giovedì 13 dicembre 2012
Ezra Pound in Italia.
Quando Ezra Pound rientrò in Italia.
Il 1° novembre del 1972 si spegneva a Venezia il grande poeta americano Ezra Pound (Hailey 1885). Nel quarantennale della scomparsa Alessandro Rivali, dopo aver consultato l’archivio del Castello di Brunnenburg, ricostruisce la vampata di emozioni che nel 1958 attraversò l’Italia alla notizia che il poeta sarebbe stato liberato dopo la prigionia nel manicomio di Washington. Il ritorno in Italia di Pound però non segnò l’arrivo del sospirato tempo della quiete: di lì a poco sarebbe iniziato il suo tempus tacendi. I paesaggi del Tirolo, il Tigullio e Venezia avrebbero però offerto spunti memorabili per le poesie estreme, quei Drafts & Fragments in cui la luce vince la bufera.
Nel marzo del 1958 le agenzie batterono la notizia straordinaria: Ezra Pound, il Prometeo incatenato della poesia del Novecento, stava per essere liberato dopo più di 12 anni di manicomio criminale. La novità fece il giro del mondo e accese le «terze pagine» dei giornali italiani. Per ricostruire il colore, le speranze e le vivaci polemiche di quei giorni si può consultare l’archivio poundiano del castello di Brunnenburg, dove tuttora vive e lavora la figlia Mary, infaticabile custode e interprete dell’autore dei Cantos. Nelle sale del castello insieme a una miriade di cimeli (la famosa sciarpa gialla con gli ideogrammi cinesi, il cappello nero, il bastone, le rarissime prime edizioni, nonché i libri annotati che costituirono le fonti primarie dei Cantos) si conservano stracolmi faldoni di rassegne stampa internazionali. Gli articoli conservati nella carpetta «1958», l’anno del «gran ritorno», sono innumerevoli e anche una campionatura rapsodica consente una vivida rievocazione del clima di quei giorni oscillanti tra entusiasmo e ostilità.
Tra i quotidiani che diedero rilievo alla notizia ci fu la Stampa, che affidò a Gino Tomajuoli un ampio servizio. Così attaccava il pezzo in prima pagina, martedì 25 marzo 1958: «Ezra Pound, il maggior poeta americano vivente, condannato per alto tradimento nel 1946 per aver parlato durante la guerra da Radio Roma… sarà molto probabilmente rilasciato ed autorizzato a stabilirsi in Italia, vicino a Rapallo» (e un sottotitolo annotava «prudenzialmente»: «Sostenne i nazisti parlando da Radio Roma»).
L’articolista era molto «comprensivo» verso le autorità statunitensi: «Dal punto di vista strettamente legale, il governo si è già mostrato estremamente generoso verso Pound, perché la accusa di tradimento, sebbene non provata in giudizio, comporta la pena di morte o lunghe pene detentive: nel 1946, invece, per poterlo rinchiudere in un manicomio, Pound venne dichiarato “eccentrico, querulo ed egocentrico”, afflitto da “anormale senso di grandezza e da personalità” che con l’andare degli anni diverrà soggetta a ulteriori distorsioni poiché già ora egli soffre di paranoia”. […] La decisione di lasciare gli Stati Uniti in caso di liberazione è stata giustificata con motivi familiari: oltre ad aver vissuto prima della guerra in Italia per più di venti anni, il poeta desidera vivere accanto alla figlia sposata ad un italiano. L’espediente legale, proposto più volte negli anni passati da scrittori e poeti come Hemingway, T. Eliot, Archibald McLeish, Moravia, Piovene, ha ora assai più probabilità di essere accolto perché lo stesso governo americano desidera non assumersi il rischio che il poeta possa ammalarsi o morire in manicomio».
Indisponibile ai compromessi
Una manciata di giorni più tardi, Enzo Fabiani sulle pagine di Gente (9 aprile) si spendeva con coraggio per Pound, sottolineando il suo carattere indomito e la capacità di resistenza a oltranza, anche in manicomio. A suo parere, il procuratore della Corte suprema degli Stati Uniti, Rogers, sarebbe stato ricordato dai testi di storia di letteratura come «il liberatore» del poeta che aveva sempre combattuto contro usura e ipocrisia: «Ezra Pound non è il tipo da aver paura di restare ancora, e di morire, in manicomio. A 73 anni quest’uomo che ha lottato per tutta la vita contro l’ipocrisia, l’usura e il mercimonio; che ha composto le opere più alte e sconvolgenti del nostro tempo; che ha creduto nella bellezza e nella civiltà (tra l’altro si deve a Pound la sopravvivenza di quattro concerti di Vivaldi in quanto egli aveva filmato gli originali [in realtà lo fece Olga Rudge - ndr] andati distrutti a Dresda durante la guerra, e i microfilm furono da lui donati all’Accademia Chigiana di Siena) non scenderà, coerente come sempre e disposto a pagare di persona per le proprie idee, al compromesso. Egli preferirà senza dubbio vivere prigioniero tra i pazzi criminali, piuttosto che “graziato” tra i saggi ipocriti, i quali sarebbero i primi a disprezzarlo».
Su un versante diametralmente opposto si pose il critico Giancarlo Vigorelli, biografo di Giovanni Gronchi, che non aveva mai digerito il saggio Jefferson and/or Mussolini: sul settimanale Rotosei (16 maggio 1958) si premurò di ricordare ai suoi lettori che non sarebbe stato tra quelli che avrebbe accolto Pound con una stretta di mano. Ancora più dura la notazione de La sera di Roma (19 aprile 1958) che così stigmatizzava la vicenda: «Ezra Pound poeta e razzista lascerà presto il manicomio criminale… fu uno dei pochi collaborazionisti antisemiti e filonazisti americani».
In questa scia al vetriolo si poneva anche lo scrittore Giovanni Titta Rosa, mediocre poeta e ascoltato critico (Pasolini lo trafiggerà con un micidiale epigramma) che sulle pagine del Corriere lombardo (10-11 maggio) estendeva la critica anche al «Pound» letterario: «Vorremmo dire […] che Ezra Pound in fatto di conoscenza storico-critica della tradizione poetica, diciamo pure, mediterranea e latamente europea è un dilettante, e sia pure un acuto dilettante: polemico, a volte ispirato, più spesso cervellotico. Il suo saggio su Cavalcanti, tanto vantato dai suoi aficionados (e ce n’è parecchi anche in Italia), ci è sembrato davvero una cosa mediocre…». Del resto un articolo intitolato: «Difficile dire Benvenuto a Ezra Pound» non poteva promettere nulla di buono…
Mario Pannunzio in un articolato intervento del 15 aprile spiegò invece le incongruenze della detenzione di Pound: non temeva il suo ritorno, anche se il suo saluto non era certo benevolo: «I militari americani del 1945 considerano Pound talmente pericoloso da rinchiuderlo in una gabbia, come una bestia feroce; noi non pensiamo che egli possa turbare il nostro ordine pubblico. Per noi, magari, sono indesiderabili certi analfabeti che hanno parlato alla radio durante la dittatura e durante la guerra, e che da tempo hanno ritrovato cattedre di giornalismo e di propaganda: ma dato che si tratta di italiani, ce li dobbiamo pur tenere. A loro paragone, il poeta Pound ci si presenta come un ospite che non fa paura, e il suo arrivo in Italia, e il suo soggiorno fra di noi non sarà diverso da quello di uno dei tanti turisti ai quali non chiediamo le opinioni politiche. Che dunque venga, e se ancora sarà un fascista ostinato, tanta maggior vergogna ne dovranno sentire i fascisti indigeni a confrontarsi con lui».
Performance di Ezra Pound al festival di Spoleto nel 1969.
Lo stesso Indro Montanelli sposava la «tolleranza» di Pannunzio schierandosi con quelli che non erano intimoriti dal ritorno di Pound e il giorno successivo alla sua liberazione scrisse: «Stando a quel che si legge, Ezra Pound sta per tornarsene a casa con una bella patente di matto che lo libera dall’accusa di tradimento, per la quale l’hanno tenuto dodici anni in gabbia. Gli americani non escono bene da questo affare […]. Io spero che Pound torni. E per due ragioni. Prima di tutto perché è un vecchio amico e un vecchio uomo che, dopo tutto quel che ha passato, ha il diritto di finire i suoi giorni nella terra che, sia pure per equivoco, ha eletto come patria. Eppoi perché le sue opinioni politiche non le temo: come non m’influenzarono allora, così non c’è pericolo che m’influenzino oggi. Delle opinioni politiche di un poeta possono aver paura solo gli schiocchi [sic], e gli americani lo sono stati. Ma non vedo perché dovremmo imitarli» (Corriere della sera, 20 aprile 1958).
L'arrivo a Gais nella bufera
Ma cosa attendeva Pound in Italia? Lui stesso e i famigliari sospiravano quella libertà attesa da anni e al contempo immaginavano un periodo fecondissimo di lavoro sui Cantos. La Divina Commedia made in Usa attendeva di essere conclusa. Brunnenburg e le montagne del Tirolo potevano apparire il coronamento di un sogno.
Alla vigilia del suo arrivo, la figlia Mary espresse tutti i timori: ulteriori strumentalizzazioni politiche, il sopraggiungere di intoppi burocratici a impedire in extremis il ritorno. A Franco Vegliani confidò (Tempo, maggio 1958) che suo padre non si sarebbe più occupato di politica e volle ricordare il suo arrivo a Gais nella bufera del 1943: «Quando il governo fascista abbandonò Roma per trasferirsi nel Nord, nessuno dei gerarchi pensò di offrire a mio padre un posto in automobile. Nessuno gli fornì i mezzi o la opportunità di procurarsi un posto in treno. Mio padre partì da Roma a piedi. Viaggiò con mezzi di fortuna. Camminò per giorni e giorni mangiando alle tavole dei contadini e dormendo nei fienili. Lo so io, che me lo vidi arrivare in Pusteria, a Gais, lacero e affamato come l’ultimo e il più disperato dei pezzenti».
Alla fine Pound arrivò. Una piccola cabina con tre cuccette della nave Cristoforo Colombo ospitò il poeta, la moglie Dorothy e la giovane segretaria texana Marcella Spann.
Pound sbarcò il 9 luglio a Napoli scuotendo i cronisti con un’affermazione poi diventata celebre: «Tutta l’America è un manicomio»: «La mia fortuna è stata quella di aver trascorso tutto il periodo del mio soggiorno americano in manicomio. Oggi è l’unico posto ove si possa vivere negli Stati Uniti» (Il Giorno, 10 luglio 1958). Lino Rizzi, per il Candido, diede un vivacissimo ritratto del nuovo Pound «italiano»: «Dal ponte di prima classe della Cristoforo Colombo, l’orchestrina di bordo accompagnava le operazioni di sbarco con una marcetta festosa… Il vecchio Pound, dritto, impettito, solenne nonostante l’abbigliamento fantasioso e audace dell’ex emigrato che ha fatto fortuna, procedeva svelto sotto le ampie volte della stazione marittima e rispondeva pazientemente a tutti, alle domande più strane e impertinenti. […] Chi è il più grande poeta vivente? Ezra Pound fu la risposta».
Così invece fu descritto il suo arrivo sulle pagine del Secolo XIX in occasione del suo secondo sbarco, quello di Genova: «Facendogli presente che lo trovavamo in buona salute, egli ci ha risposto che da tre mesi i suoi amici lo rimpinzavano proprio come uno “zucchino ripieno”. Quando Pound non riesce a trovare la parola italiana ricorre alle similitudini, quasi sempre scherzose. E poi ride e picchia forte col pugno sul palmo dell’altra mano ed aguzza gli occhi vivi e penetranti. Pound è venuto a Rapallo di sfuggita, senza nemmeno dirlo ai suoi amici genovesi, perché prima di partire per Merano egli doveva vedere la città nella quale ha trascorso anni pieni di vitalità. […] Gli abbiamo chiesto di fermarsi almeno un giorno a Rapallo; ci ha risposto che a Merano lo attendevano i nipotini, era ansioso di conoscerli, di abbracciarli. Ha poi voluto spendere i primi soldi in Italia, comprando alcune cartoline» (12 luglio 1958, a firma «m.»).
Da Genova Pound passò a Verona e arrivò in Tirolo su una Fiat 1400 nera alle 15.50 del 12 luglio. Il segnale convenuto per farsi accogliere dai famigliari nel castello furono tre colpi di clacson. Ai giornalisti disse che avrebbe parlato quando si sarebbe sentito riposato. Quanto tempo era necessario? Quattro mesi fu l’autodiagnosi del poeta.
I primi tempi a Brunnenburg seguirono le più rosee prospettive. Il castello sembrava la nuova Ez-University, il regno di Utopia. Ci fu tempo ed energia per una lettura pubblica del Canto 81 contro l’usura, come di costruire una tavolo da pranzo in legno massiccio o di sognare di innalzare un tempio di marmo sulla vetta della montagna Mut a 2.000 metri di altezza.
Ezra Pound fotografato da Lisetta Carmi a Sant'Ambrogio di Rapallo nel 1966.
Anche la poesia riprese a scorrere. Pound iniziò a prendere appunti per quelli che sarebbero diventati i Drafts & Fragments of Cantos CX-CXVII. Probabilmente tra i punti più alti della sua ricerca insieme ai Pisan Cantos. Eccone un campione nella suggestiva traduzione della figlia Mary: «Ammettere l’errore e tenere al giusto: / Carità talvolta io l’ebbi, / non riesco a farla fluire. / Un po’ di luce, come un barlume / ci riconduca allo splendore» (CXVI); «Ho perso il mio centro / a combattere il mondo. / I sogni cozzano / e si frantumano – / e che ho cercato di costruire un paradiso terrestre» (Appunti per il CXVII); «Ho provato a scrivere il Paradiso / Non ti muovere, / Lascia parlare il vento / Così è Paradiso // Lascia che gli Dei perdonino quel che / ho costruito / Chi ho amato cerchi di perdonare / quello che ho costruito» (Ibidem).
«Il centralino usuraio è New York»
Queste poesie vennero annotate su sei quaderni colorati, tre azzurri e tre con le regioni italiane, che furono poi donati dal poeta a Marcella Spann e nel 2010 sono stati riprodotti in una splendida quanto costosa (350 $) edizione anastatica da Glenn Horowitz.
Per festeggiare il suo 73° compleanno e il 50° della pubblicazione di A lume spento l’Azienda autonoma di soggiorno di Merano organizzò una mostra bibliografica e iconografica. Per l’occasione Pound vestì di blu, ma con una camicia di taglio sportivo e dal colletto floscio. Calzava stivaletti marroni e si appoggiava a un bastone con il manico d’avorio.
In Tirolo Pound riprese anche le collaborazioni giornalistiche. Sulle pagine di Cultura nel mondo (settembre - ottobre 1958) tornò ad attaccare il cancro dell’usura: «Non si è capito ancora abbastanza che l’usuraio ed il nomade, tutti e due, attaccano sempre l’agricoltura. L’economia matura è agricola, il nomade è troppo pigro, o troppo impaziente, per coltivare la terra. Vaga. Ruba. L’usura attacca dall’altro lato. L’usuraio impone una tassa. Aumenta sempre questa tassa finché il contadino muore di fame. La terra perde valore in una civiltà corrotta. Quando diviene impossibile di vivere lavorando la terra, e magari quando il latifondista s’impoverisce sempre di più, decade e poi fa alleanza coll’usuraio, etc. In questa luce l’alleanza plutocratica-bolscevica deve perdere ogni mistero. Ma queste due parole sono plurisillabe. Da una settimana studio il mistero dell’efficacia della propaganda bolscevica. La parte logistica si spiega coi nomi di Schiff, Warburg, Kahn, Hanauer. Il centralino usuraio è New York, quindi nessun bisogno di importare i fondi per lanciare edizioni di libri e di periodici. Ma il terreno umano dove cresce l’erba mala? Questo terreno è costituito in parte dai cuori generosi che, bevendo la diagnostica di Marx, bevono anche il rimedio falso. È precisamente contro questa intemperanza che io invoco lo studio dell’ideogramma, e dei princìpi confuciani, fra i quali la “definizione della parola”, la stabilizzazione della terminologia instabile».
Una testimonianza straordinaria del ritorno di Pound a Brunnenburg è costituito da Study of a Poet, un documentario di Peter Nevington e D.G. Bridson per la Bbc (aprile 1959). Le immagini adesso scorrono ininterrottamente in un piccolo monitor tra i cimeli e le grandi fotografie del Castello. Si vede Pound tra i merli, i nipotini che corrono festosi sulle scale, poi il poeta che legge con la famiglia e il volto di Dorothy velato di tristezza.
«Tempus tacendi». La genesi del silenzio
È estremamente interessante rilevare il parere del regista che lavorò con Pound: «Se mai avessi dubitato che Ezra non fosse un attore nato, vederlo davanti alla macchina da presa mi avrebbe convinto subito del contrario. Per quattro giorni ha seguito le nostre direttive con molta naturalezza. Stagliato contro i merli, di fronte al suo busto scolpito da Gaudier che domina il giardino, lungo i corridoi e su per le scale a chiocciola, intento a suonare l’arpicordio o a passeggiare in silenzio nel suo studio, impegnato a scrivere ideogrammi cinesi con un pennello per dimostrare le sue teorie o di fronte al cameraman come una Nemesi a leggere l’accusa rovente contro l’Usura nel mondo oppure Fratel Coniglietto per i nipotini, nessun altro sarebbe riuscito a inscenare uno spettacolo tanto coinvolgente» (cfr Humphrey Carpenter, Ezra Pound – Il grande fabbro della poesia moderna, Rusconi, Milano 1997, p. 988).
Il tempo felice del Tirolo purtroppo non sarebbe durato. Contro Pound congiurarono i troppi anni passati fuori dalla società, i tanti lutti tra gli amici, il peggiorare delle condizioni psico-fisiche, lo stesso freddo inclemente patito d’inverno nel castello. Sarebbe arrivato il tempus tacendi e anche la famosa dichiarazione a Daniel Cory («secca e devastante» la definisce il suo biografo Carpenter) secondo cui l’insieme dei Cantos fossero «un pasticcio» (1966).
Nella sua prefazione all’Oscar Mondadori (1989) Per conoscere Pound (che andrebbe prontamente ripubblicato) Mary de Rachewiltz diede qualche ragguaglio sul ritorno di Pound e sulla genesi del silenzio: «Si era ancora illuso di tornare in Italia nel 1958 da Eracle vittorioso, pieno di vigore fisico e di voglia di vivere. Quando si accorse che portava una strettamente burocratica camicia di Nesso e, in un mondo di “cartapesta”, vide crollare definitivamente ogni speranza di libertà, reclamò la cicuta, preferibile alla finzione e alla morte civile. Poi, per quel sottofondo di rigore puritano di cui non si era mai riuscito a liberare del tutto , cercò di condurre la sua guerra “interiore” in silenzio. Al naturale compiersi del suo periplum, “come lo buono marinaio”, nel Convivio, calò le vele per dirigersi al suo ultimo connubio con Gea Mater e raggiungere i compagni nel Cristallino» (pp. X-XI).
Il grande Ulisse del Novecento «entrò nel Cristallino» il 1° novembre del 1972: appena due giorni prima aveva compiuto 87 anni. Il collasso sopraggiunse per «un improvviso blocco intestinale» e una gondola portò il suo corpo nella parte evangelica del cimitero comunale di Venezia.
A quarant’anni dalla morte sarebbe doveroso onorarlo in Italia con nuove traduzioni da troppo tempo rimandate. Intanto, ci si può rallegrare dell’uscita per Guanda di una nuova versione dei primi XXX Cantos a cura di Massimo Bacigalupo, mentre le Edizioni Bietti hanno meritoriamente ripubblicato Carta da visita con un’indispensabile introduzione di Luca Gallesi.
Ecco una griglia (del tutto provvisoria) delle opere di cui si sente la mancanza nel nostro Paese: la monumentale biografia di David Moody (è uscito il primo tomo: The Young Genius 1885-1920), le lettere dalla prigionia alla moglie Dorothy (Letters in Captivity, 1945-1946), quelle ai genitori (Ezra Pound to His Parents: Letters 1895-1929), il fondamentale studio di Tim Redman (Ezra Pound and Italian Fascism), la breve guida ai Cantos di Cookson (A Guide to the Cantos of Ezra Pound), l’Ezra Pound di Alec Marsh e l’evergreen The Life of Ezra Pound di Noel Stock. Beh, ci sarebbero anche le 600 lettere inedite di Pound alla figlia Mary custodite negli archivi di Yale, ma forse qui si sta chiedendo davvero troppo…
Alessandro Rivali
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