lunedì 11 febbraio 2013
Cultura è sviluppo.
Roberto Jonghi Lavarini, candidato alla camera dei deputati con LA DESTRA nel centro-destra (nella foto insieme all'amico filosofo, scrittore e giornalista Marcello Veneziani), ha ufficialmente sottoscritto i 5 punti del Manifesto "Cultura e sviluppo" del Sole 24 Ore, elaborato dopo gli Stati Generali della Cultura italiana, tenutisi a Roma: "La cultura è sviluppo e civiltà! Storia, arte, musica, letteratura, filosofia e tradizioni sono la forza della nostra identità nazionale e vanno assolutamente tutelate, sostenute e sviluppate. Senza radici, l'albero muore: la cultura è forza vitale e, per l'Italia, anche fonte primaria di crescita sociale ed economica, turismo e benessere diffuso".
Un manifesto in cinque punti per arrivare a un risultato: creare sviluppo attraverso la cultura. È quello che propone la prima pagina della “Domenica” del Sole 24 Ore di ieri. Non un generico richiamo a una maggiore attenzione verso quella che è diventata un elegante orpello da mettere nel cassetto nei momenti difficili (ricordiamo l’ormai celebre cultura che «non si mette nel panino» coniata da Giulio Tremonti). Bensì un ragionamento coerente e articolato sul perché l’Italia dovrebbe sfruttare il proprio patrimonio artistico come leva per innescare la ripresa, anziché considerarla una spesa da emarginare.
«Il manifesto è la posizione ufficiale in merito del Sole 24 Ore -spiega la redazione sul sito internet-, che verrà presentato e discusso dal responsabile della “Domenica” Armando Massarenti, al secondo “Summit Arte e Cultura”, con un ciclo di convegni nella giornata di giovedì 23 febbraio presso l’Auditorium del Sole 24 Ore di Milano (in via Monte Rosa 91)».
“Niente cultura, niente sviluppo” è il titolo dell’articolo che compare sull’edizione cartacea, a pagina 25. E i cinque punti sono così composti: 1. Una costituente per la cultura. Il riferimento normativo è l’articolo 9 della Costituzione, che mette insieme ricerca scientifica e tecnica, tutela del paesaggio e patrimonio artistico. Temi che già i padri costituenti vedevano come intrecciati e interdipendenti: cultura e sviluppo. La prima (in senso allargato) come causa del secondo, anch’esso inteso in senso lato, dall’aspetto economico a quello più generale del benessere del Paese.
2. Strategie di lungo periodo. «La cultura e la ricerca innescano l’innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo». Il manifesto paragona l’Italia di oggi a quella del secondo dopoguerra. L’unica differenza è che oggi non si vedono le macerie. Impariamo quindi dalla lezione di allora, quando la politica servì a creare una coscienza di cittadinanza negli italiani. L’azione di governo dev’essere corale in questa direzione, l’iniziativa non va lasciata ai soli ministeri che se ne occupano, per di più vessati da tagli orizzontali che hanno affermato il ruolo marginale che questa classe politica assegna alla cultura.
3 Cooperazione tra i ministeri. Più che ragionare per compartimenti stagni, si caldeggia l’individuazione di obiettivi comuni, da perseguire attraverso la collaborazione tra i diversi dicasteri: quello dei Beni culturali con quello dello Sviluppo economico, del Welfare, dell’Istruzione e della Ricerca, degli Esteri e con la stessa Presidenza del Consiglio. Questo permetterebbe di alzare il tiro dalla scelta limitata e miope tra finanziare, finanziare meno o non finanziare.
4. L’arte a scuola e la cultura scientifica. Va superata la dicotomia tra conoscenze artistiche e scientifiche. Studi cognitivi hanno dimostrato che questa differenza di attitudine nei ragazzi non è reale, e chi eccelle nell’una spesso lo fa anche nell’altra. E per quanto riguarda l’arte occorre andare oltre le sole conoscenze storiche e promuovere anche l’introduzione di pratiche creative durante il percorso di studi.
5. Merito, complementarità pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale. Concetti che si spiegano da sé, ma che occorre promuovere maggiormente nella realtà quotidiana. Se non si farà di più per premiare il merito, i nostri giovani continueranno a cercare fortuna all’estero, e non saremo in grado di attrarre nuovi cervelli dall’estero. Per quanto riguarda gli equilibri tra pubblico e privato, troppo spesso nel nostro Paese il secondo entra quando il primo getta la spugna. L’abbandono o l’incapacità dello Stato di occuparsi di beni e siti d’interesse spinge l’ingresso di soggetti privati, che a quel punto entrano in gioco senza attenersi a un progetto condiviso. Al contrario, interventi normativi dovrebbero spingere verso vantaggi fiscali per le imprese che partecipano ad attività di promozione culturale, in un rapporto che stimoli l’ingresso dei privati al fianco dello Stato, non in sua sostituzione.
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