lunedì 23 luglio 2012
Ritorno ad Itaca: ripartire dalla Cultura...
Itaca, Forum dei lettori
La cultura deve essere il sostegno di proposte concrete
Qualche proposta perché Itaca non diventi l'isola che non c'è
di Mimmo Della Corte
Il progetto lanciato da Renato Besana, corroborato da Marcello Veneziani ed irrobustito dal dibattito svoltosi, in una torrida domenica di metà luglio al Monastero di Valledacqua nei pressi (si fa per dire, visto che per arrivarci, senza mezzi di locomozione privati, è quasi un’impresa titanica, ancor più di quella che ci si propone di portare avanti) di Ascoli Piceno: tornare ad “Itaca” quale luogo della identità e della tradizione, da cui ripartire e provare a rimettere insieme le cosiddette “destre sparse” nel Pdl, nel Fli, nel partito di Storace, in associazioni, circoli, nel web e via discorrendo, è suggestivo, ma decisamente ambizioso.
Anzi, a qualcuno può anche sembrare folle. Ma non sono, forse, le idee che al loro primo apparire sono state ritenute figlie della “pazzia pura” che, una volta realizzate, hanno cambiato il mondo? E dov’è scritto che identità e tradizione, implementate da idee nuove, non possono essere utili a costruire il futuro? Da Nessuna parte. Purché, però, si abbia il coraggio di mettere da parte le discussioni sui “massimi sistemi” e di scendere sul terreno della concretezza.
La cultura è sì, costruttrice e corroboratrice di ideali, valori e principi, ma per farsi mallevadrice, ispiratrice e, soprattutto, stimolatrice di passioni civili, deve essere capace di dare alla gente risposte concrete, sulle quali essa possa confrontarsi.
E queste, certo, la cultura può darle, ma, per realizzarle, non può fare a meno di accompagnarsi ad una politica rinnovata e più attenta al “bene comune”.
In un momento di difficoltà, quale quello che il Paese - dalle Alpi al Capo Passero ed oltre, considerando che oggi - “purtroppo”, per noi - siamo in Europa ed anche questa sta paurosamente vacillando, sotto i colpi della speculazione finanziaria e degli errori della sua classe politico-dirigente - si trova ad attraversare, dire agli italiani che la politica deve riprendere il controllo sull’economia; che i tecnici sono utili, ma non indispensabili e devono rispondere di quello che fanno e di come lo fanno; che l’uomo con le proprie esigenze deve tornare al centro degli interessi generali di chi governa; che l’euro va cambiato perché non aiuta, anzi, affossa, è “cosa buona e giusta”.
Di più necessaria, ma non basta. Specie dopo il fallimento di questi venti anni, durante i quali anche quella destra nella quale ci siamo riconosciuti per tanto tempo, dopo essere andata al governo, ha cambiato pelle, trasformandosi in tutt’altra cosa ed ha fallito.
Se davvero si vuole che questo progetto, arrivi in porto con successo, bisogna essere anche capaci di dire: come salvare la politica da certi politici-mercanti che ne hanno occupato il tempio; come traghettare il Paese al di là del mare della crisi nel quale rischiamo di annegare tutti; cosa bisogna fare per aiutare il Sud ad uscire dall’area del sottosviluppo; come ridare sprint ad un’Italia che - pur essendo tuttora, nonostante le sue criticità, uno dei principali Paesi industrializzati dell’Occidente - è nei bassifondi di tutte le classifiche della competitività internazionale; come far ripartire il mercato del lavoro, rilanciare l’occupazione ed, in particolare, quella giovanile; come combattere l’evasione fiscale, arrivata ormai al 55 per cento, senza opprimere il cittadino e se, infine, visti i sacrifici cui ci sta costringendo, riducendoci tutti più poveri e, con l’ultima approvazione del “fiscal compact” (pareggio del bilancio e riduzione del debito al 60% del Pil) e dell’Esm (“meccanismo europeo di stabilità”) anche meno liberi di decidere sul nostro destino, non sia il caso di abbandonare l’euro al proprio destino.
Che, poi, queste risposte arrivino attraverso la costituzione di una fondazione, casa madre di tutte le destre, un movimento con tratti politici o in ultima analisi, come qualcuno ha proposto, nell’austerità conventuale, con la nascita di un partito, poco importa. Ciò che conta è: la concretezza delle proposte e la loro realizzabilità. Altrimenti, anziché arrivare ad Itaca e ripartire, si finirà definitivamente naufraghi sull’isola che non c’è.
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