domenica 4 novembre 2012

"Rauti: un perdente mai sconfitto"...

Forse, per sua stessa natura, Pino Rauti era un uomo destinato a perdere, in modo tanto cocente quanto grande era la passione profusa nella lotta politica. La lucidità del suo sguardo teorico mal s’accompagnava al senso tattico che distingue, necessariamente, un pensatore dal politico. E Rauti, alla prova dei fatti, non riuscì mai a tradurre quelle idee che coltivava con cura quasi maniacale in un decalogo di proposte in grado di sedurre, oltre che una parte della classe dirigente e militante del Msi-Dn, quell’elettorato che, in democrazia, in fondo, è il giudice supremo d’ogni iniziativa politica. Rientrato nella Fiamma nel 1972, dopo le prime, vergognose persecuzioni giudiziarie che lo tormenteranno fino agli ultimi anni di vita, Rauti si pone alla testa di una Destra “spiritualista”, fortemente ispirata a Julius Evola e affiancandosi ad Adriano Romualdi. Il suo ritorno alla “casa madre” passa, quindi, attraverso le colonne de “L’Italiano” e la protezione del fondatore del partito, Pino Romualdi, da cui, però, si distaccherà presto per tornare ad agire in piena autonomia. Forte soprattutto nelle organizzazioni giovanili, in cui Giorgio Almirante lo lascia agire liberamente anche per contrastare proprio l’influenza che Romualdi, tramite Franco Petronio, tradizionalmente esercita in quel settore del partito, Rauti assurge al ruolo di “terzo leader” del Msi-Dn nel 1979, al congresso di Napoli, in cui, chiamandosi fuori dallo show-down tra segretario e presidente, accentua la parabola declinante del gruppo romualdiano, spalancando le porte al dominio incontrastato di Almirante. La crescita della sua corrente è costante, a tratti inarrestabile, anche perché la classe dirigente almirantiana è della generazione del leader missino, mentre Rauti è sempre più radicato nel Fronte della Gioventù, diventato, di fatto, un partito nel partito, in grado di condizionarne i congressi e le logiche interne. Rauti, però, non s’accorse che, se anche la stella di Almirante sarebbe prima o poi tramontata, per ragioni anagrafiche, il tempo di maturazione di questo processo avrebbe in qualche modo coinvolto anche lui, inducendolo al primo, grande errore della sua vita. Al congresso di Sorrento, 1987, la sfida contro Gianfranco Fini fu avvincente, senza dubbio, è curiosamente caratterizzata da quel fenomeno riassunto dallo slogan: il vecchio sostenuto dai giovani, contro il giovane sostenuto dai vecchi. Ma, come tutti gli slogan, conteneva solo parzialmente la verità. Non solo perché anche Fini aveva una solida base giovanile, essendo segretario del Fronte, ma perché il sostegno di cui godeva nel leader uscente e tra i deputati e i senatori del Msi-Dn era determinato, soprattutto, dalla consapevolezza che fosse necessario, sul finire degli anni ’80, un cambio della guardia tra chi usciva dall’esperienza della guerra e chi aveva militato sotto le bandiere della Fiamma tricolore, essendo nato dopo il 1945. Se Rauti avesse avuto quel senso tattico di cui si discuteva poc’anzi, avrebbe colto quell’occasione per lanciare un giovane, magari di solida esperienza – come poteva essere Giulio Maceratini -, piuttosto che giocare la partita in prima persona. Così come, due anni dopo, sbagliò ad accettare la segreteria dalle mani di una classe dirigente che non si era affatto rassegnata alla sue visioni della politica e della società, ma voleva solo e semplicemente punire il giovane neo-segretario che intendeva proprio co-gestire con lo stesso Rauti il partito per rottamare frettolosamente i quadri degli anni ‘70/’80. Uomo di rottura ideale e teorica, Rauti non avrebbe mai potuto gestire con serenità una maggioranza di coalizione dominata dai Servello, dai Tremaglia, dai Valensise, dai Lo Porto, da uomini, cioè, che avevano nel pragmatismo una fiducia incrollabile. Rileggendo le vicende dell’epoca scevri dalle passioni tipiche del militante e riconoscendo a ciascuno ciò che di realmente positivo rappresentò, la storia degli ultimi anni del Msi-Dn, politicamente ragionando, si chiarisce e si spiega con limpidezza: è la storia di un partito che, al bivio della storia, tentenna sulla strada da intraprendere perché coloro che stanno sulla tolda di comando conoscono il valore della posta in gioco. E Rimini sbagliarono tutti. Sbagliò Fini, il quale pensava di poter coinvolgere Rauti in un’operazione volta a spazzare via, in un colpo solo, l’intera classe dirigente almirantian-romualdiana, quasi non fosse stata composta, com’era composta, da uomini e donne che al Msi-Dn avevano dedicato una vita intera. Sbagliò Rauti, pensando che la segreteria che Lo Porto gli offrì al Bernini, per sventare l’accordo Tatarella-Maceratini, gli aprisse la strada per un dominio incontrastato nella Fiamma in nome delle idee e delle visioni di cui era sempre stato portatore. Sbagliarono coloro che offrirono a Rauti la segreteria, al posto della presidenza che, alla stesso Rauti, offriva Fini, pensando che il leader dell’allora opposizione – esattamente come era accaduto con Almirante nel 1969, dopo la morte di Arturo Michelini – fosse disponibile, una volta diventato capo di tutti, a portare avanti la tradizionale politica missina. Troppi errori per un partito solo e per di più in affanno, troppi errori che furono di lì a poco pagati duramente alle elezioni regionali nazionali del ’90 e siciliane del ’91. In quell’occasione, Rauti, però, non ostante la durezza della sconfitta, dette una grande lezione di stile e una rappresentazione della sua dignità umana, prima ancora che politica, che altri avrebbero fatto bene a imparare negli anni a venire: prese atto di non essere stato in grado di mettersi in sintonia con gli elettori del Msi-Dn, dimettendosi. Assumersi le proprie responsabilità in caso di sconfitta, a volte, cancella lo stesso peso della sconfitta. Quel che è successo dopo, Fiuggi, la fondazione della Fiamma tricolore e tutto il resto, poco importa e poco conta nella vicenda di Rauti. Il suo tempo finì nel 1991, quale politico attivo, ma permase fino all’ultimo giorno – ed è destinato a durare ancora – il carisma e l’esempio che la sua vita ha rappresentato per schiere intere di militanti e dirigenti dell’Msi-Dn. Massimiliano Massanti

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