma meno importante della precedente, anzi in qualche modo si può dire che sia addirittura più importante. Si sta, molto lentamente e faticosamente, determinando una coscienza popolare sulla necessità di riformare il sistema. Così, appunto, il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale qualifica la sua azione di opposizione. 
L’addio alla Segreteria (Congresso di Sorrento – 1987)
Mi piacerà essere ricordato. Ma prego Iddio di non farmi rimpiangere dal popolo missino.
La mia età e la mia salute non sono i motivi determinanti della mia fermissima decisione, anche se un certo peso lo hanno avuto. E allora qual è il motivo vero? Il fatto che per quasi vent' anni il Movimento sociale abbia avuto lo stesso segretario e la stessa classe dirigente. E' dunque giusto, è utile, è necessario che il segretario del partito dia l' esempio e lasci l' incarico. Cederà il posto, ma non scomparirà. La casa dell' Msi è, insieme alla mia dimora personale, casa mia. Nessuno se ne va.
“Non ho voglia di vivere a lungo.
Quello che potevo fare di buono l’ho già fatto:
ho seminato fede e speranza per tanti anni.
Ho esortato al coraggio e alla pazienza un popolo
che se avesse avuto pazienza e coraggio non sarebbe finito così male.
Ho diffuso amore per idee buone e semplici.
Di più non potrò mai fare.
Ed è bene che uomini come me non raggiungano il successo.
Degli uomini come me si deve poter dire:
era fatto per i tempi duri e difficili,
era fatto per seminare e non per raccogliere,
era fatto per dare e non per prendere.
Vorrei tanto che, quando non ci sarò più,
si dicesse di me quello che Dante disse di Virgilio:
facesti come colui che cammina di notte,
e porta un lume dietro di sé, e con quel lume non aiuta se stesso.
Egli cammina al buio,
si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri.”
L’esordio alla Camera (1948)
Sulla barca governativa sono stati accolti dei remiganti i quali indubbiamente vogliono remare in direzioni opposte: al centro di questa barca l'onorevole De Gasperi ha innalzato una bianca vela, la vela del progressismo e dell' innovazione; giacché ci ha comunicato nel suo discorso che la Democrazia cristiana è un partito innovatore e progressista. Ma noi temiamo fortemente che, remando gli uni in un senso e gli altri nell'altro e mancando purtroppo ancora il buon vento degli effettivi del paese, la barca si areni nelle solite secche.

RSI, addio! (1948)

Colui che qualche anno fa innalzò questo tempio d'ingiustizia ebbe a chiamarlo «tempio, tetrastilo», usando una formula greca, forse perché alla lingua latina, la lingua del diritto, ripugnava una definizione di questo genere. Oggi questo tempio a quattro colonne o è crollato o sta crollando; ma sotto le macerie troppa gente ancora soffre, troppi italiani soffrono. Si teme forse che essi possano, come diceva il Presidente del Consiglio, rientrare nella famosa spirale della vendetta. Non è vero: essi l'hanno spezzata, essi vogliono rientrare nel circolo degli affetti familiari, essi vogliono lavorare per l'Italia. Con questo auspicio, o colleghi -che finalmente si possa lavorare per l'Italia in un'atmosfera veramente pacifica e pacificata -il Movimento sociale italiano inizia la sua attività parlamentare, che sempre condurrà da questo punto di vista e con questo preciso intento. Non importa che la nostra pattuglia sia ristretta: è grande il nostro cuore d' italiani!
Il ritorno di Trieste
La sera del 10 giugno in piazza Unità è rimasta incancellabile nell'animo di tutti coloro che hanno avuto la grande sorte ed il grande privilegio di viverla insieme col popolo triestino. Era sentimento? No, era un atto di storia, era un fatto storico fondamentale nella vita del nostro paese. Trieste quella sera, in quei giorni, celebrò la sua vittoria, che non fu vittoria politica, ma vittoria storica. Trieste riconsacrò l'Italia a se stessa. Da Trieste partì in quei giorni una luce, che chiarì a molti italiani, che in questi anni ne avevano perduto la nozione ed il ricordo, cos'è la nazione, cos'è la patria, cosa significa amare l'Italia. Trieste vinse allora, e noi siamo sicuri che Trieste vincerà ancora. Trieste ha ricordato agli italiani, ha radicato nuovamente negli italiani, anche nei più riottosi, il senso vivo della nazione. Trieste, nell'ambito internazionale, saprà ricordare agli europei, agli uomini civili europei e di tutte le parti del mondo, il senso vivo d' Europa, della sua civiltà, della sua lotta contro ogni barbarie.

In ricordo dei Caduti

Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte. E se l'avversario irride alle nostre cadute, noi confidiamo nella nostra capacità di risollevarci. In altri tempi ci risollevammo per noi stessi, da qualche tempo ci siamo risollevati per voi, giovani, per salutarvi in piedi nel momento del commiato, per trasmettervi la staffetta prima che ci cada di mano, come ad altri cadde nel momento in cui si accingeva a trasmetterla.
Julius Evola
Se volete un motto che vi ispiri e vi rafforzi, ricordate l’insegnamento di Evola: “Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai”.

Pacificare senza rinnegare

Non vi offendete, non prendetevela a male. Quello che sto dicendo non vuol essere affatto provocatorio, anche se mi rendo conto che può sembrarlo. Bisogna che tutti prendano atto che la Repubblica nata dalla Resistenza è morta e bisogna celebrarne i funerali. Non lo dico polemicamente. Mi rendo conto che è difficile, per ciascuno di voi, almeno per coloro che hanno militato nei ranghi della Resistenza, accettare un simile discorso: ma io lo faccio egualmente. Quando noi anziani (o noi vecchi), che siamo giustamente legati alle nostre memorie ed alle nostre vecchie tradizioni, parliamo un linguaggio che ci sembra attuale e che invece attuale non è, quando voi insistete a proposito dei valori della Resistenza ed io insisto sui contrapposti valori della Repubblica sociale italiana, io vi dico che non sono disponibile a cedere su questo piano: non sono disponibile a rinnegare; e ricordo a me stesso che il vecchio motto del Movimento Sociale Italiano fu inventato da Augusto De Marsanich, che fu splendido segretario del partito e che insegnò nella sua esperienza, nella sua pulizia, nella sua estrema correttezza morale, nella sua grande capacità politica, a non rinnegare e a non restaurare. Non siamo disponibili per rinnegare; ma (abbiamo dato l'esempio, e continuiamo a darlo) siamo capaci di non restaurare. La nostra non è una tradizione che pigramente pensiamo di poter inserire immutata nel presente e nell'avvenire del nostro paese. Noi pensiamo di rinnovare noi stessi, di dare esempio di capacità di rinnovamento da parte nostra; pensiamo che sia venuta l'ora per riconoscerci in una Repubblica diversa, adeguata alle necessità dei tempi, in una Repubblica che sappia davvero rappresentare il punto di incontro tra tutti gli italiani.
In morte di Ugo Venturini (1970)
Sto dicendo la verità a nome di un partito che in quella occasione ha fatto esemplarmente il suo dovere e sto dicendo la verità a nome di un partito (anticipo, dolorosamente, quello che stavo per dire) che ha avuto in Genova uno dei suoi giovanissimi martiri, Ugo Venturini, il quale è stato fatto fuori a pietrate accanto a me, per salvarmi la vita. Erano pietrate che erano destinate al mio cranio, e che purtroppo sono arrivate al giovane cranio di Ugo Venturini. Dopo i fatti del 1960, per la prima volta tornavo a Genova per tenere una manifestazione; trovai il solito servizio di disordine, trovai forze dell'ordine che purtroppo avevano avuto l'ordine di consentire il disordine. La pelle ce l'ha rimessa un ragazzo di trentatré anni, Ugo Venturini. Ci permettete di ricordare i nostri morti, ce lo permettete? Perché lo stiamo facendo senza nessuna faziosità, con enorme dolore.
Il Potere e l’Opposizione
Non ho alcuna aspirazione di potere. Noi non abbiamo alcuna aspirazione di potere, e siamo in grado di raccogliere consensi sempre più vasti anche dicendo ai nostri elettori che non li potremo difendere da posizioni di potere, ma che li difenderemo da posizioni di opposizione. Da quarant'anni a questa parte questo è il nostro atteggiamento, questo è il nostro comportamento in Parlamento e nel Paese.
La Coscienza
Buona fortuna agli avversari; noi abbiamo buona coscienza, il che è più importante.
Dopo l’assassinio  di Alberto Giaquinto (1979)
Si accertino questi fatti; si sarebbero dovuti accertare prima. Ma che razza di ministro dell’Interno è un ministro che ripete il mattinale della questura, di una squalificata questura, di uno squalificato questore, quando ci sono dei ragazzi assassinati? Mi sento padre di questa famiglia, come segretario di questo partito. Non volevamo tenere comizi, perché i comizi sono di pessimo gusto quando si tratta di dare la parola a chi ha dato il sangue. Sono il segretario del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, partito nato 32 anni or sono, che ha onoratamente vissuto alla opposizione quasi tutta, posso dire tutta, la sua vicenda politica, nel bene e nel male, sbagliando o a ragione. La giustizia se lo ricordi, onorevole ministro, nell’esercizio della sua funzione è la sola alternativa alla violenza. Non ne esistono altre. È inutile parlare di pacificazione. No, la giustizia ci vuole! I giovani questo vogliono, a questo hanno diritto. Ebbene, in nome dei giovani, nostri ed altrui, noi vogliamo giustizia e non molleremo, onorevole ministro. Cadono i nostri ragazzi, e me ne duole infinitamente. Cadono ragazzi di sinistra o di altre parti; me ne duole altrettanto, ma cominciate a cadere anche voi, perché siete marci, in questo meccanismo di corruzione indotta, di viltà contagiosa, di menzogna invereconda!
L’ultimo discorso alla camera (1987)
Qualcosa comincia finalmente a tradursi in realtà. Lo stesso onorevole Craxi ha fatto propria (senza naturalmente citare la fonte: ma non ha alcuna importanza) una delle tesi da noi sostenute, cioè le necessità che il Presidente della Repubblica sia eletto direttamente dal popolo. Gruppi parlamentari come quello socialdemocratico hanno presentato abbastanza recentemente proposte di legge per l'elezione diretta del sindaco: e non si tratta di una riforma meno importante della precedente, anzi in qualche modo si può dire che sia addirittura più importante. Si sta, molto lentamente e faticosamente, determinando una coscienza popolare sulla necessità di riformare il sistema. Così, appunto, il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale qualifica la sua azione di opposizione. 
L’addio alla Segreteria (Congresso di Sorrento – 1987)
Mi piacerà essere ricordato. Ma prego Iddio di non farmi rimpiangere dal popolo missino.La mia età e la mia salute non sono i motivi determinanti della mia fermissima decisione, anche se un certo peso lo hanno avuto. E allora qual è il motivo vero? Il fatto che per quasi vent' anni il Movimento sociale abbia avuto lo stesso segretario e la stessa classe dirigente. E' dunque giusto, è utile, è necessario che il segretario del partito dia l' esempio e lasci l' incarico. Cederà il posto, ma non scomparirà. La casa dell' Msi è, insieme alla mia dimora personale, casa mia. Nessuno se ne va.


“Non ho voglia di vivere a lungo. Quello che potevo fare di buono l’ho già fatto: ho seminato fede e speranza per tanti anni. Ho esortato al coraggio e alla pazienza un popolo che se avesse avuto pazienza e coraggio non sarebbe finito così male. Ho diffuso amore per idee buone e semplici. Di più non potrò mai fare. Ed è bene che uomini come me non raggiungano il successo. Degli uomini come me si deve poter dire:era fatto per i tempi duri e difficili, era fatto per seminare e non per raccogliere, era fatto per dare e non per prendere. Vorrei tanto che, quando non ci sarò più, si dicesse di me quello che Dante disse di Virgilio: facesti come colui che cammina di notte, e porta un lume dietro di sé, e con quel lume non aiuta se stesso. Egli cammina al buio, si apre la strada nel buio ma dietro di sé illumina gli altri.”
 

Intervista a Donna Assunta Almirante.

 
“Mi ritrovai ad ascoltare un suo comizio per caso” – Il primo appuntamento in una trattoria romana, il racconto degli eventi dell’autogrill Cantagallo e la morte di Ugo Venturini a Genova. Il ricordo indelebile di una vita al fianco di un uomo “buono, gentile, un vero signore dall’animo nobile”, a venticinque anni dalla scomparsa.
Erano gli anni cinquanta, l’era dell’Italia in bianco e nero, quella in cui il Paese era appena uscito dalle distruzioni del Secondo Conflitto Mondiale. Erano i giorni della voglia di rinascere, l’epoca delle donne eleganti e sofisticate, curate, attente alla moda. Era il momento dei colori, del “new look”, che restituiva al mondo femminile quella raffinatezza che, con le brutture della guerra, sembrava essere andata perduta. 
Erano gli anni in cui l’universo femminile assumeva nuova consapevolezza di sé.
Donna Raffaella Stramandinoli, da tutti chiamata Assuntina, aveva 25 anni. Originaria di Conflenti, una cittadina in provincia di Catanzaro, era una giovane e bellissima donna dal carattere aperto e vivace.
Giorgio Almirante la conobbe durante un comizio in Calabria e se ne innamorò perdutamente. 
“Non appartenevo a nessun partito politico – racconta Donna Assunta, che oggi, a dispetto dell’età, conserva quella stessa eleganza e vivacità di allora – Mi ritrovai ad ascoltare un suo comizio per caso, ma non mi interessava, quindi, mentre lui parlava, io tirai via dal mio cappellino uno spillone, e con quello cominciai a punzecchiare gli altri giovani che erano lì. Loro cominciarono a ridere. Giorgio cercava di concentrarsi, ma notava che c’erano degli elementi di disturbo. Mi raccontò poi che si chiese: “ma perché ridono?”. Dopo il comizio il caso volle che ci ritrovassimo a tavola insieme, ospiti della stessa persona, che era un caro amico di famiglia”. 
Donna Assunta rievoca i primi incontri con Giorgio Almirante come se fossero accaduti ieri, ricorda ogni dettaglio. “Una mia amica mi chiese un favore. Avrei dovuto intercedere per lei presso un mio parente, politico importante. Le dissi che avevo conosciuto uno che mi sembrava una persona affidabile, un uomo gentile e cortese, serio. Le promisi che gliene avrei parlato. Così mi recai alla sede del Partito, ma mi dissero che Almirante non c’era, era andato a Bolzano. Lasciai il mio numero di telefono e me ne andai. Mi telefonò quella sera stessa, tardissimo. Saranno state le 23,30. Gli dissi che ero appena rientrata, che avevo ancora indosso la pelliccia e il cappello, e che sarebbe stato meglio risentirci in un altro momento. Ma lui mi rispose: “beh, se è ancora in queste condizioni potremmo anche vederci subito”. Così scesi e lo raggiunsi. Mi portò a mangiare in una di quelle trattorie in cui lui di solito si recava. Non ero abituata a quel tipo di ambiente, c’era una confusione incredibile, tutti parlavano ad alta voce. Fu il nostro primo appuntamento. Dopo ci incontrammo ancora, sempre più spesso. Nacque così quel nostro affetto che ci ha poi legati per tutta la vita, fino a quando il buon Dio non pensò di portarselo via”. 
In casa Almirante  ancora oggi sembra che Giorgio sia vivo. Ogni angolo parla di lui, del Movimento Sociale Italiano e dalla sua amata famiglia. Un grande ritratto del Segretario campeggia nello studio, guardando nei suoi occhi sembra di averlo lì, e sembra che stia per parlare. E’ vero quel che si dice, che chi vive nei cuori di chi resta, in fondo, non muore mai. 
“Amò i figli del mio primo matrimonio come se fossero i suoi – continua a raccontare Donna Assunta – si occupava lui di tutto: della scuola, per esempio. Io avevo delle proprietà in Calabria e spesso ero costretta a viaggiare, dunque lui seguiva i bambini in ogni loro necessità, e lo faceva con grande amore. Era profondamente credente. E buono. Era un uomo nato per fare del bene agli altri, un vero signore, di animo gentile. Ovunque fossimo, in giro per l’Italia, la domenica mattina andavamo alla Messa”. 
E’ donna di carattere, Donna Assunta. E’ sempre stata così, determinata, gentile ma fiera, e senza peli sulla lingua. 
“Una volta venne a prenderci Michele Marchio, Giorgio aveva un incontro importante con il presidente Leone, così con Michele ci mettemmo in viaggio. Che grande persona, Michele Marchio! – continua Donna Assunta - Dall’aspetto burbero ma buono come il pane! Insomma lungo la strada da Bologna a Roma Michele dice di avere fame e si ferma all’autogrill Cantagallo. Ordiniamo il primo e cominciamo a mangiare. Ad un certo punto ci rendiamo conto che i lavoratori si sono messi tutti in piedi con le braccia conserte. Allora Giorgio va dal direttore e gli dice: “Scusi, tutto questo accade in mio onore?”. Il direttore, in difficoltà, gli fa “si, Onorevole, mi dispiace…” Giorgio non si scompone, ci dice che dobbiamo andare. Ma io non ci penso nemmeno! Mi alzo e mi prendo da sola un grande cesto pieno di frutta, me lo porto a tavola e continuo a mangiare. Ma con calma, senza nessuna fretta. Il direttore mi guarda, stupito. Io non mi scompongo minimamente, anzi gli dico “è inutile che mi guarda, sa? Anzi, sa che le dico? che se vuole sedersi può anche mangiare con noi!” Michele mi guardava stupito, Giorgio era impassibile. Finisco di mangiare in tutta calma, Michele chiede il conto. Un conto che riportava anche piatti che non avevamo mangiato. Michele gliele canta a modo suo, insomma il direttore depenna le portate di cui non avevamo usufruito, paghiamo ed usciamo per mettere benzina, ma anche il distributore sta a braccia conserte. Io ero arrabbiatissima, Michele bofonchiava, Giorgio rimaneva impassibile e sembrava che la cosa non lo scalfisse minimamente. Insomma ripartiamo. La notizia di quello che era successo a Cantagallo già si era diffusa, così quando arrivammo al distributore successivo trovammo la gente fuori che acclamava Giorgio Almirante, era un coro unanime: “venga, venga a mangiare, Onorevole!” Ma si era davvero fatto tardi (si, perché a Cantagallo avevamo fatto tutto con molto comodo, proprio per ripicca, e quindi avevamo perso molto tempo). Così mettemmo benzina e ripartimmo”.
Erano anni strani, quelli. La politica mieteva vittime in continuazione e gli attacchi, anche spropositati, erano all’ordine del giorno.
I fatti di Cantagallo sono soltanto il debole riflesso di un clima avvelenato in un’Italia divisa e lacerata dagli scontri tra destra e sinistra. Donna Assunta se li ricorda bene: “Vivevamo guardandoci le spalle in continuazione – dice – Quanti ragazzi innocenti abbiamo visto morire! Giorgio Almirante cercò sempre di aiutare le famiglie rimaste, ma il dolore era troppo grande”. 
Il primo ad essere sacrificato sull’altare insanguinato degli opposti estremismi si chiama Ugo Venturini. E’ il 18 aprile del 1970, e Giorgio Almirante tiene un comizio a Genova. Si scatena qualche scaramuccia all’inizio, del resto è prevedibile. Genova è una città strana, e poi Almirante è abituato ai comizi infuocati. Ma che una bottiglia piena di terra lanciata contro il palco sia intercettata da un ragazzo innocente no, non è prevedibile. E nemmeno che Ugo Venturini possa morire per un’infezione a causa di quell’impatto. Non se lo aspetta nessuno, in realtà. Non se lo aspetta la moglie di Ugo, Rita, che ha solo 28 anni. Non se lo aspetta Walter, il figlioletto, 5 anni appena. Non se lo aspetta nemmeno il segretario Almirante, che per tutta la vita porterà un peso immane sulla coscienza per quella morte assurda. 
Undici giorni   di agonia separano Ugo Venturini dalla morte, undici giorni ed undici notti in cui Almirante non si stacca dal suo capezzale. 
Donna Assunta ricorda quei fatti con dolore: “Portammo il bambino a casa nostra. Rimase con noi per molti mesi. Povero piccolo, mi diceva sempre: “ma non era meglio se moriva tuo marito, invece del mio papà?” ed io gli rispondevo: “hai ragione, piccolino. Noi siamo grandi e tu sei piccolo piccolo … hai ragione, era meglio, si.” Povero ragazzo. Lo abbiamo seguito sempre, Giorgio gli comprò una casa a Genova. La intestò al ragazzo e dispose l’usufrutto per la moglie. Era tanto giovane, povera donna! Quando Giorgio morì, sul conto trovai in tutto quarantaquattromilalire. Si, perché cercò sempre di aiutarle tutte, quelle povere famiglie rimaste a piangere i giovani morti. Anni brutti. Bruttissimi.”
Donna Assunta in questi giorni è impegnatissima. Assediata dai giornalisti, per i quali ha sempre una parola. Accerchiata dai giovani, per i quali ha sempre una carezza. Sono la nuova generazione, quella che Almirante l’ha conosciuto solo dai giornali, dalle foto, dai video e dai racconti di chi è rimasto. Sono i giovani che appartengono ad una generazione più fortunata, forse, e che restano legati alle origini di un’Idea che non è morta insieme allo storico Segretario. Donna Assunta non si nega a nessuno, “Giorgio Almirante è patrimonio di tutti”, dice. Non è gelosa dei suoi ricordi, consapevole che l’uomo che ha amato per tutta la vita appartiene un po’ a ciascuno di noi. E a tutti dà appuntamento alla commemorazione religiosa di questa sera alle 19,30 presso la Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo a Roma per il 25esimo anniversario dalla scomparsa.
Erano gli anni cinquanta, l’era dell’Italia in bianco e nero, quella in cui il Paese era appena uscito dalle distruzioni del Secondo Conflitto Mondiale. Erano i giorni della voglia di rinascere, l’epoca delle donne eleganti e sofisticate, curate, attente alla moda. Era il momento dei colori, del “new look”, che restituiva al mondo femminile quella raffinatezza che, con le brutture della guerra, sembrava essere andata perduta. Erano gli anni in cui l’universo femminile assumeva nuova consapevolezza di sé.Donna Raffaella Stramandinoli, da tutti chiamata Assuntina, aveva 25 anni. Originaria di Conflenti, una cittadina in provincia di Catanzaro, era una giovane e bellissima donna dal carattere aperto e vivace.Giorgio Almirante la conobbe durante un comizio in Calabria e se ne innamorò perdutamente. “Non appartenevo a nessun partito politico – racconta Donna Assunta, che oggi, a dispetto dell’età, conserva quella stessa eleganza e vivacità di allora – Mi ritrovai ad ascoltare un suo comizio per caso, ma non mi interessava, quindi, mentre lui parlava, io tirai via dal mio cappellino uno spillone, e con quello cominciai a punzecchiare gli altri giovani che erano lì. Loro cominciarono a ridere. Giorgio cercava di concentrarsi, ma notava che c’erano degli elementi di disturbo. Mi raccontò poi che si chiese: “ma perché ridono?”. Dopo il comizio il caso volle che ci ritrovassimo a tavola insieme, ospiti della stessa persona, che era un caro amico di famiglia”. Donna Assunta rievoca i primi incontri con Giorgio Almirante come se fossero accaduti ieri, ricorda ogni dettaglio. “Una mia amica mi chiese un favore. Avrei dovuto intercedere per lei presso un mio parente, politico importante. Le dissi che avevo conosciuto uno che mi sembrava una persona affidabile, un uomo gentile e cortese, serio. Le promisi che gliene avrei parlato. Così mi recai alla sede del Partito, ma mi dissero che Almirante non c’era, era andato a Bolzano. Lasciai il mio numero di telefono e me ne andai. Mi telefonò quella sera stessa, tardissimo. Saranno state le 23,30. Gli dissi che ero appena rientrata, che avevo ancora indosso la pelliccia e il cappello, e che sarebbe stato meglio risentirci in un altro momento. Ma lui mi rispose: “beh, se è ancora in queste condizioni potremmo anche vederci subito”. Così scesi e lo raggiunsi. Mi portò a mangiare in una di quelle trattorie in cui lui di solito si recava. Non ero abituata a quel tipo di ambiente, c’era una confusione incredibile, tutti parlavano ad alta voce. Fu il nostro primo appuntamento. Dopo ci incontrammo ancora, sempre più spesso. Nacque così quel nostro affetto che ci ha poi legati per tutta la vita, fino a quando il buon Dio non pensò di portarselo via”. In casa Almirante  ancora oggi sembra che Giorgio sia vivo. Ogni angolo parla di lui, del Movimento Sociale Italiano e dalla sua amata famiglia. Un grande ritratto del Segretario campeggia nello studio, guardando nei suoi occhi sembra di averlo lì, e sembra che stia per parlare. E’ vero quel che si dice, che chi vive nei cuori di chi resta, in fondo, non muore mai. “Amò i figli del mio primo matrimonio come se fossero i suoi – continua a raccontare Donna Assunta – si occupava lui di tutto: della scuola, per esempio. Io avevo delle proprietà in Calabria e spesso ero costretta a viaggiare, dunque lui seguiva i bambini in ogni loro necessità, e lo faceva con grande amore. Era profondamente credente. E buono. Era un uomo nato per fare del bene agli altri, un vero signore, di animo gentile. Ovunque fossimo, in giro per l’Italia, la domenica mattina andavamo alla Messa”. E’ donna di carattere, Donna Assunta. E’ sempre stata così, determinata, gentile ma fiera, e senza peli sulla lingua. “Una volta venne a prenderci Michele Marchio, Giorgio aveva un incontro importante con il presidente Leone, così con Michele ci mettemmo in viaggio. Che grande persona, Michele Marchio! – continua Donna Assunta - Dall’aspetto burbero ma buono come il pane! Insomma lungo la strada da Bologna a Roma Michele dice di avere fame e si ferma all’autogrill Cantagallo. Ordiniamo il primo e cominciamo a mangiare. Ad un certo punto ci rendiamo conto che i lavoratori si sono messi tutti in piedi con le braccia conserte. Allora Giorgio va dal direttore e gli dice: “Scusi, tutto questo accade in mio onore?”. Il direttore, in difficoltà, gli fa “si, Onorevole, mi dispiace…” Giorgio non si scompone, ci dice che dobbiamo andare. Ma io non ci penso nemmeno! Mi alzo e mi prendo da sola un grande cesto pieno di frutta, me lo porto a tavola e continuo a mangiare. Ma con calma, senza nessuna fretta. Il direttore mi guarda, stupito. Io non mi scompongo minimamente, anzi gli dico “è inutile che mi guarda, sa? Anzi, sa che le dico? che se vuole sedersi può anche mangiare con noi!” Michele mi guardava stupito, Giorgio era impassibile. Finisco di mangiare in tutta calma, Michele chiede il conto. Un conto che riportava anche piatti che non avevamo mangiato. Michele gliele canta a modo suo, insomma il direttore depenna le portate di cui non avevamo usufruito, paghiamo ed usciamo per mettere benzina, ma anche il distributore sta a braccia conserte. Io ero arrabbiatissima, Michele bofonchiava, Giorgio rimaneva impassibile e sembrava che la cosa non lo scalfisse minimamente. Insomma ripartiamo. La notizia di quello che era successo a Cantagallo già si era diffusa, così quando arrivammo al distributore successivo trovammo la gente fuori che acclamava Giorgio Almirante, era un coro unanime: “venga, venga a mangiare, Onorevole!” Ma si era davvero fatto tardi (si, perché a Cantagallo avevamo fatto tutto con molto comodo, proprio per ripicca, e quindi avevamo perso molto tempo). Così mettemmo benzina e ripartimmo”.Erano anni strani, quelli. La politica mieteva vittime in continuazione e gli attacchi, anche spropositati, erano all’ordine del giorno.I fatti di Cantagallo sono soltanto il debole riflesso di un clima avvelenato in un’Italia divisa e lacerata dagli scontri tra destra e sinistra. Donna Assunta se li ricorda bene: “Vivevamo guardandoci le spalle in continuazione – dice – Quanti ragazzi innocenti abbiamo visto morire! Giorgio Almirante cercò sempre di aiutare le famiglie rimaste, ma il dolore era troppo grande”. Il primo ad essere sacrificato sull’altare insanguinato degli opposti estremismi si chiama Ugo Venturini. E’ il 18 aprile del 1970, e Giorgio Almirante tiene un comizio a Genova. Si scatena qualche scaramuccia all’inizio, del resto è prevedibile. Genova è una città strana, e poi Almirante è abituato ai comizi infuocati. Ma che una bottiglia piena di terra lanciata contro il palco sia intercettata da un ragazzo innocente no, non è prevedibile. E nemmeno che Ugo Venturini possa morire per un’infezione a causa di quell’impatto. Non se lo aspetta nessuno, in realtà. Non se lo aspetta la moglie di Ugo, Rita, che ha solo 28 anni. Non se lo aspetta Walter, il figlioletto, 5 anni appena. Non se lo aspetta nemmeno il segretario Almirante, che per tutta la vita porterà un peso immane sulla coscienza per quella morte assurda. Undici giorni   di agonia separano Ugo Venturini dalla morte, undici giorni ed undici notti in cui Almirante non si stacca dal suo capezzale. Donna Assunta ricorda quei fatti con dolore: “Portammo il bambino a casa nostra. Rimase con noi per molti mesi. Povero piccolo, mi diceva sempre: “ma non era meglio se moriva tuo marito, invece del mio papà?” ed io gli rispondevo: “hai ragione, piccolino. Noi siamo grandi e tu sei piccolo piccolo … hai ragione, era meglio, si.” Povero ragazzo. Lo abbiamo seguito sempre, Giorgio gli comprò una casa a Genova. La intestò al ragazzo e dispose l’usufrutto per la moglie. Era tanto giovane, povera donna! Quando Giorgio morì, sul conto trovai in tutto quarantaquattromilalire. Si, perché cercò sempre di aiutarle tutte, quelle povere famiglie rimaste a piangere i giovani morti. Anni brutti. Bruttissimi.”Donna Assunta in questi giorni è impegnatissima. Assediata dai giornalisti, per i quali ha sempre una parola. Accerchiata dai giovani, per i quali ha sempre una carezza. Sono la nuova generazione, quella che Almirante l’ha conosciuto solo dai giornali, dalle foto, dai video e dai racconti di chi è rimasto. Sono i giovani che appartengono ad una generazione più fortunata, forse, e che restano legati alle origini di un’Idea che non è morta insieme allo storico Segretario. Donna Assunta non si nega a nessuno, “Giorgio Almirante è patrimonio di tutti”, dice. Non è gelosa dei suoi ricordi, consapevole che l’uomo che ha amato per tutta la vita appartiene un po’ a ciascuno di noi. E a tutti dà appuntamento alla commemorazione religiosa di questa sera alle 19,30 presso la Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo a Roma per il 25esimo anniversario dalla scomparsa.