martedì 11 dicembre 2012

"Romualdi e l'Aristocrazia dello Spirito".

"Romualdi e l'Aristocrazia dello Spirito" di Mario M. Merlino. Adriano Romualdi scelse tre pensatori per rappresentare il mondo d’appartenenza a cui una Destra autentica avrebbe dovuto fare riferimento. Evola Platone Nietzsche. Di Evola sappiamo il profondo legame che li univa. Non è casuale che fosse l’unico a cui il Barone desse del ‘tu’ e, forse, non è casuale che la sua morte avvenisse ad un anno da quella di Adriano. Ricordo una conversazione telefonica, l’argomento era Carlo Michelstaedter oggetto della mia tesi, e di una voce stanca, quasi spenta, breve e con pause affannate, pochi mesi prima della sua morte e del suo corpo, ormai poca cenere, sparso sul ghiacciaio del Monte Rosa. Evola che era stato al margine del Regime fascista, da alcuni esponenti osteggiato e minacciato, sebbene Mussolini apprezzasse i suoi scritti sulla razza, che lo storico Renzo De Felice riconosce fra i pochi di spessore e dignità. E, va ricordato, come fosse fra i primi ad accogliere il Duce al suo arrivo a Monaco, dopo la liberazione dal Gran Sasso. Julius Evola diviene un punto di riferimento, in contrasto ad esempio con i seguaci ed estimatori del pensiero di Giovanni Gentile, con tutti coloro che, difendendo la validità dei Patti Lateranensi, si riconoscevano nel cristianesimo e nel trinomio dio-patria-famiglia. E lo diviene nel dopoguerra, ormai lesa la spina dorsale, nel suo appartamento di Corso Vittorio. A lui si rifaranno i giovani dei F.A.R. portati alla sbarra in uno dei primi processi al neofascismo. Poi i cosiddetti ‘figli del Sole’. Insomma una figura al confine dell’eresia o, se si preferisce, ben poco allineato con la storia gli uomini le idee che avevano caratterizzato il Fascismo. Alla ricerca, dopo la sconfitta – e, purtroppo, di sconfitta, il 25 luglio e l’8 settembre, indecente e servile, duole riconoscerlo – di figure che potessero, nella loro sostanziale estraneità, sostituire una paternità sovente indifendibile. E i cui eredi ufficiali reagivano alla presenza di Julius Evola, che consideravano una sorta di intrusione a cui dovevano piegarsi, con critica riflessione, dialettica approfondita, argomentazione di spessore e contenuti… insomma a diffondere la diceria che portasse jella! Una delle prime volte che ebbi occasione di soffermarmi a parlare con Adriano fu all’Università La Sapienza. Ero da poco iscritto alla facoltà di filosofia che, in quegli anni e ancora per diversi a venire, avrebbe coabitato all’ultimo piano di Lettere. Egli mi espresse l’intenzione di arrivare ad una pubblicazione su Platone, a cui stava già lavorando, e mi chiese se volevo dargli una mano. Non certo perché ne avesse realmente bisogno, ma perché egli credeva fermamente ad un’idea di militanza che avesse forti basi di formazione culturale. Proprio nello studio sul filosofo greco avrebbe ricordato come egli si ispirasse alla visione aristocratico-guerriera di Sparta, nobilitata da un forte accento culturale. L’ideale della kalos-kai-agathia, l’armonia delle forme con un animo retto, quale premessa di quella Res-pubblica governata dai filosofi. Un Platone politico ed educatore ( sinonimi se si vuole guardare in grande!) più che filosofo della dialettica, delle idee. E, qui, interveniva con l’influenza che Platone aveva esercitato su pensatori nazional-socialisti, tanto da essere considerato una sorta di ‘padre’ del mondo e della vita, con gli studi del Dumézil sulle religioni comparate e in particolar modo con il rapporto esistente ordine del mondo = ordine castale. Perché, per Adriano, attraverso il Fascismo, quale fenomeno europeo e, quindi, capace di accogliere la storia fin dai suoi esordi, bisognava arrivare al Nazional-socialismo, luogo di quel Nuovo Ordine incarnato dalle Waffen-SS (si metta a confronto il medesimo sentire di Leon Dégrelle) e il mito che andava proposto della battaglia di Berlino, dove un pugno di francesi scandinavi spagnoli giovani della Hitlerjugend s’erano battuti fra le rovine della capitale del Reich. La finis Europae paragonata al solstizio d’inverno, Juppiter Sol Invictis, dove la coltre mefitica stesa sul nostro continente si sarebbe un giorno dissolta per rinnovare la storia e la cultura che il destino ci ha attribuito. Infine Nietzsche. Il Nietzsche della grande politica, dell’aristocrazia dello spirito, dei barbari dall’alto, della bionda bestia da rapina, di un ordine modello monastico-guerriero, libero dai bisogni materiali e detentore del potere… Anche qui accogliendo l’interpretazione che ne aveva dato, per primo, il filosofo Alfred Baeumler. Il Nietzsche che reagisce alla mitologia egalitaria, democratica socialista cristiana. Il Nietzsche che rivive in Hitler a cui la sorella del filosofo aveva dato in dono il bastone da passeggio. Insomma un Nietzsche antidoto, farmaco alla malattia in cui è sprofondato l’uomo europeo. Tre pensatori, che furono e sono ‘inattuali’, nell’ampia definizione dello stesso Nietzsche. Un Evola ormai abbandonato da una destra (Romualdi la scriveva con la maiuscola, si badi bene!) che ha trasformato la Tradizione nelle feste patronali ove ciò che conta è lucrare, con palestrati in armature di latta da antichi soldati romani, con la bava alla bocca dietro i modelli consumistici borghesi liberal-capitalisti, da fanciulle che riconoscono la loro femminilità solo dalle tette rifatte i culi rassodati i labbroni a forma di cuore… Platone, che avrebbe voluto reagire alla decadenza della città-stato cambiare l’animo dei tiranni e che si salvò a stento da Siracusa e che ebbe la fortuna di morire prima che il suo discepolo Aristotele lo insultasse aprendo una scuola con i soldi dei macedoni, i nuovi dominatori. Solo Nietzsche s’è salvato. Già, ma quale Nietzsche? Un pensatore da lettino di psichiatra capace di lenire le ondate ormonali di adolescenti con brufoli e complessi edipici… E lo stesso Adriano… Con De Felice un Fascismo contenitore vuoto ove Mussolini ne fa l’uso personale e spregiudicato e che altro è – un altro irriducibilmente estraneo e conflittuale – con il Nazismo. In quel fosso della via Aurelia, con il cambio conficcato nel costato il sangue che stilla e porta via con sé l’esistenza minuto dopo minuto ora dopo ora cosa avrà pensato? Forse all’ultima pagina di Gilles di quel Drieu la Rochelle che egli amava… Gli dei che muoiono, gli dei che risorgono. Nietzsche affermava che il sangue non è necessariamente un buon testimone. Vero. Eppure, a volte, è migliore dell’inchiostro. http://www.ereticamente.net/2012/12/romualdi-e-laristocrazia-dello-spirito.html#more

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