Destra per Milano

Storico Blog (Indipendente di Politica, Cultura e Informazione) del Comitato DESTRA PER MILANO, fondato nel 2000.

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martedì 30 aprile 2013

Franz Marotta su Gabriele D'Annunzio.

 

Nell’anno dannunzianiano/ Due stelle e il coraggio per raggiungerle

☞ Francesco Marotta del 27 aprile 2013✎


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Quando nascono le stelle è un evento particolare. Questa volta, la forza gravitazionale che dà il via all’innesco primordiale, è un’evoluzione atipica. Un percorso, solo in parte, nebuloso, dove la lucentezza sprigionata dalla compressione di una delle parti più dense di una nube stellare/civilizzatrice, sprigiona un bagliore novecentesco, visibile nell’animo distolto della materialità odierna, perfezionatasi a partire da metà secolo scorso in poi. Sorgono due stelle: A.G.A editrice e con lei, l’Associazione Dinamica Officina Fiumana. Una linea indissolubile a scorrimento rapido, unificatrice e dannunziana, irradiante e infondente l’epopea di Fiume intrapresa quel lontano 12 settembre 1919 da Gabriele D’Annunzio e, con i due corpi celesti appena affacciatisi nel firmamento, mai conclusasi del tutto nel gennaio del 1921.
Un baccanale improvviso, fulmineo, letterario e associativo, nel 150esimo anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio. Patrocinato dall’Associazione “Officina fiumana”, diretta emanazione di un pulviscolo di Stella incorporato in un libro, Gli allegri filibustieri di d’Annunzio di Tom Antongini, dalla tiratura di 500 esemplari a 75 anni dalla morte dello stesso; ecco l’idillio e il furore cartaceo, in un acme interminabile del piacere autunnale scaturito da quel fatidico 1919, mai vinto, raccolto tutto in un’isola in cui credere, ostinatamente alla sua esistente, la Tortuga delle idee che diventano azioni, dove le gesta di un uomo 56enne, D’Annunzio, rivivono ancora oggi; rendendo plausibile la grandezza di una città come Fiume, promulgandone al contempo l’effervescenza e la ritrovata libertà ed italianità, restituita alla Patria.
Quattro i libri pubblicati da A.G.A. reperibili sul sito www.orionlibri.net, stringenti l’insieme dell’opera eroica del mito italiano. Attualizzando le intemperanze irrazionali di Mario Carli, autore e giornalista italiano e, al contempo, sprigionandone tutta la sua essenza di uomo e di militante impressa nel volume Con D’Annunzio a Fiume: dalle sfavillanti imprese avanguardiste polimorfe del giovane pugliese, originario di San Severo di Foggia nato nel 1889, anche lui, da padre romagnolo e in seguito trasferitosi a Firenze. Brillantemente capace di consegnare al soffio vitale delle due sponde dell’Arno, le sue caratteristiche e le sue asserzioni. In primo luogo, quel messaggio d’amblè, in perfetto stile “erotico” e appassionato della produzione baudeleriana, assieme a Bruno Corra, Remo Chiti, Maria Giannini, Emilio Settimelli, Arnaldo Ginna e Irma Valeria.
Inizialmente dalle pagine di una visione in “prosa” reattiva, fuoriuscita da innumerabili testate come “Difesa dell’arte”, “Il Centauro” e la “Rivista di scienze e vita”, distinguibili oggi quali componimenti non conformi. L’esaltazione e la tracciabilità riscontrabili nell’oggettività e nelle esecuzioni attinenti alla letteratura del “Il Centauro”. Una vita vissuta, la sua, nell’immaginazione tangibile del realizzabile, in seguito, nell’intero percorso del futurismo fiorentino, partecipando attivamente alla redazione della rivista L’Italia futurista (1915-18). Amico di Tommaso Filippo Marinetti, la riedizione di A.G.A editrice, racchiude sapientemente la mente e la capacità volitiva di Carli: spaziando dall’arditismo istintivo, (fondatore il 7 gennaio del 1919 di Roma Futurista, al fianco dei due amici T. Marinetti e Emilio Settimelli) al realizzare la prima Associazione degli arditi d’Italia; dalle sponde del capoluogo toscano alle anse dei navigli di Milano, congiuntamente agli amici di sempre, Marinetti e Ferruccio Vecchi, ideatori tenaci dell’unica complessiva veduta di intenti, traducibile dalla sottigliezza arrembante del giornale l’Ardito.
L’opera di Carli, riscontrabile nelle figure di Baudelaire e Mishima, protagonista dell’impresa fiumana, in se e qui sta la grandezza delle due stelle appena sorte mai sopite, unifica le fondatezze della Carta del Carnaro, congiuntamente alle idee di M. Carli. Specificatamente correlate alle sollecitazioni del sindacalismo rivoluzionario, una perfetta sintesi del tempo presente. Gli altri due volumi, Santa Pirateria e Trillirì, riproducono l’analisi corpo-mente del fiumanesimo e di tutti gli accadimenti, quanto le attribuzioni artefatte dall’alone mistico che ancora oggi riesce ineluttabilmente a suscitare. L’autobiografia storica e l’indagine atavica di Yambo, Enrico de’ Conti Novelli da Bertinoro, (Pisa 5 giugno 1876, Firenze 29 dicembre 1943) giornalista, scrittore e disegnatore del celebre “Ciuffettino”, protagonista-irredentista dei due romanzi del grande Enrico Novelli: Le avventure di Ciuffettino del 1902 e Ciuffettino va alla guerra, del 1916. Una vita quella di Novelli, vissuta dispendiosamente dalle suggestioni salgariane e dal rinnovato giuramento a Tortuga, l’isola che (non) c’è, rinvigoritosi nella pubblicazione del 1939 “Santa Pirateria”; le imprese memorabili dall’intrepido valore degli “Uscocchi fiumani”. Il medesimo moto perpetuo della appena avviata Associazione Dinamica Officina Fiumana. Un bagliore in un tempo in cui lo spirito non affonda nella contemporaneità quotidiana, dimenticandoci di essere intimamente dei “disertori in avanti” in un contesto culturale, sociale e politico, dove è possibile recuperare senza troppe speculazioni intuitive, in un convulso e ripetitivo contesto, dal rito politico congestionante, una proposizione di grande interesse: essenza spirituale e criterio per tutti coloro ne abbiano davvero la volontà.
Tom Antongini
GLI ALLEGRI FILIBUSTIERI DI D’ANNUNZIO
ppgg 280 – euro 20.00
Aga editrice, Milano 2013
Mario Carli
CON D’ANNUNZIO A FIUME
ppgg 190 – euro 15.00
Aga editrice, Milano 2013
Mario Carli
TRILLIRI’
ppgg 224 – euro 15.00
Aga editrice, Milano 2013
Yambo
SANTA PIRATERIA
ppgg 169 – euro 15.00
Aga editrice, Milano 2013
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Conferenza patriottica di Destrafuturo.


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Conferenza sulla corruzione comunista.


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Conferenza di "Terra Insubre" a Milano.


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mercoledì 24 aprile 2013

Camerata Teodoro Buontempo: Presente!


Unanime cordoglio per la scomparsa di Teodoro Buontempo, storico esponente della destra italiana, per anni consigliere comunale, parlamentare e dirigente della Giovane Italia, del Fronte della Gioventù, del Movimento Sociale Italiano, di Alleanza Nazionale e de La Destra di Francesco Storace. Oggi, tutta la comunità della destra sociale, anche se politicamente divisa, piange, unita e commossa, il mitico Camerata Teo, militante coerente e coraggioso, come un leone, anche se era soprannominato “Er Pecora” (per la sua capigliatura e le sue orgogliose origini abruzzesi).
Quando veniva a Milano, eravamo io, Romano Favoino, Ciube ed il Teto, ad andarlo a prendere all’aeroporto di Linate, e ad accompagnarlo, per tutta la Lombardia, a dibattiti televisivi, convegni politici e cene cameratesche (anche da Oscar, a Porta Venezia). Qualche volta ho avuto il piacere di ospitarlo a casa mia, anche a dormire. Veramente tanti sono i bei ricordi e gli aneddoti che, in questo triste giorno, mi tornano in mente: una epica campagna elettorale per il comune di Roma (in giro per le borgate con il principe Lilio Sforza Ruspoli, candidato sindaco missino), una movimentata manifestazione milanese alle Stelline di Corso Magenta (insieme a Giorgio Pisanò), un pellegrinaggio a Predappio insieme al senatore Cesare Biglia ed agli ex combattenti della RSI, una goliardica trasferta nel Monferrato (tra incontri politici e degustazione di grappe, delle quali era un vero intenditore), l’ultimo congresso nazionale del MSI ed il primo di AN, il suo ufficio romano con vista sull’Altare della Patria, l’esperimento del movimento Fronte degli Italiani, del quale sono stato rappresentante a Milano.
Che personaggio straordinario, di grandissima umanità e generosità, sempre in prima fila quando c’era da combattere una giusta battaglia. Per qualche tempo non ci siamo più sentiti, poi ci siamo rivisti con la nascita de La Destra, del quale era promotore e presidente, e nelle cui liste mi sono candidato, per ben due volte, come indipendente alla camera dei deputati. Sperava sempre nella unità dell’area, non parlava mai male di nessuno, anzi, aveva sempre una parola buona per tutti, cercava sempre di guardare il lato positivo delle cose. Negli ultimi giorni della sua vita terrena, gli siamo rimasti vicino nella preghiera ed ora che è andato oltre, siamo sicuri che continuerà a marciare spiritualmente al nostro fianco, a difendere ed a consigliare i suoi camerati, la sua comunità che oggi vorrebbe vedere, finalmente, riunirsi in un nuovo e grande fronte nazionale e popolare. Ciao Teodoro, grazie di tutto, veglia su di noi!
Roberto Jonghi Lavarini






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martedì 23 aprile 2013

25 aprile di liberazione dalla banche e dalla plutocrazia!

 

 

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In difesa della famiglia naturale e tradizionale.


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Forza Teodoro!

Roberto Jonghi Lavarini e tutti i militanti di Destra per Milano, profondamente colpiti e commossi, sono spiritualmente vicini, anche nella preghiera, al mitico camerata e carissimo amico Teodoro Buontempo, che, in queste ore, a Roma, sta combattendo la sua ultima e tragica battaglia terrena!

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lunedì 22 aprile 2013

"Undici settembre"...

 
 
Marco, monaco e predicatore di Aviano, arringa le folle, fa miracoli e legge le stelle (comete). Difensore della cristianità e sostenitore dell'unica Luce, diversi anni prima è stato strappato alla morte da Kara Mustafa, oggi Gran Visir dell'Impero Ottomano deciso a marciare verso Vienna e contro gli infedeli occidentali. Marco, lasciata Aviano per Vienna, incontra l'imperatore asburgico Leopoldo I, a cui preannuncia la marcia dei turchi contro l'Europa e suggerisce una santa alleanza tra le nazioni cristiane per contrastare e fermare l'avanzata dell'Islam. Riluttante a credere alle parole del monaco, Leopoldo sottovaluta il pericolo che non tarda a lambire le mura della città e a chiedere il conto alla sua pavida anima. Sostenuto dalla fede e dalla strategia militare di Jan Sobieski, re polacco ostinato e lungimirante, il cristiano occidente avrà la meglio sull'esercito musulmano, battuto e costretto alla ritirata l'undici settembre del 1683.
A volte ritorna e come il suo Carnera, la 'montagna che cammina', Renzo Martinelli rischia di travolgere ogni cosa al suo passaggio. Perché in un tempo (il nostro) in cui i simboli religiosi sono imbracciati dagli estremismi politici per giustificare l'azione armata in ogni parte del mondo è necessario che la riflessione artistica colga e comprenda le sfumature. E invece. Undici settembre 1683 è incapace di confrontarsi con le complessità delle implicazioni storico-culturali, esibendo un manicheismo spavaldo che preclude allo spettatore qualsiasi possibilità di comprendere e di comprendere l'altro da sé. Con la benedizione del MiBAC e di dio, a rimetterci sono gli 'altri', gli arabi, già integralisti e terroristi ne Il mercante di pietre. Sia inteso, Martinelli riferisce di fatti storici realmente accaduti e 'documenta' la penetrazione turca in Europa, che nel 1683 si era spinta fino a Belgrado minacciando di sostituire il dio della Bibbia col dio del Corano. Ma è come questi eventi vengono rappresentati e trattati a lasciare perplessi. La 'crociata' di Martinelli insinua l'isteria del sospetto che finisce per replicare una strategia del terrore non dissimile da quella in cui si riconosce una minaccia. Fondamentalista come Gibson, ma senza il talento del regista australiano, Martinelli realizza l'ossessione di proteggere e riaffermare l'identità cristiana dell'Occidente contro quella islamica, cercando senza mai trovare il film epico. L'apologia di F. Murray Abraham, che incarna l'esaltata umiltà di Marco da Aviano, non convince le comparse e non commuove i destinatari in sala quanto il discorso dell'eroe scozzese William Wallace, perché è ostentazione vanagloriosa e mai sentimento condiviso. All'assenza di un'idea di stile, all'abuso del ralenti, delle inquadrature sghembe, del dettaglio significante, della metafora pregnante, si aggiungono personaggi schematici e inerti, che ad ogni incontro o scontro declinano pleonastici nome, mestiere e intenzioni. Eppure ci sono almeno due spunti interessanti nella storia dell'assedio di Vienna che avrebbero meritato altro sviluppo, considerando la possibilità di quella battaglia di significare altro da sé. Innanzitutto un canto funebre, uno struggente oratorio per le innumerevoli vittime che hanno immolato se stesse sull'altare della ragione e della religione di stato, e infine un'interessante riflessione sul simbolo (croce o mezzaluna che sia) e su quello che gli uomini sono disposti a fare per la sua luce, il suo valore, la sua evanescenza.
Undici settembre 1683 è diversamente un tripudio di alabarde, spade, vessilli, bandiere levate su un paesaggio anonimo e digitale e rivolte contro il nemico musulmano, di cui il film fa credere di voler comprendere il punto di vista proclamando esclusivamente il proprio. Il risultato è un pregiudizio gravido di orfani fondamentalisti che tre secoli dopo collasseranno la "mela d'oro" dell'occidente. Perché è lì che il film di Martinelli è diretto al galoppo, intendendo
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TRADIZIONE - FAMIGLIA - PROPRIETA'

http://www.atfp.it/novita.html

Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo


Per iniziativa della casa editrice Il Giglio, di Napoli, è stata pubblicata la più recente edizione di una delle opere più famose di Plinio Corrêa de Oliveira: «Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo». Scritta nel 1965, l’opera denuncia una delle più insidiose manovre rivoluzionarie, tesa a cambiare subdolamente la mentalità delle persone attraverso ben studiate tecniche dimanipolazione psicologica, come l’utilizzo di “parole talismano”.

Nel 1965 «Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo» fu pubblicato sul mensile brasiliano “Catolicismo”. L’anno successivo fu ristampato in un volume. Nel tempo, si sono succedute cinque edizioni in lingua portoghese, sei in spagnolo, una in tedesco e una in italiano, raggiungendo un totale di 136.500 copie diffuse. Il saggio, inoltre, è stato pubblicato su numerose riviste brasiliane, argentine, cilene, colombiane, statunitensi, portoghesi e spagnole.
In Italia, una prima traduzione, curata da Giovanni Cantoni e da Silvio Vitale, fu pubblicata nel 1970 a Napoli, per le edizioni de «L’Alfiere». A 47 anni dalla sua uscita, l’Editoriale Il Giglio ne ha curato una nuova edizione, affidando la traduzione dall’originale portoghese a Guido Vignelli.
Benché il testo sia contestualizzato ad un preciso momento storico-politico, la tecnica del dialogo che vi è svelata e descritta nelle sue diverse fasi non ha perso di attualità poiché ha continuato ad essere utilizzata costantemente fino ai nostri giorni, producendo effetti di notevole rilievo sul piano culturale ed identitario. Effetti che il lettore potrà facilmente cogliere, anche grazie alla postfazione al testo, “Il mito del dialogo relativista. Una strategia di conquista che continua”, scritta da Guido Vignelli.
S.A.I.R Bertrand de Orléans e Bragança, Principe Imperiale del Brasile, pronipote di Teresa Cristina di Borbone-Due Sicilie, ha firmato la presentazione del volume.
Gli anni Sessanta si aprirono all’insegna di un generalizzato ottimismo, nella convinzione che, memore della lezione ricevuta dalla guerra da poco finita, il mondo si avviasse ad un’era di pace e benessere fondata su un “umanesimo laico” condivisibile da tutti, indipendentemente dalle diverse posizioni ideologiche, politiche, religiose o razziali.
Questo clima venne rappresentato in particolare da tre personaggi, attorno ai quali i mass media costruirono un alone quasi mitico che ancora resiste: il presidente USA J. F. Kennedy, che aprì il suo mandato prefigurando una “nuova frontiera ricca di sconosciute occasioni”; il leader sovietico Nikita Krusciov, che aprì la fase della “destalinizzazione”; il pontefice Giovanni XXIII, che aprì la Chiesa “al mondo”, con l’“aggiornamento” e la forte impronta ecumenica negli anni post-conciliari.
L’impatto mediatico di queste tre icone produsse l’aspettativa di un “nuovo ordine mondiale” ormai a portata di mano, nel quale qualsiasi contrapposizione potesse essere ridotta a semplice “confronto” da appianare attraverso il “dialogo”, ed in questa prospettiva venne enfatizzato il ruolo di organizzazioni internazionali come l'ONU o la CEE, embrione della futura Unione Europea.
Si diffuse, così, l’idea che il dialogo dovesse essere lo strumento per dirimere qualunque divergenza, politica, confessionale, civile, etica. All’opinione pubblica, però, non fu spiegato che, al di sotto dell’idilliaca superficie, quella del dialogo era una tecnica precisa, che sottintendeva la negoziabilità di qualunque principio, che imponeva la rinuncia all’esistenza di qualsiasi verità, che stabiliva le premesse perché, col tempo e con una serie progressiva di mediazioni, i principi stessi finissero per essere svuotati di senso. Una tecnica che obbligava ad una continua trattativa, ad un continuo e incalzante compromesso, pur di tenere aperto il tavolo di mediazione con la parte avversa.
Sostenuto dai mezzi di informazione, in breve tempo il dialogo divenne in tutti i settori “il” valore da ricercare ad ogni costo: prescindendo dal suo contenuto e dalle conseguenze, qualunque mediazione era considerata un obiettivo positivo purché fosse frutto del dialogo tra le parti. Si affermò quindi, il primato del dialogo sulla verità: un errore sempre inaccettabile, sia quando i dialoganti sono in buona fede, sia nel caso contrario, quando la parte in buona fede è di fatto alla mercé della parte in malafede.
Ciò nonostante, negli anni Sessanta influenti élites intellettuali, mediatiche, politiche ed ecclesiastiche, soprattutto in campo cattolico, lo adottarono come approccio privilegiato alla costruzione e al mantenimento degli equilibri interni ed internazionali tra i due grandi blocchi che si fronteggiavano all'epoca. Questa adesione, in realtà, affondava le radici in una sorta di “complesso di inferiorità culturale” che già allora si era diffuso in molti ambienti di ispirazione cattolica rispetto a quelli di formazione marxista, laicista, protestantica. Molti intellettuali erano convinti, infatti, che la direzione impressa alla storia dal progresso fosse irreversibile, che il comunismo fosse una necessaria tappa del processo in cui, tutt’al più, alcuni eccessi dovevano essere smussati, che il cattolicesimo dovesse rinunciare a forme esteriori e posizioni dottrinali “integriste”, considerate inadatte alle moderne concezioni di libertà di opinione, di critica e di scelta.
A Plinio Corrêa de Oliveira va il merito di aver denunciato la dinamica progressiva, che sposta sempre più avanti il traguardo del dialogo, definendo sistematicamente ogni mediazione raggiunta come “promettente” ma “insufficiente”. In questo modo, il dialogante estremista spinge il moderato a concessioni sempre maggiori, accompagnandolo verso un inavvertito trasbordo ideologico che lo porterà ad abbandonare le posizioni tradizionali per assumere quelle rivoluzionarie. Il dialogo, infatti, è la strategia utilizzata per «creare una verità fittizia che giustifichi un accordo sociale … capace di assicurare certi risultati pratici: l’unione e la pace mondiale, il benessere, i diritti umani, l’ecumenismo, la salvaguardia della natura. Insomma, si mira a realizzare non più l’unità nella verità, ma al contrario la verità nell’unità: diventa vero ciò che mette d’accordo tutti – o almeno la maggioranza, o almeno i più influenti – mediante un compromesso che realizzi una “nuova sintesi condivisa”».
Questa tecnica, adoperata su larga scala dai progressisti di ogni matrice negli anni ’60 e ’70, non è stata abbandonata, ma al contrario è stata diffusa a tutti i livelli, rivestita da un’aura di “buonismo”, di “equilibrio”, di “rispetto delle differenze”. La sua più recente versione è quel politically correct che permea ogni settore e che viene brandito ad ogni pie’ sospinto per mettere a tacere chi osi affermare un qualsiasi principio. Quel politically correct che, tanto per fare un esempio, in nome della libertà religiosa garantita a tutti impedisce ai cattolici di mostrare i propri simboli perché non graditi ai fedeli di altro credo ed espelle Gesù Bambino dalle recite scolastiche di Natale. Quel politically correct che in pratica impedisce i cattolici di insegnare il Magistero della Chiesa in tema di omosessualità, per non essere condannati come “omofobi”. Quel politically correct che, in piena era di ecumenismo, permette l’efferata persecuzioni ai cristiani in terre a maggioranza islamica nonché nei Paesi ancora comunisti.
Quel politically correct che si sta velocemente trasformando nella dittatura del relativismo denunciata da Benedetto XVI.
 
 

Intervista a Guido Vignelli, curatore dell’edizione


Contro il dialogo relativista: attualità di una storica denuncia


Perché mai ristampare un libro di quasi 50 anni fa, che tratta questioni legate alla sua epoca?
Il saggio del prof. Plinio Corrêa de Oliveira prende spunto da vicende passate come la “distensione” tra Est ed Ovest. Tuttavia esso ha una indiscutibile attualità, perché analizza, denuncia e confuta un metodo propagandistico – quello del “trasbordo mediante dialogo” – che viene ancor oggi usato dalle forze rivoluzionarie per traviare l’opinione pubblica, soprattutto se cristiana. Pertanto questo saggio resta uno strumento indispensabile, sia perché smaschera e confuta il falso dialogo pacifista e relativista, sia perché permette di sostituirlo col vero dialogo, ossia quello apostolico e apologetico.
Questo libro è un classico del pensiero cattolico contro-rivoluzionario, tuttora fondamentale per tre motivi. Primo: fece, a suo tempo, una profetica denuncia del “dialogo” pacifista e relativista, prevedendone le rovinose conseguenze che poi si sono realizzate; secondo, esso mantiene una scottante attualità, che ci permette di cogliere ed evitare analoghi pericoli incombenti; terzo, esso delinea una strategia di riscossa, che contribuirà a salvare la residua civiltà cristiana dalle insidie che la minacciano; se infatti il recente passato ha dato ragione all’Autore, ancor più gliene darà il prossimo futuro.
Quali sono le differenze tra il “dialogo” di ieri e quello di oggi?
Tra gli anni Sessanta e Ottanta, il metodo del “trasbordo mediante il dialogo” fu usato soprattutto per impedire all’Occidente e alla Chiesa di combattere il comunismo e il progressismo. Oggi invece quel metodo è usato, nel campo religioso, per disorientare e addormentare i cristiani e, nel campo culturale, per intimorire e paralizzare l’Occidente e per favorire il potere mondialista emergente. Si pensi al ruolo, oggi, svolto dal “dialogo” nel dibattito su immigrazione, globalizzazione, multiculturalismo, solidarismo, soprattutto nel dibattito sul problema islamico.
Secondo i promotori più esigenti del “dialogo”, esso non si sarebbe realizzato in modo abbastanza radicale e audace, perché la tesi e l’antitesi, invece di scontrarsi producendo la sintesi, si sono accomodate in ipocriti compromessi, impantanando così il processo rivoluzionario. Pertanto il nuovo contesto rivoluzionario ha imposto al “dialogo” una metamorfosi. Lungi dall’attenuare le “diversità” riducendole a un minimo comun denominatore, il nuovo “dialogo” mira a esasperarle fino a suscitare uno scontro capace di creare una sintesi. Infatti, le forze dominanti, da quella mass-mediatica fino a quella terroristica, spingono opposte fazioni ideologiche, politiche e religiose a radicalizzare le loro “identità” (vere o fittizie) per suscitare uno scontro multipolare che produca un “salto di qualità” capace di avviare “un nuovo inizio” facendo ripartire la rivoluzione in crisi.
Ad esempio, alcuni sostengono che, per realizzare quella solidarietà universale che sola salverà la pace, bisogna andare oltre il dialogo, passando dalla “condivisione con l’altro” alla “inclusione dell’altro” e infine alla “identificazione con l’altro” mediante “reciproca accoglienza” e “piena integrazione” in un nuovo sistema multiculturale e multireligioso. Pertanto, si pretende che l’europeo, soprattutto se cristiano, abbia l’obbligo di assicurare non solo ospitalità territoriale e assistenza sociale, ma anche “ospitalità ideologica”, diritti politici e riconoscimenti giuridici a tutte le etnie, tribù, comunità e sette religiose immigrate.
Come vanno realizzandosi le condizioni di questo nuovo “dialogo” conflittuale?
Ormai l’opinione pubblica benpensante, per quanto avvelenata dal relativismo e indebolita dalla corruzione morale, sta rendendosi conto che questa “solidarietà fra estranei” produrrà non la pace, ma anzi la conflittualità permanente e la guerra civile planetaria. Allora il nuovo “dialogo” serve a superare la resistenza dei “moderati” usando gli stessi metodi di quello vecchio, ossia sfruttando le loro debolezze. Questo procedimento si svolge in un clima di ricatto psicologico, di pressione mediatica, d’insicurezza politica, di rivolta sociale, di persecuzione giudiziaria, talvolta anche d’intimidazione terroristica. Infatti, le sette rivoluzionarie stanno propagando una cristianofobia che pretende di ridurre al silenzio, all’isolamento e all’impotenza quelle forze cattoliche che sono in possesso della verità e tentano di farla rispettare nella vita civile.
Di conseguenza, i poteri laicisti stanno organizzando una nuova persecuzione anticristiana fatta in nome del “pluralismo”, della “libertà” e della “uguaglianza” anti-discriminatoria. Ormai ad essere vietate non sono più solo le verità soprannaturali, ma anche quelle naturali che favoriscono la rinascita religiosa; ad essere attaccata non è più solo la Chiesa nel suo potere, ma anche nella sua mera influenza e anzi nella sua stessa sopravvivenza. Mass-media, università, magistrature, autorità politiche e religiose combattono non solo il generico Cristianesimo, ma anche la Chiesa cattolica, il clero e il Papa, avvertendoli che si trovano in stato di libertà vigilata e ammonendoli ad attenersi al “religiosamente corretto”, se non vogliono essere annientati. Pertanto, la difesa della fede cristiana è ormai diventata anche una questione di libertà religiosa, culturale e politica; ma questa libertà possiamo riconquistarla solo guarendo dal morbo relativista, rifiutando il dialogo pacifista e soprattutto recuperando lo spirito della militanza cattolica.
La riscossa cristiana presuppone una rinascita spirituale che si basa sul rilancio della Chiesa come società militante, della vita cristiana come lotta. Bisogna opporre quello spirito d’intransigenza, di missione e di crociata, che ieri ha costruito la Cristianità, a quello spirito del dialogo pacifista, relativista ed egualitario, che oggi tenta di distruggerla.
La battaglia per la verità è giunta alla fase cruciale, per cui ogni prospettiva di “mediazione” e di compromesso è destinata al fallimento. I timidi e distratti uomini d’oggi iniziano ormai a rendersene conto perché costretti dalla dura lezione dei fatti, perché patiscono nella loro vita quotidiana le dolorose conseguenze della pubblica apostasia. Ma il prof. Corrê de Oliveira aveva compreso e insegnato tutto questo molto tempo fa, svolgendo quel ruolo profetico tipico di chi illumina le future generazioni preparandole alla loro missione: «Facesti come quei che va di notte / portando il lume dietro, e a sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte» [Dante Alighieri, La Divina Commedia - Purgatorio, canto XXII, vv. 67-69]. Anche per questo, la futura Cristianità restaurata lo celebrerà usando le parole incise sulla sua tomba: vir catholicus, totus apostolicus, plene romanus.
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"Il nostro Onore si chiama Fedeltà"




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La partitocrazia reincorona re Giorgio, il "komunista amerikano".



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Grazie a Dio: silurato il peggiore, niente mortadella al Quirinale!



 
 


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venerdì 19 aprile 2013

ONORE ai Camerati Caduti !

 


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NO all'euro-disastro Prodi, il peggiore della casta!




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Romano Prodi non sarà mai il nostro presidente!


Il PD di Bersani candida Prodi al Quirinale. La sinistra faziosa ed infame (il nuovista Renzi compreso), rompe gli accordi con il PDL di Berlusconi, per un presidente condiviso ed equilibrato come il democristiano Marini, per sostenere il vecchio plutocrate mondialista che ha causato l'Euro-disastro economico e sociale. Mario Monti ha ovviamente assicurato il suo appoggio. Cosa faranno i finti rivoluzionari grillini del pagliaccio Grillo e del santone Casaleggio? Voteranno anche loro per il peggiore rappresentante della casta, della partitocrazia e dei poteri forti internazionali? Vedremo, li attendiamo al varco! La cosa sicura è che, comunque vada, Romano Prodi non sarà mai il nostro presidente e che scenderemo subito in piazza per protestare e chiedere nuove elezioni politiche!




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giovedì 18 aprile 2013

robertojonghi.it

Roberto Jonghi Lavarini ha 40 anni, è felicemente sposato con Veronica ed ha due figlie di 11 e 6 anni, Beatrice e Ludovica. Laureato in Scienze Politiche alla Università Statale di Milano, lavora come consulente immobiliare (compravendita e ristrutturazioni) nella società di famiglia ed è iscritto a diverse associazioni di categoria.
Cristiano Cattolico praticante, fedele alla Tradizione, è Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Volontario del Corpo Italiano di Soccorso del Sovrano Militare Ordine di Malta. Appassionato di storia, cultura, araldica, tradizioni religiose e popolari, enogastronomia e sagre paesane, è molto legato alle radici ed alla identità Walser (tedesco-vallese) della propria famiglia e fa parte del gruppo folkloristico del suo paese di origine, Ornavasso.
Da sempre coerente militante di destra, è stato: Segretario del Fronte della Gioventù di Milano, Dirigente Provinciale del Movimento Sociale Italiano, Dirigente Regionale di Alleanza Nazionale e della Fiamma Tricolore della Lombardia, Consigliere Circoscrizionale e Presidente della Zona Porta Venezia, per due volte candidato alla Camera dei Deputati come Indipendente ne La Destra.
Attualmente, per scelta, non ricopre alcuna carica politica e non è iscritto a nessun partito ma collabora con svariate associazioni culturali e testate giornalistiche, partecipando a diverse trasmissioni televisive come opinionista.

http://www.robertojonghi.it/
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René Resciniti de Says: Presente!

 
Un uomo di un'altra epoca. Che seppe vivere nella nostra. Il 17 aprile dell'anno scorso, a causa di un ictus, trapassava a Parigi René Resciniti de Says. Aveva avuto il suo battesimo di scontro in piazza nel 1967: fu subito un giovanissimo Camelot du Roi (letteralmente Strilloni del Re, in effetti il servizio d'ordine dell'Action Française). Di origine italiana da parte di madre, René amava l'Italia ma si sentiva appieno francese. Lo rammento in compagnia dell'allora inseparabile Philippe cantare ad ogni serata tra amici Douce France di Charles Trénet. Eternamente spiantato non si privava mai di rifornirsi dal sarto né di farsi confezionare scarpe su misura. Lo soprannominarono Néné - l'élégant. Monarchico convinto e nazionalista assoluto, René, uomo di gusto, di cultura, di arte, di gastronomia, fu soprattutto un guerriero. Non disertò mai la guerra civile che si stava snodando in più punti del pianeta e che aveva come bersagli da abbattere la cultura classica, la tradizione europea, la potenza e la coesione francese. René combatté, non proprio in senso figurato, a Parigi, in Africa, in Libano e in America Latina. Non aveva l'abitudine di raccontare le proprie gesta né di vantarsene. Molte di esse non le conosco ancora, di alcune ho saputo dopo la sua ascesa ai Campi Elisi. Ho conosciuto gente di tutte le latitudini, di ogni provenienza, di ogni lingua e di tutte le sensibilità. Raramente ho incontrato qualcuno che nel dopoguerra abbia unito pensiero e azione al punto di non aver attraversato la vita in modo fuggevole e impalpabile. Fu solo negli ultimi anni, anni di pace nella disfatta, di routine nell'inazione, di amarezza davanti al gregge dei contemporanei, che trascinò la sua vita senza alcun piacere d'esser sopravvissuto alle sue guerre. René ha vissuto con eleganza: sotto il vestito ci fu un uomo. Merce rara. (Gabriele Adinolfi)
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Marcello Veneziani: "Lo strano caso di Fini, demolitore della Destra".



Non riuscirono la legge Scelba, l’antifascismo militante, l’arco costituzionale, i processi, le violenze, gli scontri di piazza, la ghettizzazione, le scissioni pilotate e mille altri accidenti a far sparire la destra in Italia. Ci è riuscito il suo ex leader Fini (salvo accusare Berlusconi della sua scomparsa, lui che portò la destra al governo, ma la destra si rivelò incapace d’incidere).
 
Esce ora il libro di un costituzionalista e una penna affilata, Paolo Armaroli, già parlamentare di An, dal titolo significativo: «Lo strano caso di Fini e il suo doppio» (edito da Pagliai). Armaroli fa la storia del dottor Jekyll/Hyde della destra italiana ma conviene sulla tesi che alla morte di Tatarella – il suo burattinaio – Fini fu ossessionato dall’idea di liberarsi di Berlusconi. Legittima aspirazione, ma a tre condizioni: una, di non succhiare benefici e incarichi da chi vuoi abbattere; due, di non fare del proprio partito la pallida fotocopia del suo; tre, di essere un vero leader e non solo uno speaker. In Fini non ci fu niente di questo, lo muoveva solo il rancore, più qualche ormone vagante.
 
Chi, come me, lo criticava da tempo e prevedeva questa parabola (Armaroli ha contato negli anni cinquanta miei pezzi su Fini) non lo faceva da berlusconiano ma da uomo di destra tradito da un suicidio con infamia. Fini non meriterebbe il necrologio politico se non avesse trascinato nella sua follìa omicida-suicida tre partiti e mezzo, un’area politica, un governo e un Paese. A volte anche microbi possono produrre catastrofi.
Marcello Veneziani – Il Giornale, 13 aprile
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"Milano: antifascisti ancora contro Ramelli ma il giudice Salvini dice basta, quel ragazzo va ricordato"...

 
 
La notizia è di quelle che dovrebbero far riflettere. Sergio Ramelli era un ragazzo di non ancora 18 anni che aderiva al Fronte della Gioventù di Milano. Non fu mai coinvolto in violenze di alcun tipo. Era stato costretto dagli extraparlamentari di sinistra a cambiare scuola, era stato cacciato perché “fascista”. Un giorno, all’ora di pranzo, lo attesero sotto casa sua e lo massacrarono a colpi di chiavi inglese, senza che lui avesse fatto nulla. Dopo 47 giorni di agonia morì. Era il 29 aprile del 1975. Il giorno del funerale molti missini furono denunciati per adunata sediziosa. Dal vicino collettivo di Medicina gruppettari fotografarono i partecipanti alle esequie, foto ritrovate successivamente in un covo terrorista. Ogni anno l’omicidio di Ramelli è commemorato con iniziative di vario genere. La notizia è questa: il presidente e consiglieri di sinistra del consiglio di zona 3 di Milano, ossia quello di Città Studi, hanno approvato una mozione con cui si chiede di vietare la commemorazione della morte di Sergio Ramelli. Dopo quasi quarant’anni. E malgrado tutti i problemi che ha Milano, il consiglio ritiene questa una priorità.

È ovvio che non è compito del consiglio di zona vietare o meno un corteo, ma è altrettanto ovvio che la sinistra vuole far arrivare la questione a Palazzo Marino, che il potere di vietare i cortei ce l’ha. Tuttavia, a quanto si apprende, l’iniziativa liberticida mostra già qualche crepa, poiché alcuni esponenti della maggioranza si sono tirati indietro, sottolineando come in questi casi – si parla di un 18enne massacrato – debba prevalere il diritto a manifestare. Sulla vicenda, che sembra riportare Milano al clima di odio degli anni Settanta, interviene con un articolo su Libero Guido Salvini, il magistrato che scovò gli assassini di Ramelli, sia pure molti anni dopo. Gli assassini, otto, facevano parte del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia ed erano studenti di Medicina, tanto è che in seguito erano diventati medici. Senza, osserva Salvini, che mai un pentimento li abbia sfiorati. Il giudice ci racconta che gli otto furono condannati a pene piuttosto lievi e che dopo qualche anno tornarono tutti alla loro professione. Salvini ritiene che il diritto a manifestare sia importante, e che per le temute esibizioni fasciste le forze dell’ordine siano in grado di punire i responsabili. «Invocare la proibizione del corteo – dice Salvini – resta quindi l’espressione di una concezione politica abbastanza primordiale». E meno male.
 
Il magistrato propone quindi di effettuare un incontro su quegli anni e su quei fatti, al quale invitare i protagonisti di una parte e dell’altra. Anche perché, ricorda Salvini, le commemorazioni per i morti di sinistra a Milano si fanno ogni anno, senza che nessuno si sogni di chiederne la proibizione, con tanto di patrocinio del Comune. Insomma, il magistrato propone di discutere e non proibire, sentendo quelli che negli anni Settanta facevano politica a Milano, come Ignazio La Russa da una parte e Stefano Boeri dall’altra. Salvini nell’articolo cita anche i casi dei giovani di sinistra Varalli e Zibecchi, morti in quel periodo, ma ricorderà certo il giudice che le circostanze della loro morte – rispetto a quella di Ramelli – furono diverse e soprattutto ricorderà da quale parte venivano gli assalti armati e violenti: la notte prima della morte di Ramelli il Giornale di Montanelli fu occupato da extraparlamentari di sinistra armati di pistole e spranghe che impedirono la diffusione del giornale solo perché avevano saputo che il quotidiano intendeva dare una versione corretta dei fatti, ossia classificare i comunisti come aggressori. Ben venga l’incontro con tutti, ma propedeutico sarebbe da parte delle sinistre non chiedere di vietare di commemorare i caduti di una parte mentre poi commemora i suoi. I morti non sono di serie A o di serie B.
http://www.secoloditalia.it/2013/04/milano-antifascisti-contro-il-corteo-per-ricordare-ramelli-il-giudice-salvini-basta-quel-ragazzo-va-ricordato/
Pubblicato da Destroidi per Milano alle 00:47 Nessun commento:
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Complimenti Silvio!


Lo davano morto politicamente, invece, Super Silvio, ancora una volta, dopo avere fatto fuori tutti i capetti della sinistra italiana (uno dopo l’altro: Occhetto, Prodi, D’Alema, Veltroni e Rutelli), zitto-zitto, ha sparigliato il tavolo e sbaragliato, nuovamente gli avversari, piazzando il moderato democristiano Marini al Quirinale, spaccando definitivamente il centrosinistra ed il PD (facendo litigare Bersani con Renzi e Vendola) e mettendo fuori gioco la sterile protesta grillina. Non solo, il Cavaliere di Arcore si prende una rivincita contro i poteri forti della plutocrazia internazionale che lo hanno fatto dimettere con la scusa dello spread, segando le gambe ai loro agenti italiani Amato e Prodi. Complimenti Silvio!
Pubblicato da Destroidi per Milano alle 00:39 Nessun commento:
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Auguri Presidente!


Pur essendo del PD, a noi, il “lupo marsicano” Franco Marini non dispiace affatto: sanguigno abruzzese di origine popolare, cattolico impegnato nel sociale, ex ufficiale degli Alpini, laureato in giurisprudenza, ex sindacalista CISL, democristiano vecchio stampo, assolutamente distante dai poteri forti internazionali e dalle logge massoniche mondialiste, come Presidente del Senato è stato rigorosamente “super partes”. Certamente, non è di centrodestra e nemmeno il nostro ideale di statista ma è sicuramente meglio di tutti gli altri possibili candidati sinistri (Prodi, Amato, D’Alema, Rodotà) e rappresenta una garanzia di equilibrio, indipendenza e correttezza istituzionale per tutti gli Italiani. Auguri Presidente!
Pubblicato da Destroidi per Milano alle 00:38 Nessun commento:
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