giovedì 2 agosto 2012
Comunità Militante di Raido.
di Comunità Militante Raido
In merito all’ultima querelle della destra più o meno “reazionaria”, di ridefinizione dell’ambiente qualcosa si deve dire.
Innanzitutto l’ambiente è malato perché gli uomini che formano questo ambiente sono malati. Sono malati di quella malattia che è propria del mondo moderno: l’individualismo. L’occhio attento ed esperto, riesce a percepire la necessità di essere gratificati ad ogni costo.
Si è persa ogni impersonalità e ogni slancio disinteressato, con la conseguenza che il “settarismo”, fase estrema dell’individualismo, oggi domina persino in ogni piega ed angolo di questo ambiente, o come più saggiamente qualcuno tempo fa ebbe a definirlo, un insieme di gironi infernali.
Ritornare ad Itaca, per fare cosa? La casa del padre, da cui vent’anni fa si è usciti in lacrime e fiduciosi del sol dell’avvenire, oggi è solo un cumulo di rovine, rimane solo la nostalgia, la retorica e i ricordi sbiaditi, da raccontare inzuppando i biscotti nel vino.
Diciamoci la verità, non c’è nulla da conservare o da rinverdire, il male di oggi ha in quei ricordi e in quella retorica le sue radici, e non si sta parlando solo dell’Msi-Dn, cloaca maxima, ma di tutto l’ambiente con ras e i capetti in testa, che non hanno badato alla FORMAZIONE DI MILITANTI.
La FORMAZIONE, che è l’unica cosa seria in una realtà politica specie se giovanile, non è mai stata fatta salvo rare e quanto mai uniche eccezioni.
E facciamola una precisazione, FORMAZIONE non è leggere libri o fare sfoggio di cultura o peggio essere più o meno degli stimati intellettuali [fondamentalmente ignoranti], FORMAZIONE è mettere ordine nella propria vita, è come dice la parola stessa dare una “forma” alla propria azione, cioè avere uno stile. E non si può avere uno stile, se non si ha un’appartenenza e un’identità, cioè una visione del mondo.
E nei decenni precedenti, lo stile, l’identità, l’appartenenza, la visione del mondo, sono state sacrificate a tutte le logiche e convenienze, in nome e per conto del pragmatismo e dell’utilitarismo, nella ricerca del potere e dell’edonismo borghese. I frutti marci che oggi abbiamo sotto gli occhi sono la conseguenza di un albero ormai marcio, che il saggio contadino taglia sin dalle basi per ricavarne legna da ardere. Oggi, dinanzi alla crisi, qualcuno sentimentalmente ci propone di tornare alla casa del padre, come se colonnelli o custodi di fondazioni non si sono già diviso e speso il sangue e la sofferenza di tanti camerati.
Personaggi senza dignità e senza onore: politici, intellettuali, ras di quartiere o “leggendari capi” di un tempo che fu, che oggi al di là del proprio passato non sono in grado di illustrare un progetto realistico ed efficace per i tempi, un progetto in grado di dare realmente uno slancio.
E siccome siamo entrati nel gioco, diciamo che la prima cosa necessaria è fare tabula rasa di tutte le infezioni maldestre e neodestre che da decenni a ciclo continuo infettano l’ambiente.
Basta con tutti gli intellettuali e i pennivendoli di palazzo, con tutti i giornalisti e politici che vivono di chiacchiere, con il ripetere che è necessario conquistare gli spazi di potere, che se strategicamente ha un fondato senso, automaticamente viene perso laddove gli individui che sono preposti a gestirlo, felicemente illusi che la tigre fosse un gattino addomesticabile, si ritrovano sbranati e perfettamente inseriti in quel sistema contro il quale la gioventù si scaglia e, ricordiamolo forte a costoro, boia chi molla è il grido di battaglia! Basta con il diritto di parola a tutti i costi, con il relativismo dell’opinione che sprezzante di ogni minima regola di educazione e di rispetto permette di dire la propria, anche la più grande idiozia o mistificazione, all’interno di un calderone fumoso e puzzolente di democrazia ed individualismo, ovvero di quegli antivalori che in nome della gerarchia dovrebbero essere combattuti. Ed ancora basta con il considerare la politica solo in termini territoriali o di volontariato sociale, definendo coloro che non procedono in questa direzione degli intellettualoidi che si masturbano il cervello sui libri; il portare avanti un progetto che silenziosamente, fuori dai clamori mediatici, ogni giorno prende forma, il costruire qualcosa in funzione dell’Idea che inevitabilmente, essendo l’uomo “animale sociale”, incide nella realtà circostante, ma soprattutto l’agire in maniera impersonale secondo i principi tradizionali, cos’è se non un fare politica, o meglio ancora, un costruire la politica se con questa intendiamo l’arte del governo. E come si fa a costruire senza una formazione, ovvero se non si procede nel dare una forma all’azione secondo un metodo operativo che è vissuto ventiquattr’ore su ventiquattro, tangibile, reale, fruibile e non semplicemente letto sui libri e ripetuto a memoria. È ora di finirla con i soloni che non sono capaci di far rivivere il mito, il simbolo e il rito, una sola parola la Tradizione, costoro devono mettersi da parte, è necessario ripartire da quelli che sono i punti di riferimento imprescindibili, e che solo gli incapaci possono pensare che siano dei semplici nomi o “gusci vuoti”. È indispensabile ripartire, ripetiamolo fino alla noia, dai punti fermi rappresentati dai principi della Tradizione, dagli archetipi che come realtà assolute, eterne e universali, sono a fondamento della nostra visione del mondo e del nostro stile, nei confronti dei quali dobbiamo condurre e adattare la nostra vita e non viceversa come oggi troppe volte accade avanzando alibi e giustificazioni.
Per noi la Tradizione [e non il semplice Fascismo] è verità e giustizia, è onore e lealtà, è coraggio e sacrificio, è fedeltà e disciplina, è l’insieme di valori e virtù che dividono gli uomini di “razza” o di “carattere” dagli altri, gli uomini del fronte al quale vogliamo appartenere dagli altri, sono l’essenza dell’appartenenza allo schieramento per cui si lotta, l’aut aut con cui si distingue l’amico dal nemico. E’ arrivato il tempo di ri-costruire l’uomo e le comunità sulla base dei valori e del senso di appartenenza, di tracciare nuovamente il solco della nostra identità tradizionale e romana.
Ad Itaca, dove il Re è assente e gli usurpatori hanno instaurato di fatto la repubblica insidiando la sposa e il trono come nella migliore consuetudine democratica, Omero ci racconta di una figura, virilmente nobile, che spesso è in secondo piano, il servo Eumeo. Eumeo è il migliore e il più fedele tra i servi di Ulisse, è dedito all’allevamento dei maiali del Re, un compito apparentemente poco qualificato, che nel racconto viene appellato come “divino”, perché nonostante la crisi del regno, nonostante potesse scegliere di schierarsi con gli usurpatori e avere una vita agiata, rimane fedele al proprio dovere. Come dire, la risposta di superare una crisi sta negli uomini e nelle cose semplici ed anche la più umile delle figure, un servo appunto e non la figura dell’eroe o del guerriero (alla quale spesso ci rifacciamo con tanta poca modestia), diviene esempio.
Questo è l’insegnamento del mito, questo per noi è l’unico modo per “ritornare ad Itaca”: non è importante il ruolo che si compie, ma il ”come” lo si compie, qual è la disposizione interiore. Non abbiamo bisogno del palazzo di Itaca, ma abbiamo bisogno di tanti Eumeo capaci di trasmettere la fedeltà alla virtù. Solo così è possibile che riappaia il simbolo della Roma eterna, il resto sono chiacchiere di giornalisti e politicanti.
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