Il vampiro Monti servo dell'usura internazionale.

Lo Sceriffo sprezzante con il gregge dei sudditi "Abbiamo fatto cose molto sgradevoli e spiacevoli, sia per chi le ha subite che per chi le ha fatte. Eppure la percezione del popolo di questo maledetto governo non é rosea, ma il livello di gradimento è molto più elevato di quello dei partiti". Lo ha detto il premier Mario Monti ad un convengo del World Economic Forum. C'è un messaggio "importante per i politici che governeranno il paese: non crediate che non potete fare le politiche giuste (cosa vuol dire usando questa parola?) perché altrimenti perdereste consensi". Derubare produttori, consumatori e salariati per foraggiare i banchieri
«Strano che questi tecnici commettano tanti errori tecnici», ironizzava sere fa Tremonti in non so quale talk show. Effettivamente. La legge Fornero, che a dire della tecnica si proponeva di aumentare la «flessibilità in entrata» nel mondo del lavoro e creare tanti «posti fissi», sta producendo rigidità in uscita, ossia licenziamenti di gente con i contratti a tempo determinato. Gli esodati senza salario né pensione sono un effetto collaterale di un altro errore tecnico dei tecnici. E il decreto anti-corruzione? Annunciato con la consueta grancassa mediatica: «Via i condannati dal parlamento» (aspetta e spera i tre gradi di giudizio), invece rende impossibile perseguire la corruzione: per dirne una sola, mette infatti sullo stesso piano penale il pubblico funzionario che esige denaro, e il privato che è costretto a darglielo, in modo da esser sicuri che il ricattato privato non denuncerà mai il corrotto, perché finirebbe in galera con lui. Tutta questa grande riforma è definita «un passo indietro» dal Consiglio Superiore della Magistratura. Un passo indietro persino rispetto alle leggi e leggine che Berlusconi ha fatto approvare per salvarsi dai processi, come l’accorciamento assurdo della prescrizione. Anche questa, non sanata dalla «riforma» montiana. (Il Csm boccia il ddl anticorruzione. "Un passo indietro incoerente") Monti, arrogante, ha risposto alle critiche con alterigia: i passati governi e le maggioranze di prima non hanno mai varato una legge anti-corruzione. È vero, ma è meglio nessuna legge piuttosto che una finta-riforma che non riforma, perché illude che esistano norme anti-corruzione mentre «fanno girare il sistema a vuoto» (Davigo). E di finte riforme, il governo dei tecnici ne ha fatto ormai non so quante. Bravissimi negli annunci, poi partoriscono topolini. E mostriciattoli informi. La legislazione dei tecnici è teratologica. Ma passiamo ai soldi (nostri) che sono quelli che contano. I ladri di Stato, i Lusi, i Fiorito, il siculo Lombardo, il Daccò, la Polverini, Penati sprecano o rubano milioni. I tecnici dilapidano miliardi. Tre soli esempi. Monte dei Paschi: 3,9 miliardi. Ha fatto un certo effetto la notizia, il 18 ottobre, che Moody’s ha declassato i titoli di Monte dei Paschi a «spazzatura». Il che è naturale, essendo la Montepaschi fallita per la gestione dei suoi caporioni, tutti comunisti di ferro (oggi PD); basta ricordare che nel 2007 questi fecero comprare a Montepaschi una banchetta del Nord-Est, l’Antonveneta, per 9 miliardi – mentre ne valeva 2, suscitando i peggiori sospetti, fra cui quello di costituzione di fondi neri è il minore (è scomparso un miliardino). Il bello è che pochi mesi prima, il governo Monti e i suoi tecnici hanno regalato complessivamente 3,9 miliardi (diconsi miliardi, mica milioni) di soldi nostri, facendo comprare al Tesoro i titoli della Montepaschi – titoli oggi spazzatura. Il valore della banca è oggi 2,96. Un pessimo affare per il Tesoro, cioè per noi contribuenti. Aiuti di Stato a cui, pare, non sempre i liberisti bocconiani sono contrari (e la UE non si lamenta: al timone c’è il Commissario Monti, uno dei loro), quando si tratta di fare favori ai comunisti, da Bersani in giù. E c’è una commovente solidarietà fra banchieri: il colpevole del fallimento, Giuseppe Mussari, ex PCI, amministratore delegato di Montepaschi all’epoca – che dovrebbe essere in galera – è oggi elevato a presidente dell’ABI, la confindustria delle banche. C’entra anche che uno dei capintesta della banca, Alessandro Profumo, è il fratello del ministro della Istruzione? E che nella vicenda sono «persone informate sui fatti» Vittorio Grilli, attuale ministro dell’Economia e al tempo direttore generale del Tesoro, nonché Anna Maria Tarantola, allora altissima funzionaria di Bankitalia, e oggi messa da Monti a dirigere la RAI? Chissà. Intanto, cominciano i licenziamenti, ma non dei top manager. Il sindacato (rosso) della rossa banca di Siena lamenta: «Si salvano figure dal costo elevatissimo che non hanno dimostrato nel tempo alcuna capacità professionale». Sembra quasi che i tecnici, andati al governo, stiano spendendo un sacco di soldi nostri per coprire le magagne e i danni di altri tecnici (o di loro stessi) provocati – a voler essere ingenui – dalla loro sesquipedale incompetenza. O è disonestà? A voi la scelta. A Morgan Stanley 2,6 miliardi. Infatti è in gran segreto che a marzo il Tesoro, per chiudere un contratto-derivati, paga quatto quatto 2,567 miliardi (non milioni: miliardi) alla banca d’Affari Morgan Stanley. Siccome la notizia salta fuori comunque dagli USA, il governo impapocchia qualcosa di simile a una risposta. Secondo la versione più sommariamente difensiva, il Tesoro, nel 1994, avrebbe comprato uno «swap» (derivato) dalla banca d’affari americana in modo da garantirsi contro rialzi dei tassi d’interesse da pagare sui nostri titoli pubblici. I tassi allora calavano – erano i tempi di Ciampi e Dini – sicché a guadagnarci era Morgan Stanley e a perderci, noi. Quando i tassi hanno cominciato a salire, Morgan Stanley, che avrebbe cominciato a perdere, ha rotto il contratto. Invocando una clausola di «termination» che vi aveva fatto inserire. Ma non la contano giusta. Tanto per cominciare, nessun contratto del genere comporta una simile clausola. Chi l’ha firmato a nome dell’Italia s’è fatto infinocchiare di brutto dai bankster americani. E chi era nel ‘94 il direttore del Tesoro che firmò? Tenetevi forte: è il più eccelso dei tecnici, il tecnico dei tecnici, l’indiscutibile super-tecnico che tutto il mondo c’invidia: Mario Draghi. Poi passato a Goldman Sachs, ed oggi a capo supremo della BCE. Del resto, sapete chi è il caporione in Italia di Morgan Stanley, a cui i tecnici hanno pagato 2,6 miliardi (ossia metà dell’aumento dell’IVA da loro deciso)? E’ Domenico Siniscalco, ex direttore generale del Tesoro. Gli esperti di eufemismi parlerebbero di «conflitto di interessi». Nella farsa italiota, diciamo che questa è gente che fa le due parti in commedia. Prima fa uno swap come altissimo funzionario dello Stato, e poi si fa pagare come Goldman Sachs o come Morgan Stanley. La manina di Draghi in questa enorme perdita per noi suscita i peggiori sospetti; dopotutto, si sospetta sia stato Draghi – allora con il cappello Goldman Sachs – ad insegnare ai greci come truccare i bilanci. Vittorio Grilli, sempre lui, nella sua altezzosa e laconica risposta sul pasticcio, ha detto: «Abbiamo ripagato un debito». Ma allora fra Italia e Morgan Stanley esisteva un rapporto da debitore e creditore? I contratti di swap «normali» non costituiscono un rapporto del genere fra le due parti. Ma esisteva nel contratto fra Goldman Sachs e il governo greco, questo debitore, e la banca creditrice... E come mai è stato l’unico caso di contratto derivato nella storia con inserita una clausola di rescissione, dando a Morgan la possibilità di sfilarsi appena cominciava a perdere? Chi ha fatto una simile coglionata? Ed è poi una coglionata, o un papocchio tra amiconi Funzionari-Banchieri o viceversa per dividersi il denaro di noi contribuenti? (Può essere solo una coincidenza: un figlio di Monti, bocconiano, è vicepresidente di Morgan Stanley). Silenzio dei media, sempre discreti in questi casi. E grande riservatezza della magistratura: niente intercettazioni ai Tecnici. Sono i Venerandi, gli Indiscutibili. (Monti regala 2,5 miliardi alla Morgan Stanley...?!?) A MES e EFSF, 27 miliardi. Notoriamente, da quando Monti e i tecnici – fra gli applausi generali – hanno preso il timone dello Stato, il debito pubblico non è diminuito. È aumentato di 70 miliardi. Nonostante la torchia fiscale intollerabile, nonostante le austerità e i tagli che hanno portato alla recessione (PIL -3%). Ma naturalmente lo spread è ultimamente calato! Bravi, bene! Sotto i 500 punti! Meravigliosi tecnici! Basta dimenticare che dal 2008 al maggio 2011, ossia fino a quando Berlusconi non ha esautorato di fatto Tremonti (annunciando all’Europa che lui in persona assumeva la «cabina di regia» della crisi), lo spread è stato sui 113 punti, e senza gli «aiutini» della BCE (Draghi). Ma torniamo a bomba. Il debito pubblico italiano è aumentato, dicevamo, di 70 miliardi. I tecnici hanno tecnicamente ignorato che le Regioni sono secchi sfondati da cui il denaro dei contribuenti si perde a vagonate; anzi hanno dato un altro miliardo alla Sicilia, a piè di lista. Di quei 70, non tutti sono dovuti alle follie regionali non represse e alle maggiori spese d’interessi da corrispondere sui BOT e BTP, ogni volta che una emissione vecchia viene a scadenza e deve essere sostituita da una emissione nuova, ovviamente con interessi più cari perché «i mercati» altrimenti non ci prestano. Questo scarto, pare, è sui 6 miliardi: un quarto di finanziaria viene volatilizzato così. Di qui altre tasse, altre stangate, altre finanziarie mascherate da «vi abbiamo calato l’IRPEF» (e aumentato l’IVA), e via truffando. La voce più grossa, in questi 70 miliardi di troppo, sono i 27 miliardi (quasi la metà) che l’Italia deve conferire, come quota di partecipazione, al cosiddetto Fondo Salva-Stati (EFSF) e al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Tutto naturale, diranno i fan dell’Europa Federale; Germania e Francia contribuiscono anche di più. Già, tutto europeisticamente giusto. A patto di dimenticare che l’Italia già sborsa 90 miliardi annui solo per pagare gli interessi sul debito pubblico. E che per trovare quei 27 miliardi – una finanziaria – da conferire ai Fondi Salva-Banche (pardon: Salva-Stati), l’Italia li deve chiedere in prestito. Sicché accade questo: che l’Italia dei tecnici prende a prestito, indebitandosi sempre di più, per riempire dei Fondi che, in caso di crisi, la «aiuteranno» dandole in prestito i capitali. Praticamente i nostri stessi soldi ci verranno restituiti, ma come debito aggiuntivo. Su cui dovremo pagare gli interessi. Questa è la logica eurocratica. Questa è la logica e l’ideologia dei Tecnici. Che è la logica dei banchieri: indebitarci sempre più. Una logica che si traduce sempre, come per caso, in trasferimenti dal basso verso l’alto, dai cittadini-contribuenti alle banche nazionali e internazionali. Basta dire che dei 90 miliardi che ci vengono estorti ogni anno per pagare i soli interessi sul debito (che non viene estinto nemmeno di un euro), solo pochissimo torna ai risparmiatori italiani: essi detengono ormai solo il 14% in titoli pubblici, mentre il resto è detenuto da banche estere (il 32%) e dalle banche nazionali, così ben rappresentate nel governo dei tecnici. Ciò significa che i soldi non tornano nelle mani dei privati che potrebbero investirli nell’economia reale locale, bensì nelle mani di banchieri che li usano per le loro speculazioni. Di qui la proposta di Tremonti di comprare il debito pubblico in mano a stranieri, invogliando gli italiani a tornare ai BOT sancendo l’esenzione fiscale totale dei titoli di Stato. Ciò metterebbe il debito pubblico al riparo delle paturnie dei «mercati» ossia della speculazione estera. La cifra è sugli 800 miliardi. Gli italiani ce li hanno? Sì, ce li hanno ancora. E almeno 500 miliardi dei loro risparmi li hanno investiti all’estero, non trovando in Italia buoni impieghi; e non parliamo della fuga occulta di capitali, incalcolabile. Assurdamente, «l’Italia importa debito mentre esporta risparmi», come dice Tremonti. Ma non fate quel nome. Non è un tecnico. E non affrontiamo la questione del Fiscal Compact, ossia della regola imposta dalla Germania e dall’eurocrazia di ridurre il nostro debito dal 120 al 60% del PIL, entusiasticamente accettata dai Tecnici, e inserita nella costituzione dai partiti-traditori: il che li renderà «legalmente» autorizzati a tagliare 45 miliardi l’anno per vent’anni. In realtà, a tassarci e ridurci i servizi per spuntare quella cifra (a tagliare le spese inutili, i tecnici non sono capaci). Si tratta dello strangolamento e dissanguamento totale dell’economia italiana, e di qualunque minimo sogno di ripresa economica. (Rimando per questo all’ottimo blog: Fiscal Compact, il pareggio di bilancio in costituzione è una lucida follia tecnocratica) Questi tecnici spendono, e promettono di spendere, decine, trentine o cinquanta miliardi per volta: Fiorito e la Polverini, Lombardo il siculo e Penati, gli sprechi delle caste e i deputati più pagati del mondo, sono al confronto bruscolini. I sondaggi danno Grillo al 21%. E sia, non potrà far peggio dei Tecnici.

LA DESTRA Novara.

Dopo la visita a settembre del segretario nazionale Francesco Storace, “La Destra” novarese ha rilanciato sabato 27 ottobre con un’altra uscita pubblica (da segnalare la buona partecipazione della cittadinanza), stavolta con l’ospite illustre Adriano Tilgher già leader del Fronte Nazionale, oggi dirigente nazionale de La Destra, ringraziato dal segretario provinciale di Gioventù Italiana Ivan De Grandis che lo ha definito “la storia della Destra Italiana che cammina nel partito“. Hanno preso subito parola gli esponenti di Gioventù Italiana. Prima il neo-responsabile culturale del movimento giovanile, Valerio Zinetti ha dichiarato: “Oggi questo convegno cade vicino al novantesimo anniversario della Marcia su Roma: il 28 ottobre 1922 Mussolini diede vita ad un Regime che mise il Lavoro in tutte le sue forme al centro della propria azione politica. Superando la lotta di classe in nome della collaborazione tra ceti produttivi in funzione dell’interesse nazionale, il Regime Fascista intraprese politiche di industrializzazione dell’Italia e di difesa dei ceti popolari. L’esatto contrario della dittatura delle banche di Monti, che sta ucidendo l’industria italiana e affamando il popolo italiano”. “L’attualità della Rivoluzione di Mussolini – ha concluso Zinetti – rimane per noi il faro della nostra azione politica” Poi il Segretario Provinciale di Gioventù Italiana Ivan De Grandis ha voluto spiegare il titolo del convegno: “L’oro alla Patria, l’oro ai banchieri perchè L’oro alla Patria fu un contributo volontario di milioni di italiani per aiutare l’Italia a combattere un nemico comune, la Società delle Nazioni che inflisse le inique sanzioni. Fu un successo: un esempio si solidarietà nazionale che permise all’Italia di superare quell’ embargo e di rimanere protagonista in Europa e nel mondo. Oggi invece abbiamo le tasse di Monti, un freddo esecutore, il cui governo, non votato dal popolo, ha come punto principale della sua agenda l’ esproprio dei risparmi dei cittadini che va ad alimentare le già ghiotte casse delle banche. Pensiamo ai tagli fatti alla sanità ed alla scuola ed a quanti miliardi sono stati dati alle banche come Monte Paschi di Siena Morgan Stanley (la banca d’affari americana dove lavora il figlio di Monti).” Conclude De Grandis: “Non è nostalgia se difendiamo lo Stato Sociale che è stato costruito in quei vent’anni, dalle politiche scellerate di Monti che stanno affamando l’Italia. Non abbiamo il torcicollo per guardare il passato, ma abbiamo l’ambizione di ridare spinta sociale alla nazione, di difendere il nostro futuro” Il Consigliere Provinciale Alessandro Albanese ha poi lanciato l’allarme sul tema del riordino delle province: “Questo governo sta programmando l’eliminazione degli spazi di sovranità anche a livello locale… [completa tu] Il segretario regionale Giuseppe Lonero ha ribadito le parole d’ordine del partito di Storace: etica e sovranità. “Un Ministro della Destra mai si permetterebbe di dare degli schizzinosi a dei giovani laureati che non riesco a trovare una sistemazione professionale conforme alla loro formazione, come ha fatto la Fornero. Mai si permetterebbe di parlare di lotta all’evasione fiscale dal pulpito di imputato per frode fiscale, come Passera. Mai lascerebbe due soldati italiani nelle carceri stranieri in violazione del diritto internazionale senza muovere un dito, come fa il ministro degli steri Terzi. Questo governo è fatto di persone che non hanno mai dovuto fare sacrifici per guadagnare, e non sanno minimamente quali possano essere le esigenze degli italiani. Lonero ha poi ribadito la contrarietà della Destra ad una riedizione del governo Monti, definito come un governo servo del potere bancario, ponendo questo punto come condizione necessaria per qualunque coalizione” Infine il tanto atteso intervento di Tilgher ha avuto l’ovazione del pubblico: “Il nostro partito è disposto a creare un fronte comune di popolo, di persone pulite per combattere contro la classe politica corrotta asservita al sistema bancario e per riprenderci la nostra sovranità nazionale”. Il tema più caldo toccato è stato quello della sovranità monetaria: “Noi vogliamo la creazione di una banca nazionale pubblica che emetta una moneta pubblica per il consumo interno, da affiancare all’euro che potrà continuare ad essere la moneta per il commercio estero, con la condizione di un valore equivalente delle due valute: con questo sistema di doppia circolazione potremmo intraprendere una politica monetaria di investimento e soprattutto per pagare le aziende che hanno debiti con la pubblica amministrazione e permettere loro di ripartire a produrre. Ci svincoleremmo inoltre dal criminale meccanismo del signoraggio operato dalla Banca Centrale Europea, che fornisce moneta a tassi d’interessi indebitando fisiologicamente lo Stato.” Non manca una bordata contro Monti, che Tilgher definisce “il commissario liquidatore d’Italia, fisuciario della banca d’affari americana Goldman Sachs, la stessa che ha falsificato i bilanci della Grecia e che oggi mette i suoi uomini nei governi degli Stati.” Un invito a non mollare ai giovani presenti in sala: “Mai come oggi c’è bisogno della Politica, della buona politica: il nostro impegno è per i nostri figli. La politica vuol dire sognare un mondo migliore e impegnarsi per realizzarlo.”

LA DESTRA Milano.

Continua l’opera di diffusione dei contenuti del ”Manuale della sovranità” da parte de La Destra Milanese che, dopo l’elezione del nuovo segretario cittadino Massimiliano Russo ha ritrovato la forza propulsiva necessaria ad affermare la propria presenza nel capoluogo lombardo. La prima iniziativa presa da Russo è stata quella di organizzare degli incontri mensili con tesserati, simpatizzanti e comuni cittadini in cui relatori qualificati spiegano i vari punti del programma del partito. La prima riunione si è svolta il 26 settembre scorso. Davanti ad una nutrita platea, dopo essere stati presentati dal segretario provinciale Massimo Furia, hanno preso la parola, lo stesso Russo, per presentare il programma de La Destra per Milano, Salvatore Todaro, direttore del quotidiano online Milano Post, che ha svolto una relazione su sprechi e malgoverno della giunta Pisapia, einfine Christian Bertacchi, imprenditore nel campo del recupero crediti militante de La Destra, si è occupato di sviluppare il discorso sulla questione “ No Equitalia”. L’interesse dimostrato dai presenti e le molte domande poste al termine di ogni intervento hanno sancito il successo della serata. La seconda serata è stata organizzata il 25 ottobre, vi sono stati sono stati sviluppati i temi: Manuale della sovranità preferenza nazionale; Immigrazione clandestina e nomadi; Precedenza agli italiani. La presenza di pubblico è stata superiore a quella della serata precedente, ed è rilevante il fatto che si siano visti molti volti nuovi oltre a quelli di chi era già presente al primo evento. A fare gli onori di casa sempre il segretario provinciale Massimo Furia. Prima a parlare Eliana Farina, segretario regionale del partito, ha sviluppato il suo intervento spiegando le parti del programma inerenti il problema dell’immigrazione arricchendo la narrazione con episodi accaduti nella città di Legnano di cui è segretario. Dopo di lei ha preso la parola Alessandro Coppa, avvocato simpatizzante del partito che, ha tenuto una relazione sulle problematiche inerenti la presenza illegale di cittadini extracomunitari sul nostro territorio, sulle difficoltà che le forze dell’ordine incontrano nel respingerli, espellerli e nel perseguire quelli che fra essi compiono atti criminali. A seguire, quello che in altri ambiti sarebbe definito la “special guest”: Adriano Tilgher, segretario della regione Toscana e responsabile del dipartimento programma del partito. Con la sua oratoria fluida e passionale ha parlato per più di mezz’ora andando a toccare quasi tutti i punti del programma, con particolare attenzione per quelli inerenti al problema dell’immigrazione, della preferenza nazionale edell’economia. Impossibile riassumere qui quanto ha detto, per questo consigliamo a tutti di andare ad ascoltare “qui” il suo intervento. L’arduo compito di prendere la parola dopo di lui è toccato a Massimiliano Russo che, continuando a sviluppare gli stessi temi, con particolare attenzione a come dovrebbe comportarsi nella società ogni militante del partito, non ha per niente sfigurato al cospetto di chi lo ha preceduto. Tirando le somme di questi primi due eventi non si può che trarne un bilancio positivo da usare come stimolo nell’organizzazione della terza serata e per continuare a ribadire che a Milano La Destra è tornata ed intende restarci.

martedì 30 ottobre 2012

Marine Le Pen per l'Europa dei Popoli.

Discorso di Marine Le Pen il 1° Maggio Festa Dei Lavoratori 2011 «Signore, Signori, miei cari compatrioti, Mi sia permesso dirvi quanto mi tocca la vostra presenza numerosa, gioiosa e fraterna. Grazie a tutti quelli che seguono questa tradizione che ci permette di ritrovarci ogni anno per la commemorazione di quella meravigliosa ed incomparabile figura della nostra storia nazionale che è Giovanna d’Arco. Un benvenuto a tutti coloro che – e sono molto numerosi lo so – per la prima volta si uniscono a noi in questo incontro primaverile; spero abbiano colto il calore dell’amicizia che ci unisce. Un saluto amichevole a tutti i telespettatori e soprattutto ai nostri simpatizzanti che, grazie alla messa in onda di questo discorso, ci fanno l’onore di ascoltarci. Un pensiero ai nostri compatrioti d’oltremare, in particolare a quelli della Martinica, messi alla prova da gravi inondazioni; sappiano che pur lontani dai nostri occhi sono sempre vicini ai nostri cuori. Non voglio dimenticarmi, testimoniando pubblicamente la mia gratitudine, l’impegno dei volontari e quello delle amministrazioni locali e centrali che hanno garantito lo svolgersi ed il successo di questa splendida manifestazione. Infine, a nome di tutti gli aderenti al Fronte Nazionale, mi permetterete di rendere un omaggio particolare al nostro Presidente onorario, che come sempre ha mantenuto la parola ed è riuscito in condizioni difficilissime a portare a buon fine la vendita del nostro paquebot (la vecchia sede sociale del FN situata a Saint-Cloud venduta per 10 milioni di euro, ndr), risanando così le finanze del nostro movimento e permettendoci di guardare al futuro con fiducia. All’inizio di questo terzo millennio, ad un anno dalla celebrazione del sesto centenario dalla sua nascita, può sembrare anacronistico il celebrare Giovanna d’Arco. Ma questa celebrazione è – ve lo ricordo – una festa nazionale repubblicana in quanto Giovanna d’Arco è sia una santa cattolica che un’eroina nazionale. Sarebbe stato doveroso che Jean Marie Le Pen ridesse vita e vigore a questa festa nazionale. Riteniamo infatti di essere gli anelli di una catena che ci ricollega al passato per via della nostra storia, ed al futuro per la nostra volontà di crearci il destino. Quindi, lungi dal ripudiarla, noi rivendichiamo l’eredità dei nostri eroi, eroi nei quali la gloria non ha macchie da cancellare, la cui vita è fatta di purezza di sentimenti, di vittorie e di martirio. Questi esempi ci arricchiscono per quanto radicano il nostro coinvolgimento nella storia, ma che dico storia, con l’anima del nostro popolo. E dato che la storia qualche volta vuole farci delle strizzate d’occhio maliziose, noi terremo presente che il padre spirituale della piccola Giovanna di Domrémy – colui che si occupò di elevarne anima e spirito preparandola così al suo glorioso destino – si chiamava Guillaume Front. Ma cosa più importante è il messaggio che ereditiamo dalla vicenda di Giovanna, vicenda di cui voglio mostrarvi la sorprendente modernità. A parte la gloriosa parentesi dell’eroico Bertrand du Guesclin – il più francese dei Bretoni – la Francia si impantana in questa Guerra dei Cento Anni che vede il suo suolo invaso dagli inglesi ed il suo popolo, in preda alla guerra civile, dividersi in due fazioni. I Burgundi (mi dispiace per quelli di loro che ci ascoltano), favorevoli all’annessione all’Inghilterra, volevano far diventare il re d’Inghilterra il “Re di Inghilterra e di Francia”, all’epoca erano chiamati «francesi rinnegati», e oggi li si chiamerebbe collaborazionisti. I partigiani di questa doppia corona, appoggiati a livello intellettuale dalla Sorbona, suggellarono la propria resa nel trattato di Troyes con la pseudo-buona intenzione di metter fine alla Guerra dei Cento Anni e di costruire (e non è una novità ), «l’Europa della pace». Facciamo presente, dato che spesso la storia si ripete, che dopo la sconfitta nella Francia del 1940, è ancora il pacifismo, è ancora l’illusione di una pace al costo della servitù – in pratica una inquietante rinuncia – a condurre alcuni francesi ad un indegno collaborazionismo con gli invasori. Comunque, in quell’anno (1429), il partito della Francia, quello degli Armagnacs, è raccolto attorno ad un povero e pallido delfino, il piccolo re di Borges. Isolato e tradito, minato dall’indecisione ed accerchiato dalla cortigianeria più vigliacca. Malgrado la resistenza dei patrioti francesi nella zona di occupazione, malgrado il sorgere di movimenti spontanei armati di ribellione contro l’occupante, per mano di partigiani fra i quali ricordiamo Mont-Saint-Michel, Reims o Tournai in Vallonia, l’esito sembrava già scritto. La Francia era destinata a scomparire, annegata nella nuova Europa dell’epoca, come la chiamavano già a gran voce le supposte elite. Il seguito lo conosciamo. Quella giovane ragazza del popolo capace di tanto coraggio quanto di dolcezza, tanta nobiltà quanta semplicità, tanto ardore quanta modestia, tanta disinvoltura quanta pietà, riesce a dissipare con la luce della sua presenza e con l’intensità della sua fede patriottica i dubbi che tenevano imbavagliate le nostre migliori risorse. Il suo coraggio, potenziato da una santa innocenza, fa ritrovare subito, anche ai soldati più brutali, la strada della virtù ed agli alti gradi la strada del dovere e dell’onore. Ai più vili, l’onta della codardia o del tradimento. Lei, che piange davanti al sangue che scorre, dall’alto dei suoi diciotto anni brandisce lo stendardo della riconquista, libera Orléans e restaura, con l’unzione del santo di Reims, la legittimità reale. Diremo oggi: la legittimità dello Stato. Così, in un’atmosfera di sconfitta morale, di scoraggiamento, di rinuncia e di tradimento perpetrato da un’elite venduta all’occupante, questa piccola contadina che si definisce «francese per nascita e per affetto» impersona il soprassalto patriotico del popolo in un Paese in preda alla spartizione, impersona la lealtà verso questo Paese, lealtà che si oppone al tradimento perpetrato da parte delle autoproclamatesi autorità morali del tempo. In lei si incarna lo spirito che si oppone alla schiavitù, all’oppressione ed alla collaborazione con i nemici della sovranità – cosa che avrà in sé un’eco terribilmente attuale – e la sua favolosa epopea porta ugualmente in sé il marchio inequivocabile dell’aspirazione del nostro popolo a questa sovranità. Miei cari amici, che cosa è la sovranità se non la libertà dei popoli? Che cosa è la sovranità francese se non la libertà della Francia e del popolo francese? Possiamo noi rimproverarci di render gloria e di batterci per una Francia libera, per LA Francia libera? Credo di no. Certo, i trattati di Maastricht e di Schengen, come dicono i nomi stessi, non sono stati firmati a Troyes. Ma avrebbero potuto esserlo benissimo. Del resto, come non fare oggi il paragone con l’azione antirepubblicana con la quale i nostri governanti di sinistra e di destra hanno consentito la rapina e l’abbattimento della sovranità francese ai danni del nostro popolo? La sovranità è prima di tutto la libertà di determinare le proprie leggi. La sovranità è quanto dichiarato nella Costituzione della nostra Repubblica: «Il governo del popolo, esercitato dal popolo, a favore del popolo». È un fatto che non deteniamo più la matrice della nostra sovranità perché tutto quello che è il lavoro legislativo consiste ormai in una servile trascrizione delle direttive europee. Il parlamento non fa che seguire pedissequamente il cammino che gli viene indicato dal suo nuovo padrone. Dove è la democrazia quando non abbiamo più né libertà legislativa, né libertà giuridica, né libertà monetaria, né libertà di bilancio? Oggi, milioni di francesi – operai, impiegati, disoccupati, agricoltori, artigiani, commercianti e pensionati – si rivolgono a noi per dire: «Liberateci dalla schiavitù, rompete le nostre catene, liberateci!». Amici miei, la Francia deve liberarsi da una Unione Europea che non ha smesso di indebolirla e di ridurne le libertà. Le istituzioni sovranazionali che hanno fatto tanto male al mondo, la prima delle quali è il Fondo Monetario Internazionale, non detteranno più legge in Francia. L’era dei tecnocrati, dei gruppi di pressione, della potenza corruttrice, dei giudici anonimi, degli esperti venduti e dei recidivi del conflitto di interesse, quell’era avrà fine. Non c’è cessione di sovranità più pericolosa della cessione di sovranità territoriale, perché mette il Paese alla mercé degli occupanti, delle esazioni e delle invasioni. Oggi non abbiamo più il controllo delle nostre frontiere perché, dopo aver soppresso le nostre frontiere nazionali, abbiamo ceduto l’integrità territoriale francese ed europea ad un organismo europeo denominato Frontex. E siccome ho appena parlato di anonimato, faccio una domanda : I francesi sanno cosa sia il ’Frontex’? No, non lo sanno di certo. La casa è aperta e noi abbiamo dato le chiavi del giardino ad uno sconosciuto, un incapace, un assente per giunta verosimilmente desideroso di vedere altri installarsi in casa a nostra insaputa. Come Fantomas, Frontex è invisibile. Vengono distribuiti dei permessi di soggiorno provvisori che di fatto diventeranno definitivi perché immediatamente prevengono qualsiasi ritorno nel Paese d’origine. Chiunque può scomparire nel territorio europeo, facendo rotta per la Francia, la nazione più attraente di tutte per le sue politiche sociali. Questa perdita di sovranità, cioè questa perdita di libertà, non è solo a livello legislativo o territoriale. Essa infesta tutti i settori dato che la nostra classe dirigente vuole avere il potere solo per gli onori e non per gli oneri né per le responsabilità legate alle loro prerogative. Il servilismo garantisce un certo tipo di tranquillità che la libertà non permette. Il servilismo è spesso tranquillità, la libertà è sempre esigente. Che cosa non mi sono sentita dire per aver sostenuto che bisognava anticipare, e non subire, l’uscita dall’euro, l’uscita da una moneta, scusatemi… da un dogma, che porta dentro di sé troppe contraddizioni per essere fattibile e che è fallito ormai anche agli occhi dell’intero pianeta e di economisti sempre più numerosi. Di volta in volta, sono stata accusata dai sapientoni, dai professoroni della morale pubblica, dagli espertoni che si sono sempre sbagliati, sono stata accusata di debolezza, avventurismo, incoscienza nel scegliere la libertà, la libertà di avere una moneta nazionale. Forse le nostre élites sono così sovvertite, subordinate od in malafede da non poter ipotizzare quella stessa sovranità monetaria che Svizzera, Inghilterra – e con loro il 95% delle nazioni del mondo – vivono con soddisfazione? La verità è che oggi la zona euro vive completamente isolata dal mondo, discostata dalla crescita mondiale, essendosi bloccata in una politica assurda, una politica suicida. La Francia rientrerà nel novero delle nazioni grazie alla libertà monetaria! Questi bei signori, per così dire illuminati, si sono forse dimenticati che la Francia è stata definita nella sua storia la «grande nazione» e che il genio del suo popolo l’ha fatta risplendere nel mondo intero? Bisogna forse ricordare loro che durante i secoli, il nostro Paese ha gestito l’intera emissione della propria moneta nazionale con il più grande beneficio per la sua economia e la sua prosperità? Si sono forse dimenticati che alla fine della guerra, c’è stata l’indipendente determinazione del Generale de Gaulle di rifiutare di vedersi imporre una valuta USA che i liberatori americani avevano importato insieme ai loro mezzi militari? Scommetterei per certo che gli odierni euromaniaci avrebbero applaudito una tale paternalistica colonizzazione monetaria del nostro Paese. Come in campo militare, dove la Francia è stata dotata, per la propria indipendenza, dell’arma nucleare ed aveva preso le distanze dalla NATO, il rifondatore della Francia moderna ha così testimoniato in ogni momento la propria sana ed esigente determinazione all’indipendenza nazionale. La tranquillità della schiavitù la si ritrova in ogni epoca ed è giunta a noi fin dai tempi di Giovanna d’Arco. Da parte mia, traggo inspirazione da quelli che hanno osato, perché lungi dall’aver dubbi, credo nel genio francese ed ho fiducia in una Francia legittimamente fiera di se stessa ed orientata verso il proprio futuro. Mi metto nel novero degli storici combattenti per la libertà, dei milioni di combattenti anonimi morti per essa, da Bouvines a Chemin des Dames, le battaglie del grande destino repubblicano, da Victor Schoelcher a Charles de Gaulle, le battaglie di tutti quelli che hanno difeso la libertà a dispetto delle pressioni, a dispetto degli inviti suadenti a rinunciare! Credo nella predisposizione del nostro popolo, nella nostra capacità collettiva di farsi carico del proprio destino e, ad un livello più ampio, nella vocazione dei popoli – di tutti i popoli del mondo – di disporre di se stessi. Miei cari amici, oggi ve lo dico con un tono grave: la libertà dei popoli non è collocata nella testata di un missile NATO! Si trova nel genio nazionale, nell’educazione e nella diplomazia! Inoltre, io non vedo chi meglio di noi, che siamo il popolo francese, possa sapere cosa sia buono, utile e giusto per noi stessi. Non vedo chi ami i nostri figli più di noi, chi possa trasmettere loro con maggior premura – e senza manometterlo – lo straordinario patrimonio che abbiamo ricevuto. In una parola, non se ne abbiano a male il signor Von Rompuy od il signor Barroso, ma tocca a noi decidere di noi stessi! Ecco perché, con una tale perseveranza, il Fronte Nazionale difende da decenni un sistema elettorale totalmente proporzionale, un sistema che permetta a tutti i francesi e ad ognuno di voi, di essere ascoltato e rappresentato. È la ragione per la quale noi reclamiamo da sempre, con lo scopo di una democrazia ritrovata, una repubblica referendaria che si rivolga al popolo ogni volta che sono in gioco aspetti essenziali. Perché a differenza della sprezzante casta al potere da oltre 30 anni, io credo nell’intuizione e nell’intelligenza del popolo ed alla sua vocazione ad innalzarsi un po’ ogni giorno. Questa intelligenza, questa intuizione, questo buon senso, io li ritengo infinitamente superiori a quelli delle élites autoproclamatesi, le quali non abitano nella stessa nazione nella quale abitiamo noi! Ecco perché, quando sarò eletta, io chiederò ai francesi, per via referendaria, quale impostazione vorranno dare alla nostra politica di libertà in Europa. Un tema che non permetteremo, agli altri partiti, che sia messo a tacere. La sovranità – cioè la nostra libertà collettiva – sarà, io credo, una delle grandi scommesse delle presidenziali. Voglio ricordarvi subito i grandi insegnamenti della vicenda militare epica di Giovanna d’Arco. Questa epopea, che ha cambiato la faccia dell’Europa, Europa che per l’epoca equivaleva al mondo, fu breve: un anno. Un anno durò anche il martirio di questa giovinetta diciannovenne venduta agli inglesi, incarcerata, controllata da dei codardi, e giudicata in un processo nel quale, sola contro una muta di bestie, impressionerà ancora di più per la sua opposizione ad ogni arbitrio. Dunque, un periodo così breve, tumultuoso e di sofferenze, che precedette il terribile supplizio del rogo, è un’ode magnifica e terribile alla libertà: la libertà di un popolo in lotta per la propria sovranità, per la libertà dell’uomo contro ogni oppressione. Noi soli possiamo restituire al popolo francese la sua sovranità e quindi la sua dignità e fierezza. Noi siamo anche i difensori delle libertà pubbliche ed individuali meno visibili! Perché le nostre libertà non sono un’acquisizione certa, non basta inorgoglirsi per l’essere la patria della libertà perché ciò resti vero per l’eternità. La realtà è che la difesa della libertà è un combattimento impegnativo e quotidiano! Infatti è nel vissuto quotidiano dei francesi che le nostre libertà si sono spente, affievolite e sono state barattate dalle élites autoproclamatesi con lo scopo di consolidare il proprio potere e di difendere gli interessi personali e le proprie prebende». Marine Le Pen

Intervista ad Adriano Tilgher.

L’INTERVISTA “Ma non parliamo di politica”. Ecco Adriano Tilgher, uomo di destra, personaggio scomodo, ci dice la sua «Se un uomo vale per quanto possiede, vuol dire che siamo messi male. Se uno Stato vale per quanto fa di PIL, vuol dire che siamo messi peggio». Incontriamo Adriano Tilgher in un giorno di pioggia milanese, l’autunno è pienamente arrivato e in piazzetta San Carlo si parla di politica. «Politica? Se per politica intende l’insieme di amministratori dell’esistente che ci ritroviamo adesso, beh, parliamo d’altro…». Tilgher, uomo di destra, d’avanguardia, fuori dagli schemi, spesso scomodo, ma che ha sempre fatto notizia per le sue idee, oggi prestate a La Destra di Francesco Storace, ieri a Movimento Sociale Italiano, Fiamma Tricolore, Alessandra Mussolini. Insomma, qualcuno potrebbe accusarmi di stare intervistando un ex simpatizzante del Fascismo… «Peccato che all’esodato non gliene freghi nulla, della destra, della sinistra, delle ideologie, di tutte queste filosofie…». In effetti è vero. Però mi perdonerà se sottolineo la forte connotazione di destra della sua persona… «Credo che, oggi, la differenza tra la destra e la sinistra sia soltanto nell’opinione sui matrimoni gay, e poco altro. Credo invece che sia più importante sottolineare la differenza tra chi crede nei valori economici, e chi crede nei valori umani». Quello che Lei dice mi colpisce molto. «Se un uomo vale per quanto possiede, vuol dire che siamo messi male. Se uno Stato vale per quanto fa di PIL, vuol dire che siamo messi peggio. È questo il punto, al giorno d’oggi. Non la destra e la sinistra. Certo, essere di destra rimanda naturalmente alla Nazione – andiamo a riprendere i nostri Marò!!! – al coraggio, alla legalità, e ad altre connotazioni tipiche, mentre magari la sinistra enfatizza diversi aspetti: ma, oggigiorno, è fondamentale tornare ai valori umani e universali, molto più importanti della destra e della sinistra». Insomma il vero nemico è il liberismo economico, mi sta dicendo. «L’assolutezza delle leggi di mercato, la preponderanza di queste su ogni rapporto umano. L’altro nemico è considerare la libertà al singolare: a me piace parlare di libertà al plurale: sono sacre moltissime libertà, ma non la libertà in generale. Perché bisogna dire una buona volta che ripudiamo la libertà di ammazzare, che ripudiamo la libertà di rubare, e altre libertà che danneggiano le giuste libertà degli altri». Contro il mercato, contro la libertà al singolare: interessante quello che ci dice. Ma tornando all’esodato a cui prima faceva cenno: come li risolviamo i suoi problemi? «Innanzitutto ci tengo a dire che la rete è una cosa fondamentale. Il web dà la possibilità di diffondere le idee in maniera virale, di sventare la censura sempre imperante». Diffondendo queste idee sul web, dunque, si potrebbe creare una grande coscienza civile. Ma c’è anche una ricetta politica? «In questo momento la maggioranza politica che sostiene Monti non può, non può trovarmi d’accordo. È il trionfo del liberismo economico, è il trionfo della libertà al singolare. Forse andrebbero meglio la vera Destra e la vera Sinistra insieme: non sarebbe il trionfo dell’estremismo, ma l’emergere della concretezza, come il milazzismo siciliano di una volta (che vide insieme Partito Comunista e la destra del Movimento Sociale Italiano, N.d.R.)». La Destra dice che bisognerebbe tornare alla lira… «No, però la doppia circolazione Lira-Euro risolverebbe un mare di problemi. Sa perché c’è la crisi? Perché non c’è denaro in giro, perché c’è denaro altrove. I soldi non finiscono mai, ma si spostano: e a noi li hanno portati via. L’euro contribuisce a questo meccanismo in maniera determinante. Bisogna riportare del denaro liquido in Italia e negli altri Paesi in difficoltà. Naturalmente senza poi sperperarlo…». Adriano Tilgher, Lei sostiene queste cose da molti anni. Crede ancora che possano realizzarsi? «Non sarei qui a parlarne, se non ci credessi. Vede: spesso la soluzione riesce ad emergere quasi automaticamente, se lo sarebbe aspettato il crollo della Prima Repubblica nel ’92? Forse un giorno le ricette che le ho dato saranno messe alla prova della storia: noi dovremo farci trovare pronti, quel giorno». Quel giorno è vicino? Qualcuno ha molta speranza in Musumeci, candidato della Destra al governo della Sicilia, ma non possiamo parlarne perché siamo dentro il silenzio elettorale… «Al di là della situazione siciliana, di cui non possiamo parlare perché siamo dentro il silenzio elettorale, penso che il successo di gente nuova come Grillo, o di gente giovane come Renzi, non sia la soluzione: però, nello stesso tempo, il seguito che hanno è il sintomo del bisogno di cambiamento». La Fornero ha consigliato ai giovani di non fare gli schizzinosi. Lei, Adriano Tilgher, come saluta i nostri giovani lettori? «La Fornero ha detto loro: “non siate schizzinosi”. Io dico ai giovani: “siate incazzati, e andate a conquistare quello che meritate”». Salvatore Todaro http://www.milanopost.info/2012/10/27/ma-non-parliamo-di-politica-ecco-adriano-tilgher-uomo-di-destra-personaggio-scomodo-ci-dice-le-sue-ricette/ http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=G49D_I9vlkY

Il governo Monti svende l'Italia ai suoi sodali dell'alta finanza internazionale.

Siamo purtroppo il popolo dell'8 settembre 1943: quando il tradimento di un alleato venne chiamato armistizio, e quando chi bombardava le nostre città uccidendo civile inermi venne chiamato liberatore. Nel 2012 quello che è stato un golpe finanziario ordito dai poteri finanziari mondialisti viene chiamato governo tecnico, e un governo che ha portato l'Italia in recessione viene definito come l'esecutivo che ha salvato il paese. La macchina della propaganda che va dai Rai 3 passando per i principali quotidiani nazionali (La Stampa, Repubblica, Corriere) continua ad attribuire successi inesistente al governo Monti (insuccessi che invece sono certificati dall'ISTAT e dalle associazioni professionali). La classe politica italiana, talmente priva di idee quanto invece ghiotta di privilegi e prebende ha deciso lo scambio: il Monti-bis in cambio della loro sopravvivenza. La madre di tutte le disgrazie (Prodi, Draghi, Padoa Schioppa, Monti) cioè la banca d'affari americana Goldman Sachs ha già dato ufficialmente il suo appoggio al Partito Democratico (che ha pubblicato la notizia sul suo sito ufficiale), motivando la scelta in base alla continuità che il programma della vecchia nomeclatura del PCI avrebbe rispetto alle politiche di Monti. Infatti, Bersani e Renzi che gareggiano per le primarie si sfidano su chi è più montiano: Bersani rinvendica continuamente di essere stato lui a volere l'ex fiduciario della Goldman Sachs a Palazzo Chigi. Napolitano non perde giorno per rimproverare i partiti politici: il prossimo governo dovrà proseguire sulla strada intrapresa da Monti. Strano, eravamo tutti convinti di essere in una repubblica parlamentare, ci siamo ritrovati in una diarchia Monti - Napolitano. Eravamo tutti convinti che il governo spettasse ai vincitori delle elezioni, invece spetta a chi viene scelto dalla trojka (espressione di sovietica memoria) Fondo Monetario Internazionale - Commissione UE - Banca Centrale Europea, e dalla Merkel. Tra l'altro, per assicurarsi la vittoria gli euroburocrati hanno imposto all'Italia il pareggio di bilancio, tramite il Fiscal Compact, imponendo all'Italia manovre da 40 miliardi per i prossimi vent'anni. E' effettivamente vero che la classe politica italiana non offre alternative credibili a Monti, ma il personaggio in questione non è che il prodotto di quel sistema marcio e corrotto che lo tiene in piede. Ma a conferma di quello che i politicanti asserviti e i giornali falsificatori della verità chiamano "populismo anti-europeo", basterebbe leggere un rapporto tratto da uno studio Uilca. Nell'ultimo anno (guarda a caso coincidente con l'insediamento del governo Monti) i banchieri italiani hanno conosciuto tutto tranne che la crisi : "I bilanci 2011 dei primi 11 istituti evidenziava un monte compensi di 26 milioni per gli 11 ad (+36% dal 2010), e di 9,6 milioni per gli 11 presidenti (+5,5%). Non sono le cifre stratosferiche degli anni di bolla 2005-2007, ma si tratta pur sempre di 85 volte i salari del bancario medio (il rapporto era 62 nel 2010 e 107 nel 2007). E sono somme non scalfite, costanti, dopo cinque anni di crisi, mentre molte di queste banche azzeravano i profitti con una redditività media scesa al 2-3%." Il governo Monti affama l'Italia e ingrassa le banche: tuttavia ai banchieri italiani non basta avere aumentato il loro fatturato del 36%, vogliono continuare a lucrare sulla crisi. Non si può spiegare diversamente come un governo che ha portato l'Italia nella peggiore recessione della sua storia viene ritenuto un governo che deve rimanere oltre la scadenza della legislatura, a prescindere dal risultato delle elezioni, e che riceve attestati di stima solo da istituzioni finanziarie che hanno interesse alla de-industrializzazione dell'Italia ed alla "cinesizzazione" del modello sociale ed economico dello Stivale. E' necessario dare vita ad un nuovo Fronte di Liberazione Nazionale: il discrimine non è una lotta tra classi, tra nord e sud, o peggio ancora tra dipendenti pubblici e privati. Queste sono divisioni che cercano solo di dividere il Popolo di fronte al Nemico comune. Oggi il discrimine sarà tra il Popolo e le banche: sarà la lotta dei prossimi dieci anni. Le forze antagoniste al capitalismo finanziario ed all'internazionalismo mondialista devono dimostrare nel 2013 di essere parte del dibattito politico, oggi appiattito tra una "destra" e una "sinistra" completamente appiatite sul montisimo e divise solo sui falsi problemi. VALERIO ZINETTI

Fronte della Tradizione.

TRADIZIONE La Tradizione, «è, nella sua essenza, qualcosa di metastorico e, in pari tempo, di dinamico: è una forza (…) che agisce lungo le generazioni, in continuità di spirito e di ispirazione, attraverso istituzioni, leggi, ordinamenti che possono anche presentare una notevole varietà e diversità». La Tradizione è una “realtà” di ordine spirituale, attiva ed operante nel mondo ("trascendenza immanente"), non la collezione di usi e costumi di cui non si comprende più il significato. E’ una forza che si traduce nell’onore e nella fedeltà, nella giustizia e nella verità, nei principi universali resi visibili dall’azione e dall’esempio dell’uomo. Principi che non assumono un profilo politico, ma pre-politico, in quanto punti cardinali che stanno prima di tutto: di fronte ad ogni scelta o valutazione, non prevale l’agire secondo il mi piace/non mi piace dei propri interessi, ma vige il criterio del giusto e del vero. La Tradizione (dal latino tradere, trans= oltre e dare= consegnare), è anche un azione di passaggio, la trasmissione di un’eredità, la cui origine non è umana ma spirituale. Una trasmissione che presuppone un collegamento tra chi consegna e chi riceve, laddove quest’ultimo ha il dovere di continuare a far vivere, attraverso le sue azioni, l’eredità dei Padri. Un testimoniare che non è attardarsi a riesumare in maniera nostalgica il passato, fissandosi su formule anacronistiche legate alla storia, ma è la volontà di affermare e concretizzare nel presente i principi tradizionali, attraverso l’utilizzo di strumenti al passo coi tempi e secondo un progetto di breve e lungo periodo (funzione politica e sociale). La Tradizione vive nell’impegno di chi, al di là della vittoria e della sconfitta ed oltre la prospettiva di un personale guadagno, vuole sacrificarsi per l’Idea: nel mondo del profitto e dello sfruttamento il dono è un atto rivoluzionario. FORMAZIONE La crisi della società è il riflesso della crisi dell’uomo. Per questo, prima dei programmi politici, delle formule elettorali o delle ricette economiche, viene la formazione secondo i principi della Tradizione. Se l’elaborazione di progetti e soluzioni politiche è un’attività importante, è prima ancora fondamentale adoperarsi nella formazione di se stessi, nella riscoperta del carattere dell’uomo nobile di contro all’uomo volgare. La formazione, tuttavia, non è l’accademica lettura dei libri, l’inutile e sterile intellettualismo, il filosofeggiare sul nulla, ma è la conoscenza derivante dalla pratica della Virtù, è il “conoscere se stessi” per “essere se stessi”, è l’affermazione di uno stile di vita. E’ studiare la dottrina e vivere secondo i Principi della Tradizione, interiorizzarli e renderli operanti attraverso l’esempio, ventiquattro ore su ventiquattro, nonostante il contesto della società moderna sia ostile e contrario. Il confronto con le prove della vita, dal lavoro alla famiglia, dalla scuola ad ogni altra esperienza, sono occasioni di verifica per la propria tenuta interiore, per comprendere, senza alibi né scuse, quanto si è aderenti ai principi declamati. Per questo la vita est militia super terram, perché è un restare in piedi in un mondo di rovine, nel quale l’uomo nuovo combatte per l’affermazione della luce contro le tenebre. La formazione non è conservarsi, ma lottare in maniera inesorabile e senza tregua, seguire un metodo che coniuga lo studio della dottrina alla disciplina militante. La formazione, infine, non è gerarchismo, un clima da caserma alimentato da atteggiamenti prepotenti, boriosi e volgari, o la scala burocratica e meritocratica che si ascende dopo tanti anni di anzianità. La gerarchia è qualità ed aristocrazia (aristos >> aretè, la virtù: essere il migliore rispetto alla virtù), nobiltà d’animo e purezza di cuore, dovere nei confronti di se stesso (essere impeccabili) e dovere nei confronti degli altri: essere esempio. RIVOLUZIONE Esistono due tipi di rivoluzione. La rivoluzione esteriore, diretta al cambiamento della struttura politica e sociale di uno Stato e la rivoluzione interiore, quella generata dalla formazione secondo i principi tradizionali. Quest’ultima, è sempre un rivolgimento radicale, ma a differenza della prima, avviene nel cuore e nell’anima, è il risultato di un costante lavoro dell’uomo su se stesso. Rivoluzione, quindi, quale rivolta di chi non accetta questo mondo e, coerentemente, lo combatte nelle proprie azioni e modi di pensare: all’utilità e alla menzogna sostituisce la verità e la giustizia, all’ipocrita democrazia la gerarchia e l’autorità, all’insicurezza e alla superficialità il carattere e la disciplina, allo sterile sentimentalismo il senso della distanza e del rispetto. Per il rivoluzionario non c’è democrazia nelle scelte che si compiono: ciò che fa è ciò che deve essere fatto, senza inutili e politicanti dialettiche. Non vige il principio della falsa uguaglianza, ma quello gerarchico ed organico: ognuno si colloca in base alla propria qualificazione spirituale ed il superiore è colui che meglio di altri incarna la Virtù. Non esiste l’individualismo, perché egli non conosce l’io ma il noi: a disposizione dell’Idea (impersonalità dell’azione), per questa egli compie il suo dovere. Eccola la rivoluzione dell’uomo libero dai condizionamenti e dalle mode, di colui che rifiuta l’ideale borghese vile e pantofolaio, dell’anticonformista che non si livella alla società dei consumi e al modello assorbito passivamente. Non è la ribellione del delinquente o dello sbandato, dell’anarchico o dell’emarginato, ma è la rivoluzione del guerriero che, con onore dignità, coraggio e consapevolezza, affronta la vita. Sarà questo radicale cambiamento interiore a creare le basi per il cambiamento dello stato delle cose sociale e politico, perché l’uomo sano ed orientato spiritualmente è in grado di informare la realtà circostante, investire l’ambiente di quella forza invincibile per l’eternità di cui è divenuto strumento. Una rivoluzione tradizionale, quindi, in grado di coniugare il significato interiore ed esteriore della parola stessa. Con la menzogna e l’ingiustizia non ci sono compromessi, è il tempo delle affermazioni assolute e delle negazioni sovrane. Stare con la Tradizione non significa essere riformisti o nostalgici, ma rivoluzionari. ...FRONTE DELLA TRADIZIONE! Un fronte, perché il riferimento alla Tradizione impone delle scelte per ristabilire i limiti tra chi appartiene ad un preciso schieramento e chi invece rappresenta il nemico. Un fronte, al quale si appartiene non in virtù di un’operazione mentale: non sono i libri letti o le tessere possedute, ma è l’azione, la qualità del comportamento, lo stile ad essere determinante. Un fronte, perché è necessario realizzare, indipendentemente dalle collocazioni territoriali, iniziative atte a diffondere, tramandare, rafforzare la visione tradizionale del mondo e della vita, il metodo di formazione secondo i principi della Tradizione. Un fronte, per il quale ricercare il collegamento di intenti, la collaborazione tra uomini, il cameratismo tra soldati. Un Fronte della Tradizione, coordinamento di realtà e singoli militanti che operano in Italia, un progetto esistente sin dal 1979 e di cui la Comunità Militante Raido è parte attiva sin dalla sua nascita.

C'era una volta il MSI...

C'era una volta un partito piccolo, litigioso ma serio che mandò a casa un segretario eletto dal congresso dopo l'insuccesso alle elezioni regionali. Altre storie, altra gente. Oggi un ex partitone (a conduzione sultaniale) da un anno e mezzo finge d'ignorare un tracollo drammatico. Le tappe sono note: Milano, Como, Tr ieste, Monza, Palermo, il Lazio, la Lombardia etc. Ma nessuno dei responsabili si è dimesso, ritirato. Tutto continua come prima. Da Vespa una sprovveduta ci racconta una tenuta elettorale inesistente (più altre cazzate); intanto un gruppo dirigente fallito e fallimentare tace o farfuglia di primarie e si rinchiude, senza vergogna, nel suo piccolo ridotto, simil valtellinese. Mentre i deputatini — un tempo i referenti sul territorio — ragionano solo sulla loro sopravvivenza e di leggi elettorali (dibattito assolutamente inutile —, dalle sue ville-bunker il sultano minaccia sfracelli e intanto media con Monti sul futuro delle sue aziende e dei suoi processi. Mentre una poveretta plasticata strilla stupidaggini, la Sicilia annega nel grillismo e nell'astensione. Un'occasione storica — il mitico progetto romano — svanisce sepolta dalla vergogna di Fiorito e i suoi "camerati di merende". Mi fermo e ripenso ai CC del vecchio MSI e rivaluto ancora una volta quel mondo, quella cultura di partito, quella dialettica interna. Altri tempi, altra gente. MARCO VALLE

Dalla Sicilia inizia il crollo del sistema.

Questo sistema “democratico” parlamentare non regge più, è definitivamente fallito. In Sicilia, ha vinto la protesta popolare contro la partitocrazia: il 52% dei siciliani non è andata a votare. Se a questa maggioranza assoluta astensionista, sommiamo le schede bianche e nulle, il 18% ottenuto dal movimento 5 Stelle di Beppe Grillo ed i voti andati dispersi ad altre liste minori antisistema, possiamo serenamente affermare, numeri alla mano, senza possibilità di essere smentiti, che: meno di 1/3 della popolazione ha ancora fiducia nei partiti tradizionali e che il governo tecnocratico e plutocratico di Mario Monti ha un consenso reale del 15%. Questo è il dato principale e fondamentale: siamo, oggi, governati da una minoranza, da una casta senza consenso, da mediocri mestieranti dei partiti che, come diceva, in maniera assolutamente lungimirante, il poeta Ezra Pound, sono diventati “i camerieri dei banchieri”, ovvero meri sostenitori ed esecutori delle decisioni prese dai “poteri forti” e dell’alta finanza internazionale. Che in Sicilia abbia ufficialmente “vinto” il comunista omosessuale Crocetta, con il sostegno clientelare ed ipocrita dell’UDC ed i tradimenti gattopardeschi di Lombardo e Miccichè, è un fatto assolutamente secondario rispetto al crollo della “democrazia rappresentativa” che non rappresenta più la maggioranza del popolo siciliano ed italiano. Mi dispiace per Musumeci, autentico galantuomo missino d’altri tempi ma ha pagato i tanti macroscopici errori del PDL, di Alfano e di Berlusconi. Quanto alla destra italiana, meglio calare un velo pietoso, nonostante il clima politico potenzialmente favorevole: La Destra di Storace si è diluita nella lista civica Musumeci, scomparendo, Forza Nuova è confluita in una lista locale di protesta che ha ottenuto complessivamente l’1% (e nessun rappresentante) e la Fiamma Tricolore non è riuscita nemmeno a raccogliere le firme necessarie alla presentazione delle liste. Il risultato di queste elezioni siciliane deve essere di forte monito per tutta la destra italiana, soprattutto, in vista delle prossime consultazioni regionali di Lazio e Lombardia e delle elezioni nazionali del 2013: è assolutamente necessario ed urgente unire e riorganizzare le forze, altrimenti, rischiamo la nostra definitiva estinzione politica. Mi duole invece constatare, almeno fino ad ora, che la nave in partenza per Itaca, ancor prima di salpare, rischia seriamente di naufragare in porto. ( Milano, 30 ottobre 2012, robertojonghi@gmail.com)

"Ritrovare le ragioni dell'unità" appello di Alberto Mariantoni alle "destra italiana".

Il testo che pubblico questa mattina è un breve saggio pedagogico, "esclusivamente scritto per B. e F", con l'invito esplicito dell'autore "a non mettere in circolazione, per nessun motivo" e la avvertenza, "serve soltanto per la vostra preparazione personale". In morte del maestro, uno dei destinatari della "lezione privata" si è sentito svincolato dalle istruzioni d'uso e me l'ha trasmesso con la preghiera di divulgarlo, in memoria dell'autore. di Alberto B. Mariantoni Il principale dramma societario del nostro tempo, è che – di fronte ad un sistema politico, economico, sociale e culturale, ormai completamente antiquato, fatiscente ed inoperante (un sistema, cioè, che - non solo, non è più in grado di modificarsi o di rinnovarsi per tentare, in qualche modo, di sopravvivere, ma - non è nemmeno in condizione di scomparire autonomamente… ) – le innumerevoli e variegate forze antagoniste che ufficialmente esistono all’interno delle nostre società e pretendono combattere il sistema che le opprime, non rappresentano, in definitiva, nessuna possibile o probabile alternativa. Non la rappresentano, in quanto sono assolutamente incapaci di abbozzare una qualsiasi intesa strategica o un qualunque modus operandi tra di loro, per facilitare o favorire l’indispensabile trapasso del vecchio sistemae tentare di collaborare (oppure – dopo averlo spazzato via – competere o rivaleggiare tra di loro, per contribuire) all’urgente, imprescindibile e doverosa edificazione o realizzazione del nuovo. Il perché di quella loro congenita incapacità, è da ricercarsi – in massima parte – nell’assurdo ed anacronisticoancoraggio ideologico, dottrinario e politico che queste ultime continuano a volere necessariamente mantenere con le mitologie, le tradizioni, gli schemi e la prassi dei secoli precedenti. Basti pensare, ad esempio, che le suddette forze (come d’altronde quelle che, direttamente o indirettamente, contribuiscono a mantenere artificialmente in vita l’attuale sistema) – per essere politicamente in condizione di distinguersi, definirsi e/o rivaleggiare tra di loro – utilizzano, ancora oggi, dei parametri di identificazione, catalogazione e classificazione che risalgono al 28 Agosto del 1789: il giorno in cui, cioè, nella sala dellaPalla Corda della reggia di Versailles, i deputati dell’allora Assemblea Costituente francese, per meglio facilitare il conteggio dei loro voti (a favore o contro del diritto di veto che Luigi XVIº avrebbe voluto mantenere nel contesto di quel consesso), decisero rispettivamente di schierarsi alla sinistra ed alla destra del tavolo della Presidenza! Non parliamo, poi, della “palla al piede” ideologica (anacronistico e condizionante retaggio di all’incirca 1700 anni di colonizzazione culturale) che ognuna di quelle forze continua illogicamente e penosamente a trascinarsi dietro… nella speranza – chissà? – di giungere più facilmente e speditamente al traguardo! Non mi riferisco, naturalmente, all’Ideologia in senso tradizionale (quel corpus culturale, cioè, che tenta di giustificare post eventum quanto una qualsiasi Societas è già stata in grado di edificare o di realizzare), ma piuttosto a quelle “Ideologie” che – a partire da soggettive ed arbitrarie “costruzioni intellettuali” e/o daschemi (religiosi, politici, economici, sociali, culturali, ecc.) preconcetti, dogmatici e statici – non solo ribaltano diametralmente i termini dell’equazione umana e dell’assetto naturale del mondo, ma pretendono intervenire ed agire sulla realtà, suggerendo e/o imponendo una visione delle cose che lascia direttamente o indirettamente credere all’uomo della strada che il reale delle sue naturali percezioni, è sempre e comunqueirreale, e che l’irreale o l’immaginario di quelle soggettive ed arbitrarie descrizioni o costruzioni intellettuali, è la vera realtà. Conosciamo il limite di quel genere di “Ideologie”… Le costruzioni intellettuali e/o le rappresentazioni della realtà - che per natura sono sempre riduttive e limitative del reale - pretendono sistematicamente “descrivere”, “imbrigliare”, oppure “determinare”, “modificare”, “sconvolgere” e, qualche volta, perfino “predire”, “prevedere” o “precorrere” la realtà. Nonostante gli sforzi, però, la realtà, come sappiamo, non si lascia mai interamente descrivere, né tanto menoimbrigliare; meno ancora determinare, sconvolgere o prevedere! E se anche qualcuno di noi, per pura ipotesi, riuscisse davvero a farlo, un miliardesimo di secondo dopo, ci accorgeremmo che la realtà che abbiamo preteso individuare, focalizzare e circoscrivere non corrisponde più alla descrizione o alla rappresentazione che avevamo creduto di avere realizzato. Panta rei… (tutto scorre) e, “mai lo stesso uomo - ammoniva Eraclito di Efeso –(544/-484) - può bagnarsi nella stessa acqua”… Una semplice foglia che cade da un albero; un uccello che sfreccia nel cielo; un bruco che ingurgita un briciolo di gelso; un essere che nasce o uno che muore... E la realtà che ci circonda, non corrisponde più alla “realtà” che un attimo prima abbiamo avuto la pretesa di fissare o di immortalare all’interno della nostra costruzione o della nostra rappresentazione. Una volta espressa e formulata, inoltre, anche la più allettante, fascinosa, razionale, plausibile e credibile dellecostruzioni intellettuali, non può essere nient’altro che un’ingannevole e statica “istantanea” di un esclusivo e particolare momento della realtà: una “foto polaroid”, insomma, all’interno della quale, quel nostro particolare scorcio del presente, già invecchiato dal trascorrere dei secondi, tenta invano di dare delle risposte alle eventuali problematiche dell’avvenire, utilizzando delle chiavi di lettura che, in pratica, sono già svilite o superate dalla Storia e, di conseguenza, completamente illusorie ed inefficienti, sia dal punto di vista del loro possibile impatto sulla realtà che da quello della loro effettiva e concreta capacità di intervento. Non dimentichiamo, oltre a ciò, che in qualunque costruzione intellettuale, il reale o l’irreale della nostra percezione di ieri, resta cristallizzato, per sempre, all’interno di quella nostra descrizione. Sarebbe, quindi, un vano esercizio ed una fallace presunzione accademica pretendere di poterlo trasporre o proiettare nel tempo e nello spazio, per farlo, in qualche modo, intervenire dinamicamente e positivamente sugli avvenimenti o sulle circostanze dell’oggi o del domani. Come è facile dedurlo, in fine, per una visione strettamente “ideologica” della realtà, il domani è sempre e comunque ieri. Dopodomani, è ancora ieri. E dopodomani l’altro, immutabilmente ed inalterabilmente ieri: unoieri virtuale, cioè, che non solo contribuisce a deformare costantemente la nostra percezione dell’oggi e del domani, ed a falsarne sistematicamente le basi di analisi e di giudizio, ma tende soprattutto a suscitare e ad intrattenere, nella nostra psiche, ogni sorta di inutili speranze d’avvenire (ogni volta, vanamente attese ed inutilmente rincorse…), in quanto queste ultime sono incessantemente agognate o concupite con l’occhio immobile ed inespressivo di un passato, mummificato ed inoperante, che in tutti i casi non “macina” più, né potrebbe, d’altronde, essere più in grado di “macinare”… Per individuare e capire l’altro motivo di fondo, a causa del quale le suddette forze antagoniste non riescono ad unirsi ed a concentrare i loro sforzi su un obbiettivo comune, è sufficiente analizzare la principale conseguenza che deriva dall’adozione, per per i dirigenti ed i loro militanti, di qualsivoglia tipo di costruzione intellettuale e/o di rappresentazione della realtà. Come sappiamo, infatti, qualsiasi costruzione intellettuale e/o rappresentazione della realtà essendo, allo stesso tempo, un input ed uno stimulus (quindi, una spinta/molla/motivazione ideale ed uno stimolo pratico), ha tendenza a sollecitare l’immaginario e/o la riflessione intellettuale e/o la sensibilità spirituale e/o la ricettività/reattività emotiva di ciascuno ed a suscitare – in coloro che vi si sentono attratti e/o sedotti – l’ambizione, il desiderio e/o il bisogno/necessità di aggregarsi e di riunirsi (ipoteticamente e/o concretamente) all’interno o nel contesto di una factio, factionis, un pars, partis o una secta, ae (cioè, una fazione, un partito o una setta): quel particolare “modello associativo extra-tradizionale” che Friedrich Georg Jünger (1898–1977), nel suo Der Aufmarsch des Nationalismus (1926), designa e qualifica con il nome di Geistgemeinschaft o “Comunità della mente”. Una Geistgemeinschaft, infatti, è semplicemente una “Comunità ideologica”. Che cos’è una “Comunità ideologica”? E’ un modello di società che non ha nulla a che fare o a che vedere con quello di Blutgemeinschaft (Comunità del sangue), ugualmente evocato da Jünger, né con quelli, similmente tradizionali, di Volksgemeinschaft (Comunità di popolo) e/o di Schicksalsgemeinschaft (Comunità di destino). Inoltre, come il nome stesso lo indica, una “Comunità ideologica” è un modello di ordine/assetto societario che – indipendentemente dalla lingua, la cultura, l’origine etnico-storica, i costumi e le tradizioni particolari dei suoi possibili o probabili affiliati – tende preminentemente a scaturire ed a realizzarsi/concretizzarsi, prendendo direttamente o indirettamente spunto, ispirazione, impulso e/o giustificazione dai contenuti ideologici e/o dallematrici concettuali che emergono o si sprigionano da una costruzione intellettuale. Una “Comunità ideologica”, in fine – in aperta rottura, opposizione e contraddizione con i vari modelli di Innata Societas esistenti o esistiti – tende caratteristicamente ad organizzarsi e ad operare sotto forma di Simulata Societas. Che cos’è una Innata Societas? E’ un ‘modello di società’ che – con tutte le sue possibili ed immaginabili varianti politiche, economiche, sociali e culturali interne – tende naturalmente e spontaneamente a costituirsi e ad organizzarsi, senza l’ausilio di nessun artificio o, se si preferisce, di nessuna costruzione o elaborazione intellettuale, né di nessuna finzione ideologica, politica, giuridica o amministrativa. Che cos’è una Simulata Societas? E’ un’imitazione o un succedaneo di Societas naturale: un “sodalizio”, cioè, che cerca di riprodurre o di mimare (oppure, di riformare, migliorare, oltrepassare o sopravanzare) la “società naturale” o “tradizionale”. Un genere di società, insomma, che – per capire il senso che io gli sto dando – può senz’altro essere paragonato ad un “gruppo umano supra-nationale” o ad un “Partito” o ad una “Setta” o ad una “Congregazione” o ad una “Confraternita”. Quella che io chiamo Simulata Societas, infatti – per potersi realmente costituire ed organizzare; essere in condizione di esistere, di agire o di operare; e, quindi, di durare nel tempo – ha necessariamente bisogno di tutta una serie di costruzioni o di elaborazioni intellettuali, di finzioni ideologiche e di artifizi politici,sociali e culturali che non hanno (anche quando, esteriormente e apparentemente, riescono ad imitare leSocietà tradizionali…) nessuna correlazione, né attinenza, con i motivi naturali e spontanei di aggregazione umana e di coesione civile e politica che invece caratterizzano le autentiche ‘società naturali’ o, se si preferisce, quelli che io chiamo gli originari ed inossidabili modelli di Innata Societas. Come si forma o si costituisce una Simulata Societas? Si forma o si costituisce, a partire dall’immagine soggettiva ed arbitraria che ogni singolo affiliato riesce personalmente a costruirsi, forgiarsi o elaborarsi nella sua psiche e/o nel suo animo, a proposito di un certo numero di punti fermi o di principi conduttori che ordinariamente costituiscono la base logica e/o il fondamento ideale dell’iniziale costruzione intellettuale e/o rappresentazione della realtà a cui si fa riferimento. Per quale ragione, dunque, non c’è, né può mai esserci unità d’intenti, né all’interno, né all’esterno, di una qualsiasi “Comunità ideologica”? Tanto meno, tra “Comunità ideologiche” contrapposte? Meno ancora, tra “Comunità ideologiche” affini? Per la semplice ragione che i fautori o i propugnatori di Geistgemeinschaft o “Comunità della mente” hanno solitamente tendenza a credere che l’intera umanità possa essere riconducibile ad un unico “modello ideale” di uomo e/o di società: quello stesso “modello”, cioè, che ognuno di loro – senza volerlo e senza saperlo (e probabilmente, senza nemmeno accorgersene!) – si è individualmente ed autonomamente costruito o strutturato nel suo cervello e/o nel suo cuore, a partire (come abbiamo visto…) dalla frazione di immagine, soggettiva ed arbitraria, che è riuscito a focalizzare, estrapolare ed assimilare dal “modello ideale” che è ordinariamente espresso o riassunto dai termini (ugualmente soggettivi ed arbitrari) della costruzione intellettuale che lo descrive, lo presenta o lo lascia intuire. Quel “modello”, se vogliamo, può al massimo corrispondere alle tendenze, preferenze e/o predisposizioni di chi se lo è soggettivamente costruito o strutturato, e trovare esclusivamente riscontro presso coloro che sono stati illusoriamente persuasi o si sono intellettualmente e/o spiritualmente e/o emotivamente auto-convinti di potervi in qualche modo coincidere, collimare o concordare. Essendo, però, ottenebrati e fuorviati da quella loro paradossale convinzione (Il fatto, cioè, di essere persuasi che l’intera umanità possa essere riconducibile ad un unico “modello ideale” di uomo e/o di società…), i suddetti fautori o propugnatori sono costantemente ed erroneamente portati a credere che sia più facile, opportuno e/o fecondo – per tentare di “salvare il mondo” o, semplicemente, per cercare di poterlo “cambiare” o “modificare”… – di associarsi unicamente (ciò che, in definitiva, è soltanto una grossolana e flagrante contraddizione in termini!) con i loro “uguali” o con delle persone che ufficialmente affermano di avere le loro “stesse convinzioni” o formalmente pretendono “pensarla allo stesso modo”. Ora, siccome ogni essere umano è, e resta, unico, originale ed irripetibile – e per giunta quot homines, tot sententiae (tanti uomini, altrettante opinioni) – diventa praticamente inevitabile che all’interno di quelle particolari Comunitas – anche sforzandosi o facendo finta di credere che i possibili o prevedibili adepti della medesima concezione/ interpretazione/ rappresentazione possano realmente pensarla allo stesso modo – un’effettiva e concreta concordanza di opinioni, è quasi sempre improbabile o, quanto meno, estremamente difficile da ottenere o da realizzare. Non tenendo in considerazione il fatto che ogni uomo è unico, originale ed irripetibile – quindi, potenzialmente complementare – i responsabili delle diverse e variegate forze antagoniste che esistono all’interno delle nostre società, pretendono puerilmente omologare il pensiero e l’azione dell’insieme dei loro adepti, forzandoli ad identificarsi al “modello” personale che essi stessi si sono soggettivamente ed arbitrariamente forgiato o strutturato. Risultato: chi non la pensa ed agisce esattamente come il “Capo” e/o i suoi “tirapiedi”, è il nemico da avversare e da combattere. Quindi, in definitiva, da marginalizzare o da espellere. Insomma: da eliminare. Inoltre, tenuto conto del fatto che nessuno al mondo, a causa dell’anzidetta peculiarità umana (il fatto, cioè, che ogni uomo è unico, originale ed irripetibile), può realmente ergersi a modello ideologico per altri suoi simili, né tanto meno riuscire effettivamente a coincidere, collimare o concordare con nessun tipo di “modello ideologico”, meno ancora arrivare intellettualmente e/o spiritualmente e/o emotivamente a corrispondere o a rassomigliare ad altri essere umani, il rapporto quotidiano tra correligionari di una medesima “Comunità ideologica” si riduce quasi sempre ad essere un’ipocrita e/o psico-drammatica relazione di illusoria o simulata collaborazione o cooperazione. E nel migliore dei casi: una continua, costante e snervante guerra di logoramento o un “muro contro muro” di rapporti di forza tra membri maggioritari e minoritari di una medesima, invivibile ed insostenibile conventio ad excludendum. Che cos’è una conventio ad excludendum? Letteralmente: è un’assemblea, un’adunanza o un raduno per escludere. E’ un concetto di società, cioè, che è diametralmente antitetico e contrapposto a quello espresso o manifestato da qualsiasi genere di società tradizionale o Innata Societas, dove la tendenza è piuttosto alla conventio ad consociandum (assemblea, adunanza o raduno per consociare o riunire) o addirittura alla coniunctio oppositorum o alla coincidentia oppositorum (convergenza degli opposti o unione dei contrari; qualcosa, cioè, che mette in risalto la complementarità di ognuno). Qualcosa, cioè, che, per estensione, tende al “superamento degli opposti”, così come aveva fatto notare Nicolas de Cues o Nikolaus Krebs (1401-1464) e largamente approfondito e dimostrato, in seguito, Mircea Éliade (principalmente in: Méphistophélès et l'androgyne, Collection "Idées", No. 435, Gallimard, Paris, 1962). E’ la ragione per la quale, i responsabili di “Comunità ideologiche” (nel nostro caso: i vari “capi” e “capetti”, “duci” e “ducetti” delle innumerevoli e variegate forze antagoniste che ufficialmente esistono all’interno delle nostre società) – per cercare di evitare, attenuare o contenere il continuo e costante frazionamento e/o l’ineluttabile atomizzazione/scomposizione centrifuga dei loro ranghi – tendono prioritariamente a concentrare l’attenzione dei loro affiliati sugli eventuali nemici interni o esterni (reali o immaginari) che potrebbero minacciare o rimettere in discussione le presupposte credenze comuni e/o la congetturata unità del gruppo.Ed invece di facilitare o di favorire un franco e spassionato dibattito sulle reali problematiche che affliggono le nostre società e trovare tutti insieme le più consone o adeguate soluzioni, preferiscono essenzialmente mettere l’accento su una serie di standard di identificazione esterna (un certo tipo di camicia, un certo tipo di saluto, di distintivo, di bandiera, ecc.) che – resi indispensabili ed imprescindibili – tendono a sostituire o a rimpiazzare quei legami naturali che, in linea di massima, gli ordinari adepti o membri di Geistgemeinschaft o “Comunità della mente” non posseggono, né sono o saranno mai in grado di auto-costituirsi o di auto-strutturarsi. ALBERTO MARIANTONI