Fini, il liquidatore
LA CRISI DELLA DESTRA
di ADALBERTO BALDONI
Non sono d’accordo con chi afferma che la destra avrebbe
subito un colpo mortale da parte di Silvio Berlusconi, con la decimazione dalle
liste elettorali degli ex esponenti (a livello centrale e periferico) di
Alleanza nazionale. Si è parlato di una “mattanza a Palazzo Grazioli”, di una
“pulizia etnica”, di una vendetta personale del Cavaliere nei confronti di chi
- nel corso di questi ultimi anni- gli
ha messo i bastoni fra le ruote minacciando di volta in volta di togliere la
fiducia al suo governo, boicottando i
provvedimenti da lui sollecitati sia alla Camera e che al Senato.
La crisi della destra, quella per intenderci che aveva
continuato il percorso del Msi e poi di Alleanza nazionale, inizia nel marzo
2009 quando il III ed ultimo congresso di An sancisce lo scioglimento del
partito per confluire in un nuovo soggetto politico, il Popolo della libertà che
raccoglie anche Forza Italia (sciolta nel novembre del 2008). Del resto la
sigla del Pdl era già conosciuta, essendo stata costituita come federazione di
partiti politici il 27 febbraio 2008
in vista delle imminenti elezioni politiche di aprile
dove An e Forza Italia avevano fatto parte di una lista unica, che aveva raggiunto
il 37,4 % dei voti e conquistato la maggioranza assoluta nel Paese.
In questo caso, Gianfranco Fini, accettando il cartello
elettorale con Forza Italia, aveva evitato di farsi contare, preoccupato della
fuoriuscita dal partito di elementi come Francesco Storace che aveva fondato La
Destra con Teodoro Buontempo e Daniela Santachè; nonché di Nello Musumeci che
aveva dato vita ad Alleanza Siciliana per entrare poi ne La Destra (nelle
elezioni del 2008, supereranno il 2% dei voti) ed altri (nel Trentino Alto
Adige fuoriusciti da An avevano costituito Unitalia) mentre in Toscana un
consigliere regionale aveva aderito alla Lega.
Un grave errore la fusione con Forza Italia.
Sarebbe stato più saggio però, dopo il trionfo elettorale, che Alleanza
nazionale avesse continuato a mantenere la propria autonomia, facendo parte
della Federazione dei partiti di centrodestra. (Su 141 seggi al Senato, 47
erano di An mentre alla Camera, su 272 seggi ben 83 appartenevano a An).
Fini ed i suoi colonnelli, liquidando Alleanza nazionale,
hanno forse peccato di presunzione, ritenendo che l’avrebbero fatta da padroni
anche nel nuovo soggetto politico, ideato e coccolato dal Cavaliere. Fini già
pregustava il momento in cui uno stanco Berlusconi lo avrebbe investito come
suo successore.
Sarebbe divenuto leader di un partito che contava quasi 14
milioni di consensi (tanti i voti raccolti nelle politiche del 2008).
Incredibile! D’altro canto, senza alcuno sforzo, non aveva ereditato nel 1987
da Giorgio Almirante, il Movimento
sociale italiano?
I primi affondi del cofondatore del Pdl contro il governo di centrodestra.
Due anni dopo, Fini incomincia a spazientirsi. Il Cavaliere non dà segni di
stanchezza e non molla la leadership del Pdl. La poltrona della Camera, di cui
è presidente, gli va stretta.
Il cofondatore del Pdl, sfruttando la sua posizione, accusa
il governo Berlusconi di fare un abuso di decreti-legge e voto di fiducia. I
giornali della sinistra danno ampio spazio alle sortite di Fini.
Il 15 aprile 2010 Fini critica il Cavaliere perché troppo
influenzato dalla Lega Nord. Nella direzione nazionale del Pdl, la prima dalla
sua costituzione, Berlusconi chiede a Fini di lasciare l’incarico di presidente
della Camera, se ha intenzione di tornare a fare politica all’interno del
partito. La risposta è una vera e propria provocazione: “ Altrimenti che fai?
Mi cacci?”.
Gli amici di Fini, a questo punto, contravvenendo ad una
risoluzione della direzione nazionale, costituiscono un corrente interna,
denominata “Generazione Italia”, il cui obiettivo sarebbe quello di plasmare un
centrodestra non conservatore, moderno, progressista e laico, avvalendosi della
collaborazione di leader quali David Cameron, Nicolas Sarkozy e José Maria Aznar.
Lo strappo è consumato. Ora Fini può incominciare a lavorare
per fare cadere il governo.
La nascita di Futuro e Libertà. Il 30 luglio dello stesso anno, 33
deputati inviano una lettera di dimissioni al capogruppo del Pdl, Fabrizio
Cicchitto e costituiscono un gruppo parlamentare denominato Futuro e Libertà
(presidente Italo Bocchino). Il 2 agosto nasce il gruppo anche al Senato,
formato da dieci parlamentari, guidato da Pasquale Viespoli. Coordinatore dei
gruppi parlamentari, Silvano Moffa.
Il 29 settembre, il presidente della Camera, annuncia che
Futuro e Libertà è diventato un vero e proprio partito, il cui coordinamento viene
assunto da Adolfo Urso (Sarà poi un’assemblea costituente, Milano 13 febbraio
2011, presieduta da Andrea Ronchi, ad assegnare gli incarichi).
La resa dei conti di Fini con Berlusconi avviene il 14
dicembre, quando vengono votate mozioni di sfiducia verso il governo nei due
rami del Parlamento. La sera precedente il primo ha radunato i suoi nella sede
di Fare Futuro, spronandoli al massimo impegno: “ Nessuno deve fare un passo
indietro. Ci giochiamo tutto, la nostra storia, la mia e la vostra, il percorso
che abbiamo condiviso in questi mesi. Se non ci sono ripensamenti, il governo
va sotto”.
La vera partita si gioca a Montecitorio, dove Fini è
convinto di disarcionare dal cavallo Berlusconi e di erigersi a liberatore
dell’odiato caimano, colpevole di non avergli lasciato le chiavi della casa
comune, il Popolo della Libertà.
Il fallimento dell’ imboscata al
governo. Come previsto a Palazzo Madama, il Cavaliere incassa
tranquillamente la fiducia della maggioranza (i futuristi, un’esigua pattuglia
di 10 furbetti si astengono, in attesa degli eventi) mentre a Montecitorio
riesce a prevalere solo per tre voti, evitando il trappolone teso da Fini.
All’ultimo momento alcuni come Moffa, Maria Grazia
Siliquini, Catia Polidori ci ripensano e decidono di non votare contro il
governo perché non intendono uscire dal centrodestra. Anche al Senato il gruppo
si spacca: Viespoli e altri sei danno vita al gruppo di Coesione Nazionale.
La manovra dell ‘ “Altrimenti che fai? Mi cacci?”, è
miseramente fallita. Inizia l’inesorabile declino di un leader e dei suoi
seguaci, litigiosi, isterici, settari, in permanente confusione ideologica, chi
attratto dalla sinistra anche estrema chi dai conservatori più retrivi. Alle prime
elezioni del maggio 2011, a cui partecipano con
la nuova sigla, si attestano sull’1 per cento.
E’ stato detto che
Fini ha prima liquidato il Msi con il pretesto di porre fine alla stagione del
postfascismo, dando vita ad Alleanza nazionale. Quindi ha regalato An a Silvio
Berlusconi nella speranza di riprendersela con gli interessi. Quando si è
accorto che le sue ambizioni smodate non approdavano ad alcun risultato
positivo, ha tentato persino di affondare il Pdl.
Fini come Badoglio. Alleanza nazionale,
era un grande partito che, da Fiuggi in poi aveva ottenuto la fiducia degli
italiani, testimoniata dai consensi elettorali. Era un partito che oscillava
attorno al 12-15 % dei voti. Un dato significativo. Alle elezioni della Camera
nell’aprile 1996, An aveva ottenuto 5.870.491 voti, pari al 15,66 %.
Percentuale che, anche negli anni seguenti, non si è mai discostata da queste
cifre (Esempi recenti. Alle elezioni europee del 2004, An arriva al 14,6%
mentre a quelle politiche dell’aprile
2006, alla Camera conquista 4.707.126 voti, con una percentuale del 12,34 %).
Ebbene Fini non soltanto é stato capace di sperperare questo
enorme patrimonio di consensi elettorali, ma pure di sgretolare una comunità
umana che tutti ci invidiavano, legata al territorio e alle tradizioni
popolari, con una sua spiccata identità, portatrice di ideali e di valori
spirituali, depositaria di una memoria storica ineguagliabile.
Alla conferenza programmatica di Verona tenuta a Verona nel 1998,
battezzata la “Fiuggi 2” ,
con la solita aria dottorale, circa l’identità e la memoria storica, Fini disse
che “Alleanza nazionale ha un’anima che è costituita anche dalla memoria perché
non si devono fare confusioni: il passato deve passare ed è passato, ma la
memoria no. La memoria accompagna un individuo dal primo all’ultimo alito di
vita. Quando un popolo cancella la sua memoria rischia di perdersi o di
rivivere i suoi momenti più bui... E proprio alla memoria fanno riferimento
coloro che chiedono di non dimenticare”.
Parole, come hanno dimostrato i fatti, che erano dettate dal
momento, per fare presa sull’assemblea, per strappare applausi, per fare presa
sui sentimenti dei militanti.
La “memoria storica”, infatti, è stata più volte calpestata,
anzi rigettata, disconosciuta.
Fini è capace, infatti, nell’arco di una giornata di
sostenere nella mattinata una tesi e nella serata di sciorinarne un’altra
diversa, con estrema disinvoltura.
Ai funerali di Pino Rauti, centinaia di persone, appena
hanno intravisto Fini avviarsi verso la
Chiesa, hanno iniziato ad inveire contro di lui, scandendo: “Badoglio,
Badoglio, Badoglio”. Il maresciallo Pietro Badoglio, simbolo del tradimento,
dell’8 settembre, della resa ai nemici della Patria.
Chissà se in quell’istante, Fini avrà ricordato i tumultuosi
momenti del congresso missino di Rimini nel gennaio 1990, quando cambiò la
geografia interna al partito e prevalse la linea nazional popolare di Rauti,
uno dei suoi storici avversari interni. La sorprendente vittoria di
quest’ultimo, fu favorita dal “tradimento” di Franco Maria Servello, Adriana
Poli Bortone, e Raffaele Valensise che, con le loro componenti, gli voltarono
le spalle all’ultimo momento. Ebbene mentre Servello parlava, Fini aizzò i suoi
che accompagnarono le parole dell’oratore con quell’ingiurioso “Badoglio,
Badoglio, Badoglio”…
Come può sentirsi un personaggio come Gianfranco Fini nelle
vesti di Pietro Badoglio?
Non posso aggiungere altro. E' assai difficile ricominciare ma è necessario farlo attraverso il Nuovo soggetto politico: Fratelli d'Italia - A.N.
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