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lunedì 15 aprile 2013

"Le destre in Italia: analisi e prospettive" di Andrea Virga.

 
 
Le ultime elezioni hanno indubbiamente sancito un’ulteriore contrazione del peso politico delle destre in Italia. Specifichiamo però cosa s’intende con l’espressione «destra»: parliamo di quelle forze politiche caratterizzate dall’identificazione del soggetto politico con la comunità nazionale – dunque non con l’individuo né con la classe o la società – legata al territorio, dalla difesa delle norme morali e dei valori sociali tradizionali – popolarmente sintetizzati come Dio, Patria, Famiglia –, dal rafforzamento dell’autorità delle istituzioni pubbliche – aldilà della maggiore o minore presenza in ambito economico. Si tratta perciò di un’area privilegiata (ma non l’unica beninteso!) per portare avanti una politica cattolica.

Alcune precisazioni: il primo punto elencato, con il rifiuto dell’individualismo, ci porta ad escludere necessariamente la “destra” liberale. Inoltre, ai fini della nostra analisi, lasceremo da parte quell’area legata al fascismo, ossia Forza Nuova e CasaPound Italia, estremamente minoritaria (0,4% dei voti alla Camera), ma già attestata su posizioni nazional-rivoluzionarie, anche per via del rapporto non univoco tra fascismo e destra. Inoltre, questa tornata elettorale ha visto polarizzarsi i consensi intorno ai tre principali partiti (PD, PDL e M5S), a tutto svantaggio degli altri partiti, i cui voti sono stati assorbiti o dalla retorica dei tre poli: rispettivamente, contro il Populismo, contro la Sinistra, contro la Casta. Naturalmente, è stato il movimento di Grillo a trarre il massimo vantaggio da questa situazione, appropriandosi di tematiche e voti provenienti da destra, il che però non è sufficiente ad ascriverlo a questa parte politica.

I partiti propriamente “di destra” sono perciò la Lega Nord (4,08%; 36 parlamentari), di orientamento localista e populista, non priva di sprazzi sovranisti ed euroscettici, ma devastata dagli scandali riguardanti il suo leader storico Umberto Bossi; Fratelli d’Italia (1,95%; 9 parlamentari), essenzialmente una scissione dal PDL, a ricostituzione della defunta Alleanza Nazionale; La Destra (0,65%; non rappresentata in Parlamento), staccatasi da AN, di cui rappresentava la corrente sociale contraria a confluire nel PDL. A questi andrebbero aggiunti partitini come il neo-missino Fiamma Tricolore e il cattolico Io Amo l’Italia (0,25% in tutto), ma soprattutto quei settori della destra sociale, nazionale e cattolica ancora presenti nel Popolo delle Libertà, ma difficili da stimare numericamente. Eccettuati quest’ultimi, non si arriva al 7% quanto a voti.

Eppure, precedentemente, queste stesse forze contavano su risultati elettorali ben più consistenti: nel 2006, nonostante la sconfitta elettorale, AN ottenne il 12,34% dei consensi (terzo partito), la Lega il 4,58% e gli altri partitini l’1,41%, per un totale del 18,33% e 151 parlamentari. Due anni dopo, pur essendo AN all’interno del PDL, i consensi crebbero ancora, sfiorando un quarto del totale. Nel periodo tra 2001 e 2011, del resto, avevano governato per ben otto anni su dieci, dominando la coalizione di centrodestra, ma di questo decennio di preminenza politica non resta più alcuna traccia, complice anche la totale mancanza, negli ultimi vent’anni, di qualsiasi politica culturale organica, con la parziale eccezione del mondo cattolico, che ha bene o male conservato le sue cittadelle, ma senza mai ragionare in termini di nazione e non solo di fede.

Bisogna altresì tenere presenti due fattori cruciali per la situazione delle destre italiane. Il primo è legato alla collocazione dell’Italia in termini di politica internazionale. Dopo la drammatica sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, il nostro Paese è sempre stato occupato militarmente dagli Stati Uniti d’America, costituendo uno dei principali membri dell’alleanza atlantica (la NATO). Durante tutta la Guerra Fredda, grazie anche allo strumento ideologico dell’anticomunismo, le destre italiane – compresi quei fascisti che fino al 1945 si erano battuti contro gli Alleati – costituirono un importante sostegno filostatunitense in Italia, di contro alle sinistre filo-sovietiche e a quei centristi fautori di una politica più autonoma (Fanfani, Mattei, Moro, Craxi). Tuttavia, dopo la caduta del Muro di Berlino, nel nuovo mondo unipolare, anche il centrosinistra si è riciclato in chiave atlantista ed europeista, al punto da sottrarre al centrodestra il ruolo d’interlocutore privilegiato delle classi dirigenti occidentaliste di qua e di là dall’Atlantico.

Il secondo fattore cruciale, e peculiare all’Italia, è costituito dalla figura di Silvio Berlusconi, il magnate che ha guidato, in maniera assolutamente personalistica, il centrodestra negli ultimi vent’anni. È principalmente a lui che si deve – stante il suo pragmatismo pressoché alieno da considerazioni ideologiche – lo sdoganamento dei postfascisti di Alleanza Nazionale e dei local-populisti della Lega Nord, ossia due formazioni politiche entrambe estranee al vecchio “arco costituzionale” nato dal CLN. Inoltre, egli ha saputo, grazie ai suoi contatti preesistenti e al suo fare appello a una cospicua parte del vecchio elettorato di centrodestra rimasto orfano della DC e del PLI (ma anche del PSI craxiano), costituire una nuova formazione politica del tutto eterogenea, ma legata a sé dal proprio carisma televisivo e dalle proprie risorse economiche.

Nessuno di questi fattori è eterno: l’egemonia statunitense si sta lentamente indebolendo di fronte all’ascesa multipolare dei BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), e Berlusconi si avvicina ormai agli 80 anni. Una volta che Berlusconi uscirà di scena, è molto probabile che verrà a saltare il legame tra il centrodestra liberale e la destra nazionale. Mentre il primo troverà naturale l’aggregazione con il centro liberista – l’emergere di un partito come Fare per Fermare il Declino è già indicativo di queste tendenze –, il secondo invece fonda i suoi consensi tendenzialmente sui ceti medi, in generale impoveriti dalle politiche fiscali eurocentriche. In più, è plausibile anche che nel giro di pochi anni si possa sgonfiare il consenso ottenuto dal M5S, dovuto essenzialmente al voto di protesta. Queste sono le prospettive politiche verosimili a medio termine.

In questo quadro, è evidente come le destre italiane, se vogliono sopravvivere come forza politica, debbano operare una scelta netta e radicale: la costituzione di un partito – o di una coalizione se ciò può meglio tenere assieme le diverse anime – nazionalpopolare ed euroscettico schierato contro il centro liberale e progressista. Le sue bandiere devono essere la sovranità nazionale, l’economia sociale di mercato, la difesa dei principi non negoziabili. Non è necessario essere fascisti per essere patrioti: gli esempi di Charles De Gaulle, ieri, o di Viktor Orban o di Marine Le Pen, oggi, mostrano che una destra realmente nazional-conservatrice ma in grado di guidare democraticamente il Paese, è possibile. Certo, rimarrebbe comunque interna alla democrazia liberale e all’economia di mercato, ma costituirebbe una forza politica decisamente preferibile a quelle che dominano la scena attuale in Occidente e soprattutto attenta alla dottrina sociale cattolica.
 
Andrea Virga
 

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