CCP

lunedì 23 luglio 2012

Destra per Milano aderisce al Progetto Itaca: per l'unità politica ed il rilancio culturale della destra italiana.

La Comunità Militante di DESTRA per MILANO, da sempre sostenitrice dell'unità politica e del rilancio culturale della destra italiana, aderisce, con convinzione ed entusiasmo, al Progetto ITACA: Laboratorio Politico per la Rinascita Italiana, promosso da Marcello Veneziani e Renato Besana. F.to Roberto Jonghi Lavarini
L'APPELLO D'ASCOLI Il seminario di Ascoli aspira a dare una voce, un collante e una prospettiva di rinascita a quell'arcipelago che in modo inadeguato e superato definiamo destra. Non è il ritorno al passato, ma vuol essere l'atto di nascita di una nuova storia e di un disegno prepolitico che vuol farsi politico. Ambizioso, ma senza illusioni. Non vogliamo rassegnarci al nulla, al vuoto e alla paralisi. Non vogliamo accettare come definitiva la morte della politica, la fine di ogni destra possibile, ideale e reale, sociale e nazionale, conservatrice e rivoluzionaria. E non vogliamo finire passivamente al rimorchio di leadership e rientrare in fasi che consideriamo concluse. In ogni caso la decisione nel merito scaturisca da un atto preliminare di autonomia. Vogliamo risvegliare la passione civile e ideale in un paese stanco e disperato e la difesa della sovranità, popolare e nazionale, statuale e politica. Siamo convinti che la crisi economica vada affrontata a partire da scelte che precedono l'economia. Vogliamo ripartire dalla tradizione come viva continuità con le origini e con il futuro; e dall'amor patrio come passione autentica per la nostra comunità. Vogliamo suscitare una nuova selezione fondata sul merito e sulla qualità ed esigere da chi fa politica che cooperi a selezionare giovani e donne, tecnici e outsider. Proprio perché siamo realisti non proponiamo di far nascere dal nulla un nuovo soggetto, ma di dar luogo a un incontro per rimettere insieme - in un movimento, in una fondazione, e poi eventualmente in un soggetto politico – le realtà esistenti, ovvero tutti coloro che provengono da destra o che non disdegnano di definirsi tali: dalla componente di Alleanza nazionale rimasta nel Pdl (ora in via di ritorno a Forza Italia) a la Destra guidata da Storace, dai componenti di Futuro e Libertà a tutta la galassia di circoli sparsi, movimenti e gruppi non allineati, associazioni e singoli che non intendono restare prigionieri del passato o di settari estremismi. Suggeriamo un passo indietro a tutti coloro che hanno espresso in prima linea questo ciclo ventennale; lasciando spazio a nuove leve, anzi aiutandole a emergere, favorendo il ricambio. Crediamo nell'autonomia della politica e ancor più della cultura; ma in alcuni momenti di svolta, come già accadde nel biennio 92-94, è dovere spingersi ai confini ed esporsi in un lavoro prepolitico. Non vogliamo veder finire così male quell'intreccio di idee e di esperienze, di radici e di consonanze, che in modo sbagliato seguitiamo a definire destra. C'è dentro la nostra vita, o una sua parte significativa, e non intendiamo lasciarla morire o svilire in una discarica. Permettendoci una parola pomposa e desueta, ma a noi cara, lo facciamo per l'onore, oltre che per il bene della nostra Patria. Il Seminario di Ascoli si propone perciò come promotore di un incontro prima che finisca l'estate con i segmenti politici più vivi ed attenti al fine di ritrovare le ragioni e le passioni di una nuova Alleanza. Si crei prima un ristretto intergruppo, costituito per metà da rappresentanti politici e per metà da extrapolitici che studi la possibilità di dar luogo una costituente, che dovrà poi selezionare i propri rappresentanti. Nessun nemico a destra, non ci poniamo contro; solo in favore della destra, dell'Italia e del suo rinnovamento. Il progetto finale è far nascere un soggetto unitario, sovrano e visibile, che decida se, in che modo e fino a che punto allearsi per incidere nella realtà, se preferire un ruolo di testimonianza e di opposizione; o se, in un mutato clima, diventare esso stesso il battistrada della rinascita italiana.
ITACA di Renato Besana Anche le parole hanno bisogno di manutenzione: destra, per esempio. Affinché continui ad avere un significato, o ne acquisti uno nuovo, al passo con la Storia, bisogna restituirle un progetto, nel qui e ora, lo sguardo rivolto al futuro. Questo l’argomento di lunghe conversazioni con Marcello Veneziani, dalle quali è scaturito un appello di venti righe, girato tra amici, e un nome: Itaca. La terra del ritorno, l’isola che c’è, lontana da utopie velleitarie, dove ritrovare la propria identità, che il lungo viaggio attraverso mari in tempesta ha forgiato in forme inattese e arricchito di esperienze. Nessuna nostalgia per il vecchio Msi, né per la diafana Alleanza nazionale, sparita in un pomeriggio senza una lacrima. L’idea è di aprire un laboratorio politico per la rinascita italiana, premessa a un rinnovamento non più eludibile, che non può certo ridursi a interventi di cosmesi. Veneziani ha poi tradotto questa linea ideale in un più articolato appello, apparso sulle pagine del Secolo d’Italia diretto da Marcello De Angelis. Ne è scaturito un dibattito cui hanno finora partecipato Ignazio La Russa, Massimo Corsaro, Altero Matteoli e Alfredo Mantica: emergono, dai loro interventi, dubbi e perplessità, suscitando l’impressione che giocassero in difesa. Non hanno forse compreso appieno lo spirito dell’iniziativa, che si rivolge a una vasta area oggi in frantumi, da Storace a Fini passando per il Pdl. “Né con te né senza di te”, dice l’epitaffio sulla tragica storia di due amanti in un vecchio film di Truffaut, “La signora della porta accanto”. Lo stesso potrebbe ripetersi, con qualche variante, per il Popolo della Libertà: né con Berlusconi né senza Berlusconi. Il partito ombrello sotto il quale si erano rifugiati, continuando a detestarsi, democristiani e socialisti, liberali e reduci di An, non ha retto al tramonto del leader, il cui ritorno, tuttavia, procurerebbe più guai di quanti riuscirebbe a parare. Il Pdl è ormai un brodo primordiale, nel quale nuotano persone rispettabili e vecchi marpioni, portaborse avidi e triciclati senza pudore, avventuristi e faccendieri, alla ricerca d’una scialuppa per salvarsi dal naufragio. Gli elettori non ne vogliono più sapere, come i turni amministrativi dello scorso anno e di questo hanno dimostrato senza possibilità di smentita. Qualcuno ancora vota di malavoglia, altri restano a casa, altri ancora, per rabbia e disincanto, si sono riversati sulle Cinque stelle di Grillo. C’è chi attende l’uomo nuovo, capace di guidare la riscossa. È un miraggio. Per quasi vent’anni l’arena della politica è stata dominata da partiti leaderistici: i berlusconiani, i dipietristi, i finiani, cui si sono da poco aggiunti i grillini (il cui personaggio bandiera preferisce però tenersi saggiamente in disparte). È questo modello a patire la crisi peggiore. Tra le forze in campo, a mostrare la migliore tenuta è il Pd, che non ha ceduto alla deriva personalistica. Un tempo, la politica poteva condurre alla notorietà; oggi è la notorietà che conduce alla politica. Montezemolo e Mentana vorrebbero costruirsi un partito, e chissà quanti altri. Non è la strada giusta: serve una classe dirigente diffusa, come quella che negli anni della ricostruzione risollevò l’Italia dalle macerie della guerra perduta. Ecco allora la necessità di riprendere l’iniziativa, discutere, confrontarsi. È importante fare rotta su Itaca per delineare prospettive credibili in un Paese che patisce la peggiore delle crisi, quella della idee. Come ha scritto Veneziani, è venuto il momento di stilare “un programma essenziale e popolare in una decina di punti per rilanciare su basi effettive una nuova rivoluzione conservatrice italiana, conservatrice sul piano dei principi e dei beni, rivoluzionaria sul piano delle innovazioni pubbliche e sociali”. L’ alternativa è una sola: la scomparsa. Ciascuno di noi è padrone del proprio destino: tutti insieme, dal basso, saremo il motore del cambiamento. Tenderemo l’arco di Ulisse per fare giustizia dei pretendenti che banchettano nella nostra casa: politici mediocri e corrotti, lacchè dei poteri bancari, demagoghi e moralisti. Una vastissima area è rimasta senza punti di riferimento; le istituzioni democratiche sono al minimo storico. C’è voglia di destra nel Paese: ora o mai più. (Post scriptum: chi ha preso questa iniziativa senza ripararsi sotto la coperta di alcun potere non mira a poltrone o sgabelli e non intende prestarsi a giochi di sorta, che poi si riducono a uno solo, quello delle tre tavolette. Il fine è di catalizzare le molte voci libere che si levano dal corpo vivo della nazione. C’è molto da dire e da fare).
IL MIO APPELLO A TUTTE LE DESTRE di Marcello Veneziani Rivolgo questo appello esplicitamente, anche se non esclusivamente, a chi proviene da destra. Un appello personale, di cui mi assumo intera la responsabilità, non concordato con nessuno. Mi rivolgo a chi proviene da Alleanza nazionale, dal vecchio Msi, dalle esperienze varie e anche non politiche di destra nazionale, sociale e i non allineati. E mi rivolgo apertamente e direttamente a chi attualmente esprime su posizioni diverse il desiderio di ricominciare daccapo. Dico dunque alla componente destra del Popolo delle Libertà, dico alla Destra di Storace, dico a Futuro e Libertà, dico alla galassia di nascenti movimenti, come gli azzeratori di Giorgia Meloni, i patrioti di Elena Donazzan, il Fuori di Galeazzo Bignami, RinascItalia di Elisabetta Foschi, e tutti coloro che in questo momento stanno dando vita a esperimenti, incontri, tentativi di ripartire. Senza escludere la galassia giovanile dispersa o ritrovatasi in comunità e circoli, case e movimenti. Infine considero chi, come me, viene dalla destra sfusa, pensa da anni in libertà e in solitudine, o non è impegnato in nessuna realtà vagamente politica. È ora di ricostruire un soggetto civile, prima che politico e culturale. È ora che si torni ad Itaca, come scrive in un appello che sottoscrivo, Renato Besana. È ora che si tenti, dico almeno si tenti, di ritrovare un motivo comune per rilanciare l’iniziativa politica. Accogliamo come dato di fatto il disarmo bilaterale: Berlusconi e Fini costituiscono inevitabilmente un ciclo concluso. La loro parabola di leader è finita, differiscono i nostri giudizi su di loro, ma non possono essere più motivo di unione né di divisione. Si deve fare un passo oltre. Si chiede un passo indietro anche a coloro che hanno rappresentato in questi vent’anni la destra e si selezionino giovani, donne e outsider per costituire il nucleo costituente. Non volevamo morire democristiani, ma non ci piace nemmeno finire grillini o montezemoliani. Si può agire all’interno del quadro bipolare, dunque collocandosi sul versante alternativo alla sinistra, ma occorre recuperare una propria linea d’azione e di pensiero. Anche perché nel paese esiste, come dimostra la nostra storia e il presente nel resto d’Europa, un’area che oscilla tra il dieci e il venti per cento, che aspetta un discorso serio di rinascita italiana. La Lega è ormai semidistrutta, il Pdl è dimezzato nei consensi e spappolato nelle sue interne spinte centrifughe, Futuro e Libertà vive con disagio all’ombra di Casini che peraltro gioca in autonomia e dichiara concluso il Terzo polo. Sintetizzando in una boutade sostengo che il Pdl, per accrescere l’offerta politica, deve spacchettarsi in P, D e L, ovvero Popolari, Destra e Liberali. C’è un potenziale bacino di consensi per chi con tempismo e attraverso volti e temi giusti riesce a interpretare il disagio presente, la voglia di futuro ma anche la memoria storica. Come mi è capitato di dire e di scrivere, è il momento giusto, per far nascere un’Altra Storia. Un movimento rigoroso e forte, duttile ai fianchi ma duro al centro, onesto e animato da passione civile, etica e ideale, un amor patrio di quelli che non odorano di stucco e rimmel ma vero e severo, che fa tornare il gusto della politica. Stavolta non si lascia il monopolio dell’etica alla retorica partigiana della sinistra, non si lascia l’esclusiva della sobrietà ai tecnici, non si lascia ai giudici stabilire l’onestà, non si lascia la rabbia popolare ai grillini. Si fa sul serio. Si chiamano i migliori, si usano i tecnici per raddrizzar la barca ma senza dar loro il comando: devono risponderne, e non alle banche o ai poteri esteri ma alla politica e al popolo italiano. Il primo atto è la selezione, la cerca dei dieci, e dai dieci dei cento e dai cento dei mille, per costituire una nuova élite, con fresche energie, scegliendo il meglio che c’è nel paese; il minimo indispensabile tra chi c’era prima, gli altri a casa o in fila senza priorità d’imbarco. E poi un programma essenziale e popolare in una decina di punti per rilanciare su basi effettive una nuova rivoluzione conservatrice italiana, conservatrice sul piano dei principi e dei beni, rivoluzionaria sul piano delle innovazioni pubbliche e sociali. L’alternativa è fingere che nulla sia accaduto, accodarsi ai vecchi capi, assistere inermi alla scomparsa, affondare indecorosamente per non osare. C’è un’estate intera per fondare il nuovo o finire nel nulla. Chi mi legge sa quanto sia lontano ormai da anni, dalla politica; ma, senza mutare indirizzo e soprattutto indole, è tempo di innescare un movimento vitale come quello che sorse, giusto vent’anni fa, con L’ Italia settimanale, che fu battistrada di molti eventi e coalizioni. Deponete i rancori, incontratevi, cercate la linea comune. Da soli non ce la fate, andrete al rimorchio se non al guinzaglio o finite fuori dal gioco. Abbiate il coraggio di sacrificare qualcosa e qualcuno per far nascere un vero soggetto politico, in grado di splendere da solo e di allearsi ma in funzione trainante e non passiva, capace di egemonizzare e non di accodarsi. Lo dico per l’Italia, per noi e per chi ha nostalgia del futuro.

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