martedì 23 ottobre 2012
Il diabolico perseverare di Ignazio La Russa.
Sono legato alla famiglia La Russa da una antica, sincera e solida amicizia, dal lontano 1986. Conoscevo il patriarca senatore Antonino (combattente ad El Alamein e cofondatore del MSI), conosco molto bene i figli e rimango amico dei nipoti, uno dei quali, Alberto (mio coetaneo e camerata di mille avventure) è persino padrino di battesimo di mia figlia Ludovica. Negli ultimi anni, però, l'amicizia con Ignazio si è fatta sempre più difficile, a causa delle continue e crescenti divergenze politiche. Ho sempre stimato Ignazio, oltre che per la sua generosa umanità ed autentica simpatia, per la sua coerenza, non avendo mai rinnegato la nostra comune storia, cultura ed identità politica. La mia crescente critica è alla sua gestione famigliare del partito e del potere, ed alla conseguente errata selezione della classe dirigente, in base esclusiva alla fedeltà personale, senza tenere adeguatamente conto di meriti politici e capacità oggettive. Ignazio La Russa, in tutti questi anni, ha fatto da filtro, impedendo la crescita della classe dirigente della destra, umiliando la sana militanza e creando, salvo rare eccezioni (fra questi sicuramente Massimo Corsaro), una mediocre casta di nominati, priva di qualsiasi autonomia (dovendo la propria carriera solo al capo che li ha nominati). Nel tragicomico caos di "fine impero" nel quale si trova il decadente PDL berlusconiano, speravo, o meglio mi illudevo, che Ignazio La Russa volesse veramente fare una scissione per ridare dignità e rappresentanza alla destra italiana ma la odierna nomina di Giovanni Bozzetti (contro il quale non ho nulla di personale ma che, sicuramente, non ci rappresenta) è la definitiva conferma che non vi è affatto questa volontà. Peccato ma, ora, salvo miracoli (nei quali credo come cristiano), le nostre strade sembrano dividerci definitivamente. Spero che altri amici, come me, provenienti dal Movimento Sociale Italiano, di fronte a questo degrado morale prima che politico, abbiano il medesimo scatto, non dico di orgoglio, ma almeno di dignità! Roberto Jonghi Lavarini
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