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lunedì 22 aprile 2013

"Undici settembre"...

 
 
Marco, monaco e predicatore di Aviano, arringa le folle, fa miracoli e legge le stelle (comete). Difensore della cristianità e sostenitore dell'unica Luce, diversi anni prima è stato strappato alla morte da Kara Mustafa, oggi Gran Visir dell'Impero Ottomano deciso a marciare verso Vienna e contro gli infedeli occidentali. Marco, lasciata Aviano per Vienna, incontra l'imperatore asburgico Leopoldo I, a cui preannuncia la marcia dei turchi contro l'Europa e suggerisce una santa alleanza tra le nazioni cristiane per contrastare e fermare l'avanzata dell'Islam. Riluttante a credere alle parole del monaco, Leopoldo sottovaluta il pericolo che non tarda a lambire le mura della città e a chiedere il conto alla sua pavida anima. Sostenuto dalla fede e dalla strategia militare di Jan Sobieski, re polacco ostinato e lungimirante, il cristiano occidente avrà la meglio sull'esercito musulmano, battuto e costretto alla ritirata l'undici settembre del 1683.
A volte ritorna e come il suo Carnera, la 'montagna che cammina', Renzo Martinelli rischia di travolgere ogni cosa al suo passaggio. Perché in un tempo (il nostro) in cui i simboli religiosi sono imbracciati dagli estremismi politici per giustificare l'azione armata in ogni parte del mondo è necessario che la riflessione artistica colga e comprenda le sfumature. E invece. Undici settembre 1683 è incapace di confrontarsi con le complessità delle implicazioni storico-culturali, esibendo un manicheismo spavaldo che preclude allo spettatore qualsiasi possibilità di comprendere e di comprendere l'altro da sé. Con la benedizione del MiBAC e di dio, a rimetterci sono gli 'altri', gli arabi, già integralisti e terroristi ne Il mercante di pietre. Sia inteso, Martinelli riferisce di fatti storici realmente accaduti e 'documenta' la penetrazione turca in Europa, che nel 1683 si era spinta fino a Belgrado minacciando di sostituire il dio della Bibbia col dio del Corano. Ma è come questi eventi vengono rappresentati e trattati a lasciare perplessi. La 'crociata' di Martinelli insinua l'isteria del sospetto che finisce per replicare una strategia del terrore non dissimile da quella in cui si riconosce una minaccia. Fondamentalista come Gibson, ma senza il talento del regista australiano, Martinelli realizza l'ossessione di proteggere e riaffermare l'identità cristiana dell'Occidente contro quella islamica, cercando senza mai trovare il film epico. L'apologia di F. Murray Abraham, che incarna l'esaltata umiltà di Marco da Aviano, non convince le comparse e non commuove i destinatari in sala quanto il discorso dell'eroe scozzese William Wallace, perché è ostentazione vanagloriosa e mai sentimento condiviso. All'assenza di un'idea di stile, all'abuso del ralenti, delle inquadrature sghembe, del dettaglio significante, della metafora pregnante, si aggiungono personaggi schematici e inerti, che ad ogni incontro o scontro declinano pleonastici nome, mestiere e intenzioni. Eppure ci sono almeno due spunti interessanti nella storia dell'assedio di Vienna che avrebbero meritato altro sviluppo, considerando la possibilità di quella battaglia di significare altro da sé. Innanzitutto un canto funebre, uno struggente oratorio per le innumerevoli vittime che hanno immolato se stesse sull'altare della ragione e della religione di stato, e infine un'interessante riflessione sul simbolo (croce o mezzaluna che sia) e su quello che gli uomini sono disposti a fare per la sua luce, il suo valore, la sua evanescenza.
Undici settembre 1683 è diversamente un tripudio di alabarde, spade, vessilli, bandiere levate su un paesaggio anonimo e digitale e rivolte contro il nemico musulmano, di cui il film fa credere di voler comprendere il punto di vista proclamando esclusivamente il proprio. Il risultato è un pregiudizio gravido di orfani fondamentalisti che tre secoli dopo collasseranno la "mela d'oro" dell'occidente. Perché è lì che il film di Martinelli è diretto al galoppo, intendendo

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