CCP

giovedì 4 ottobre 2012

La DESTRA che vorrei...

Tra i meriti dell’appello di Veneziani, c’è sicuramente quello di aver riaperto un dibattito che, per troppo tempo, è covato sotto la cenere. O meglio, diciamo che la discussione in merito al destino della destra italiana ed alla ricostruzione della sua identità, fino ad ora è stato deliberatamente nascosto sotto il tappeto, con un atteggiamento che porta alla mente quelle persone che evitano di andare a farsi gli esami del sangue perché terrorizzate dall’ipotesi di sentirsi dire di essere malate. Occhio non vede cuore non duole, insomma. Peccato che, nella stragrande maggioranza dei casi, quel genere di persone non riesca a curare la propria malattia perché “non presa in tempo”. Spiace dirlo, ma è esattamente quello che sta accadendo al Pdl e, in particolare, alla sua componente proveniente da una moribonda Alleanza Nazionale. Ora, non sarà elegante, ma andrò dritto e dirò esattamente ciò che penso, a costo d’inimicarmi qualcuno. Tanto non sarebbe la prima e non sarà certo l’ultima volta. Quando, a ridosso delle regionali contestai, per primo, la nomina della Minetti, dissero ch’ero un matto. Ora, se non sbaglio, non c’è dirigente del Pdl che non perda occasione per darle addosso. Quando, circa un anno fa, scesi in piazza a raccogliere le firme per il referendum contro il Porcellum, molti “colleghi” di partito mi apostrofarono in malo modo, dicendo ch’ero un traditore. Adesso, e credo proprio di non sbagliarmi, nel Pdl è corsa a chi la spara più grossa contro il “parlamento dei nominati”. Quando, nel luglio scorso, organizzammo a Mantova la prima assemblea autoconvocata del Pdl, da Roma partirono decine e decine di telefonate (troppa grazia) per tentare di dissuadere i militanti a partecipare, perché quella “non era un’iniziativa vicina al partito”. In questi giorni, se non ho visto e letto male, è tutto un fiorire di contestatori da allevamento: ci sono i formattatori, quelli dello zero, i patrioti ma non solo, sì, perché adesso (e solo adesso) perfino alte cariche dello Stato come il Presidente del Senato Schifani hanno trovato il fegato per mostrare i muscoli e dire – con piglio deciso – che no, così non ci siamo proprio. Certo, adesso che la nave affonda. Benissimo, meglio tardi che mai, qualcuno potrebbe dire. Invece no, perché il problema manifesto di questa classe dirigente e di tutto il suo sottobosco è che, per il timore di compromettere i propri presente e futuro, non abbia le palle per dire le cose esattamente come stanno. Qualche esempio? Se decidi di contestare le nomine “alla Minetti” devi anche avere le palle per dire che Berlusconi ha fatto una cazzata pazzesca a metterla lì, altrimenti lascia perdere, perché fai ridere. Se improvvisamente t’accorgi che il Pdl non è più in grado d’incarnare valori come la famiglia e la legalità, e poi voti che Ruby è la nipote di Mubarak o le leggine su processo breve, lungo e decaffeinato, beh, la tua credibilità, agli occhi della gente e dei militanti, subisce inevitabilmente un altro colpo mortale. Magari ti seguiranno i fanatici e qualche formattatore alla disperata ricerca, se non di un hard disk di primissimo pelo, quanto meno di una chiavetta usb nella quale potersi installare, ma non certo il popolo. Il problema di questa classe dirigente è proprio questo, le palle. Prendiamo Fini, adesso leggo che tutti stramaledicono lui e la sua decisione di sciogliere An nel Pdl, ed hanno ragione, ma – mi domando – dov’erano costoro quando l’allora presidente di Alleanza Nazionale prese quella sciagurata decisione? Perché non si opposero? Opportunismo? Forse. Miopia politica? Certamente. Ovvio, sarebbe ipocrita dire che nessuno debba avere delle ambizioni, ma diamine, da qui a sacrificare sull’altare del potere personale un’intera Comunità umana ed ideale ce ne corre, eccome se ce ne corre. Premessa lunga e dolorosa, lo so, ma sarebbe stato inutile affrontare la questione tentando di eludere, per l’ennesima volta, le cause di questa situazione di sfascio. Detto questo, Itaca, per come la vedo io, è lontana ma non irraggiungibile. Certo, arrivati a questo punto bisogna avere il coraggio di mollare, assieme agli ormeggi, anche una zavorra che è pesantissima. Mi riferisco, in primis, al berlusconismo ed a tutte le sue contraddizioni ma, anche e soprattutto, a quel complesso di sudditanza che, da troppo tempo, porta la mia generazione (mi ci metto anch’io, ovvio) a chinare il capo. Lo abbiamo fatto di fronte agl’incomprensibili “strappi” di Fini, e lo abbiamo ripetuto ingoiando, una via l’altra, tutte le polpette avvelenate di quest’ultimo (tristissimo) scorcio di berlusconismo. Parliamo, oltretutto, di una classe dirigente che, agli occhi della gente, è passata dall’altra parte della barricata: mentre nel 1992 la destra rappresentava l’antisistema oggi, quegli stessi interpreti, a torto o a ragione vengono additati come parte integrante del “sistema” che sta portando la nostra Nazione al declino. Non ci sono santi che tengano. Ecco, la destra deve tornare a “scagliarsi contro il sistema”, al fianco della gente. Non si tratta di rinnegare o, peggio ancora, di tradire niente e nessuno ma, al contrario – e so che a molti potrà apparire perfino banale – significa tornare ad essere noi stessi perché, al di là di tutto, la destra il suo spazio lo potrà ritrovare solo e soltanto attraverso la sua autenticità anche perché, ai surrogati, la gente ha già dimostrato di preferire altro. Concludo ancor più inelegantemente di come ho aperto, ovvero con un’auto citazione, le ultime righe del mio nuovo libro, se non altro perché ha un titolo che la dice tutta su quest’argomento: “La destra che vorrei – I rottamatori del Pdl e la fine del berlusconismo”: “Sarà scontro, lo so, perché molti di loro, quelli che non possiedono un reale background politico, non tollereranno di essere messi in discussione, leggeranno le nostre critiche come un affronto, diranno che siamo ingrati e traditori, arrivisti e qualunquisti, che la nostra è demagogia e che noi vogliamo soltanto prendere il loro posto. Beh, meglio essere esuberanti che apaticamente abituati a sopportare tutto, dico io! Il domani appartiene a noi: armiamoci, partiamo ed andiamo a conquistarcelo.”. Diamoci una mossa, Itaca non c’aspetterà per sempre. ALESSANDRO NARDONE

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