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mercoledì 18 luglio 2012

Nicole Minetti caprio espiatorio di una casta politica imbelle ed ipocrita.

Dimettersi o no Il caso Minetti o dei capri espiatori Lo scrisse Indro Montanelli: «Quello di buttar addosso a un capro espiatorio è un metodo di risolvere i problemi molto italiano» Nicole Minetti, consigliere regionale della Lombardia (Fotogramma) Riuscirà il sacrificio della capretta espiatoria da parte del capro espiatorio a raddrizzare le sorti del Super Capro Espiatorio? Il gioco intorno alle responsabilità a scalare di Nicole Minetti, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi è tutto dentro la tradizione. Ma certo, per quanto la politica non sia «un gioco di signorine», ha qualcosa di indecente. Più indecente, se possibile, delle notti di bunga bunga. Il ricorso alla vittima sacrificale citato nel Levitico («Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati...») è stato usato mille volte come via d'uscita. Lo scrisse anche Indro Montanelli: «Quello di buttar tutto addosso a un capro espiatorio è un metodo di risolvere i problemi molto italiano». Qualcuno ha vissuto l'evento con dignitoso fatalismo, come il tesoriere dc Severino Citaristi, uomo perbene coinvolto nel meccanismo perverso dei finanziamenti illegali: «No, guardi, la colpa è solo mia, gli altri non mi hanno scaricato addosso nulla. Sono io che ho trasgredito la legge». Altri hanno strillato rifiutando, a ragione o a torto, di prendersi tutte le colpe di errori o reati, casomai, collettivi. Si pensi ai lamenti di Giovanni Leone, Achille Occhetto o Bettino Craxi che disegnava ad Hammamet vasi grondanti sangue tricolore e giù giù di decine di comprimari. Da Maurizio Gasparri quando fu depennato come ministro («Sono stato un capro espiatorio. Mi sento come Isacco, che fu scelto. Ma poi intervenne Dio in persona per salvarlo») a Sandro Bondi («Non merito la mozione di sfiducia individuale. Sono un ministro sotto accusa per il crollo di un tetto in cemento armato costruito negli anni 50 ma nessuno si ricorda dei "no" che ho detto per fermare scempi e abusi»), da Alfonso Papa a Luigi Lusi che si auto-commisera sempre così: «Un capro espiatorio». Poche volte come negli ultimi tempi, forse a causa della crescente personalizzazione della politica, c'è stato un abuso della scelta di scaricare tutto su chi più era o pareva indifendibile. Basti ricordare il caso della Lega. Dove per salvare il più possibile Umberto Bossi sono stati scaricati via via Renzo «Trota» obbligato a dimettersi dal Consiglio regionale, Rosi Mauro spinta a dimettersi da vicepresidente del Senato e poi espulsa, Francesco Belsito prima benedetto dal Senatur come «un buon amministratore che ha scelto bene come investire i soldi» poi maledetto come un appestato infiltrato nel Carroccio dalla 'ndrangheta. Il punto è che come c'è sempre più puro che ti epura, anche nel comparto dello scaricabarile esiste la categoria della vittima sacrificale a cascata. Un esempio? La scelta, mesi fa, di scaricare Marco Milanese, il collaboratore assai chiacchierato di Tremonti, al posto dell'allora ministro dell'Economia, a sua volta individuato dal Cavaliere e dai suoi fedelissimi come l'uomo da additare come il principale colpevole della mancata realizzazione del grande sogno berlusconiano. Una citazione per tutte, la lettera di Bondi al Foglio: «Tremonti ha minato alla radice, fin dal primo momento, la capacità del governo di affrontare la crisi secondo una visione d'insieme...». Ricordate l'aria che tirava nell'autunno scorso? Da Fabrizio Cicchitto ad Altero Matteoli, da Margherita Boniver a Saverio Romano fino a Luca Barbareschi la destra intera era in trincea nel rifiutare che tutte le responsabilità e tutte le colpe e tutti i peccati della crisi fossero rovesciati sull'ex San Silvio da Arcore. Un'immagine che Giuliano Ferrara fotografò così: «Berlusconi è in carica ma è l'ombra di se stesso. Nei suoi occhi e nel suo sorriso immortale si legge ormai la malinconia del capro espiatorio». È perciò paradossale che a distanza di pochi mesi, dopo aver denunciato perfino in aula alla Camera il suo rifiuto di assumere quel ruolo così fastidioso, il Cavaliere abbia poi scelto di scaricare a sua volta il tracollo del partito sul capro espiatorio Angelino Alfano. E ancora più surreale che questi abbia individuato in Nicole Minetti, che fu imposta nel listino di Roberto Formigoni, la sub-capra espiatoria da sacrificare di colpo, «entro due giorni», per dare una rinfrescata all'immagine e rilanciare il Pdl o quel che ne sarà l'erede. È probabile che i sondaggi abbiano individuato nella disinibita deputata regionale lombarda, celeberrima per quei messaggini hot («più troie siamo più bene ci vorrà...») una zavorra fastidiosa per il decollo del nuovo aquilone berlusconiano. Lo stesso Cavaliere però, ricorda un diluvio di messaggi online, nella famosa telefonata all'«Infedele» di Gad Lerner, urlò: «La signora Nicole Minetti è una splendida persona intelligente, preparata, seria. Si è laureata con il massimo dei voti, 110 e lode, si è pagata gli studi lavorando, è di madrelingua inglese e svolge un importante e apprezzato lavoro con tutti gli ospiti internazionali della regione». Insomma, una giovine statista dal luminoso avvenir. Delle due l'una: o era tutto falso (comprese le definizioni sulle «cene eleganti») o era tutto vero. E allora nell'uno come nell'altro caso scegliere oggi la Minetti come vittima sacrificale, per quanto l'insopportabile signorina se le sia tirate tutte, sembra una piccineria non proprio da gentiluomini... Gian Antonio Stella
http://www.linkiesta.it/blogs/post-silvio/cara-minetti-carita-non-si-dimetta Cara Minetti, per carità non si dimetta Jacopo Tondelli - 16 luglio 2012 Eh no, cari Alfano, Formigoni e Berlusconi. Eh no, troppo facile dare la colpa e la croce a Nicole Minetti. “Oggi si deve dimettere”, tuona un obbediente Angelino Alfano abituato a legare l’asino dove il padrone (e chi sarà mai) vuole. Chissà poi perchè. Un bel giorno, tutto di un colpo, il Berlusconi pronto a tornare in campo e convinto di poter guidare nuovamente il vecchio partito con un nome nuovo e poi il paese, decide che il problema è Nicòle e tutto quel che rappresenta. E quindi, improvvisamente, fa pressing perchè si dimetta. Quasi a cancellarla dalla scena pubblica, convinto che il problema di consenso discenda tutto da quelle feste organizzate con lei. E così, cancellandola dalla scena, essa sparirebbe anche dalla memoria: di Berlusconi e degli italiani. Ecco, sono queste tutte ottime ragioni per chiedere a Nicole di resistere, di incollarsi alla poltrona di consigliere regionale lombardo, di non muovere un passo e continuare a mostrarci faccia ammiccanti, pantaloni attillate, magliette mille miglia sopra le righe. No no, non perchè vogliamo una pin up politica in copertina: ma perchè lo scandalo di Nicole esiste, e deve continuare ad essere ben rappresentato. Troppo facile cacciarla a pedate dopo averla infilata nel listino bloccato di Formigoni. Nicole deve rimanere al suo posto, e ricordare ogni giorno a Berlusconi con che rispetto ha trattato i cittadini lombardi infilandola là dove le preferenze non servono, e dove le polemiche e le annotazioni dei radicali sulle firme false finiscono poi nel dimenticatoio. Deve ricordare ai cittadini lombardi stessi che, più o meno coscientemente, hanno scelto di averla consigliere e hanno ritenuto che votarla, votando Formigoni, non era un problema (peraltro, l’alternativa era il Pd a guida Penati ed è obbligatorio ricordarsi anche di questo). Deve stare al suo posto, Nicole, anche per non farsi dimenticare dal governatore Formigoni: l’unico che, dopo tutto, dopo tre legislature, aveva tutto il diritto di dire “no”, e invece preferì dire sì, per poi trovarsi una sera sulla spiaggia di Rmini, in pieno meeting, a dire che la Minetti “fu un gravissimo errore di Berlusconi” e che “per quanto ne sapevo era solo una ballerina di Colorado Caffè”. Ottima ragione per farsela imporre consigliere. Insomma, Nicole non muova un passo. Stia ferma immobile. Continui a svolgere la sua salutarissima funzione di scandalo per la politica italiana e per la Lombardia dell'efficienza. Anzi, se vuole fare ancora meglio, rinuncia allo stipendio di consigliere, lo devolva alle casse della regione, ai servizi sociali, a chi ha bisogno di quei soldi. Quel ricco emolumento per un lavoro non suo è l’unico scandalo intollerabile di questa storia. La sua permanenza in Consiglio e sulle copertine, invece, è il manifesto di un tracollo che dobbiamo continuare a sventolare. Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/post-silvio/cara-minetti-carita-non-si-dimetta#ixzz20mBTd3ZP
Efficace satira liberamente ripresa da Facebook.

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