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giovedì 13 giugno 2013

IL Centro Nazionale Studi CESI propone una nuova Assemblea Costituente.


 
Verso una Assemblea costituente
Il CESI sta terminando il lavoro di elaborazione di un Appello agli italiani per una nuova Costituzione e di un Manifesto per la rifondazione dello Stato. Ne uscirà un volume articolato, non solo nelle proposte di indirizzo, ma anche in numerosissime e corpose note esplicative.
Non si tratta di una bozza di articolato per la necessaria nuova Costituzione, che dovrà sostituire quella superata del 1948, ma una serie di sostanziosi indirizzi tali da focalizzare le problematiche incombenti ed indicare i contenuti del lavoro di una Assemblea costituente.
Sull’argomento pubblichiamo un articolo del Consigliere CESI, Innocenzo Cruciani, noto giornalista già direttore per lungo tempo del Giornale Radio Rai ed ora Presidente della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo.
In esso, Cruciani delinea il travagliato ed inutile percorso della classe dirigente partitocratica che per decenni ha tentato di affrontare le necessarie riforme costituzionali, senza però essere capace di dare quei risultati che già da tempo erano indispensabili e che ora finiscono per essere inutili persistendo l’attuale sistema politico.
 
(G.R.)
 
Necessità di una fase costituente
 
 
Strutturale incapacità riformatrice
dell’attuale sistema politico
di Innocenzo Cruciani
Una questione più di tante altre salda la storia della prima repubblica a quella attuale  della seconda repubblica o repubblica di mezzo: la pertinace riluttanza a fare le riforme, la latitanza dei partiti dinanzi alla necessità di aggiornare le regole dello stare insieme.
Il cronista, o lo studioso, che voglia ricostruire la vicenda delle riforme mancate, negate oppure omesse si trova a percorrere una sentiero tortuoso lastricato di dichiarazioni solenni, di buone intenzioni, di
appuntamenti mancati e di promesse non mantenute, mentre circoli politici e costituzionalisti continuano a dividersi tra quanti considerano la Costituzione moderna e intoccabile e quelli che invece la giudicano datata , in ritardo, inadeguata a garantire l’agile funzionamento di una grande democrazia europea.
C’è oggi più di ieri una pressante richiesta di riforme che viene dai settori produttivi della società: una domanda di riforme grandi e piccole, capaci di riscrivere le norme che disciplinano il funzionamento della democrazia, di allentare i vincoli che rallentano e in troppi casi bloccano lo sviluppo, di favorire chi vuole fare impresa e creare occupazione e ricchezza.

Che qualcosa non funzioni e abbia urgente bisogno di revisione lo dice con parole nette anche colui che della Costituzione è il supremo custode, il presidente della Repubblica. Nel discorso del giuramento che ha segnato l’inizio del suo secondo mandato, Napolitano ha definito  “imperdonabile il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e  mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario”. I tentativi di modificare la Carta sono stati puntualmente vanificati dalla “sordità” delle forze politiche. Neppure la grave crisi economica e sociale che attraversiamo ha smosso i partiti e “hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi: ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento”.
La critica che il presidente della Repubblica ha rivolto al “tabù” del bicameralismo, questione dibattuta da decenni,  trova conferma nel documento preparato dai “saggi” messi al lavoro dal Quirinale mentre Bersani girava a vuoto attorno al tentativo di comporre una maggioranza ignorando i rapporti di forza parlamentari.
 
Scrivono i “saggi”: “Il gruppo di lavoro ritiene che l’attuale modello di bicameralismo paritario e simmetrico rappresenti una delle cause  delle difficoltà di funzionamento del nostro sistema istituzionale. A tal fine propone che ci sia una sola Camera politica  ed una seconda Camera rappresentativa delle autonomie regionali (Senato delle Regioni)”.
Mentre ascoltavamo nell’aula di Montecitorio il discorso di Napolitano, la mente ripercorreva la sequela degli appuntamenti mancati, il lungo elenco delle riforme promesse e poi omesse.
Errori ed omissioni vanno distribuiti tra i partiti, a cominciare da quelli “storici” che hanno condotto il gioco nella prima Repubblica. Fu per il centrodestra un errore grave la decisione di ribaltare il tavolo della Bicamerale costituita nel 1997 e presieduta da D’Alema.
Il 24 gennaio 1997 venne promulgata la legge costituzionale che prevedeva l’”Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”. Alla presidenza , oltre a D’Alema, furono eletti tre vice presidenti: Leopoldo Elia (PPI), Giuliano Urbani (Forza Italia), Giuseppe Tatarella (AN). Ma il 1 febbraio 1998 Berlusconi sconfessa la Bicamerale e chiede un cancellierato con sistema proporzionale. Il 9 giugno il presidente della Camera, Violante, annuncia all’aula che D’Alema gli ha comunicato che l’ufficio di presidenza della commissione ” ha preso atto del venire meno delle condizioni politiche per la prosecuzione della discussione”.
Fu una grande occasione mancata. Si sarebbero potute fare le riforme che il paese aspettava, i partiti avrebbero  dato le risposte che la gente chiedeva, le maggiori forze parlamentari in campo si sarebbero reciprocamente riconosciute e legittimate superando così le divisioni e i sospetti che avevano circondato e intriso la Costituzione dell’immediato dopoguerra.
Ma anche a sinistra furono in molti a fare sabotaggio dietro le linee. L’antiberlusconismo ideologico fu pessimo consigliere di chi temeva di non potere più combattere Berlusconi avendolo come interlocutore e collaboratore in una epocale riforma della Costituzione. Anche in quella occasione la parola d’ordine fu “Mai con Berlusconi”.
La storia delle mancate riforme è li ad inchiodare partiti e uomini alle rispettive responsabilità. Ci provarono tra il 1983 e l’85 con la bicamerale presieduta da un galantuomo, il liberale Bozzi. Ci riprovarono nel ’93 con la bicamerale De Mita-Iotti. Poi fu la volta della bicamerale D’Alema del ’97 finita come abbiamo detto.
Ora Enrico Letta, nel discorso con cui ha presentato il governo “di servizio” o delle larghe intese, ha immaginato una Convenzione per riprendere il cammino incerto e più volte interrotto della riforma costituzionale. Al momento è difficile prevedere se ci saranno le decisioni politiche e il tempo,  nella legislatura appena cominciata, per rivedere una Costituzione pensata e scritta quando da poco era finita la guerra ma non del tutto la guerra civile.
In mancanza di risposte tempestive e concrete, chieste con insistenza per primo dal capo dello Stato, resta una sola possibilità per dare alla Nazione le regole fondamentali e far funzionare la democrazia: una Assemblea costituente che in un tempo da stabilire scriva una nuova Costituzione.

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