venerdì 29 ottobre 2010

Marcello Veneziani vs Gianfranco Fini



Il leader vuoto perfetto da riempire
di Marcello Veneziani


Non sottovalutate Fini, ha un’arma micidiale che non avete preso in seria considerazione. Fini non ha un progetto politico o addirittura culturale, non ha una strategia, non ha spazi politici, non ha voglia di lavorare, non ha idee, non ha consistenza. Ma proprio quella è la sua arma micidiale: Fini attira perché (...)
(...) è vuoto. Non è una battuta, è una valutazione politica che ha forti implicazioni. Fini è un recipiente vuoto e trasparente che ciascuno riempie come vuole. E può dunque diventare un punto di raccolta indifferenziata, una buca delle lettere o un cassonetto, se preferite, di notevole capienza. Fini può raccogliere tutti coloro i quali sono rimasti delusi per aspettative personali, carriere frustrate, dissensi politici, perfino divergenze ideali e filosofiche, perché è un medium freddo, inodore, insapore.
Se fate un viaggio tra coloro che si stanno avvicinando al suo partito trovate le motivazioni più disparate, in cui la stima e la fiducia verso Fini è una quota assai piccina. Fini diventa la discarica o il collettore di tutti i malesseri che si annidano nel centrodestra, di coloro che temono l’anagrafe di Berlusconi o di quanti non sopportano qualche colonnello. In più, mancando di qualunque contenuto, è un ottimo marsupio per depositare le proprie idee: c’è chi sogna con lui di rifare la destra e chi sogna di uscirne definitivamente, per alcuni è la promessa di tornare al passato e per altri è il futurista, c’è chi ritrova nella sua rottura con il premier l’indole d’opposizione del vecchio Msi e chi lo vede invece come una specie di ardito cercatore di terze vie, di incroci inediti con la sinistra, di trasgressioni politiche e culturali. C’è chi vede tramite lui la possibilità di essere finalmente legittimati a sinistra e chi vede nel suo partito una candidatura in un collegio già occupato da altri del Pdl. La sua vacuità è oggi la sua vera risorsa. Ma questo non vale solo in ambito interno. Fini attira i poteri forti, grandi e piccini, opachi e perfino occulti, perché non è portatore di un suo progetto, non ha punti fermi e non negoziabili, non ha un nucleo di pensieri suoi e di proposte forti; è la confezione ideale per essere riempita, veicolata e magari scagliata contro qualcuno (Berlusconi). Fini muta col mutare dei suoi utenti, assorbe le parole dell’ultimo che gli parla, è una specie di tassista della politica; la corsa e la destinazione la decidono i clienti. Studiava da duce, poi finì da conducente.
Fini è pure un buon involucro per avvolgere la sinistra, il centro e tutte le forme di antiberlusconismo, perché non portando nulla di suo, essendo un portatore sano e provvisorio di idee altrui, è utile alleato per qualsivoglia proposito. Fini non dispiace nemmeno a piccoli cenacoli intellettuali che non trovano collocazione nel presente quadro, vecchie nuove destre e vecchie nuove sinistre che da anni cercano spazi e visibilità e non la trovano: ora hanno trovato l’icona giusta su cui cliccare per accedere alla visibilità, hanno trovato il gadget politico per i loro discorsi e progetti; e sapendo che si tratta di un contenitore neutro e asettico, di un conduttore atermico, possono usarlo come credono. Quando si dice che Fini è il nulla in cravatta non si esprime disprezzo ma una rigorosa valutazione politica.
Di questa utile vacuità si accorse per primo Tatarella quando lo lanciò come erede di Almirante nell’87. Perché Fini consentiva per ragioni anagrafiche di saltare la generazione dei fascisti e dei colonnelli più anziani; ma soprattutto, Pinuccio confidava agli amici, Fini è multiuso, può essere usato per rifare il vecchio neofascismo, per tentare alleanze con la Dc o, aggiungeva preveggente, perfino per tentare intese con la sinistra. Perché non è portatore di sue idee, lui parla, dopo aver orecchiato; deve avere una chiavetta tra le scapole per caricarlo al punto giusto. Un carillon da piazza e da tv, una scatola vuota.
Se provate ad esaminare il suo linguaggio vi accorgete che la fonte principale delle sue riflessioni politiche e del suo successo mediatico sono i proverbi o comunque le frasi fatte. Dice con tono erudito «chi la fa l’aspetti» e la stampa lo esalta scrivendo: che statista. Poi dice come se stesse rivelando una verità nascosta: «La legge è uguale per tutti» e tutti lì a incensare il suo coraggio e la sua lucidità. Poi prosegue in tono scientifico: «Meglio soli che male accompagnati», e gli analisti osservano l’acume strategico delle sue scelte. Un giorno dirà: «Il lupo perde il pelo ma non il vizio» e inebriati dalla sottile allusione, gli osservatori diranno: abbiamo finalmente un vero leader per la destra europea e democratica del futuro.
Il lessico finiano è attinto non dalle scuole di politologia ma dalle scuole elementari, ramo maestre del primo biennio, come vogliono del resto i suoi studi scolastici e universitari; nel triennio seguente già sarebbe inadeguato. Ma l’ovvietà rassicura, fa sentire anche i cretini persone intelligenti che capiscono la politica, e soprattutto conferma la sua promettente vacuità: ognuno inserisce dentro Fini quel che lui crede, pensa o preferisce. Non sottovalutate la sua vacuità, è il suo punto di forza e di consenso. Anche perché rispecchia il più generale vuoto della politica, di cui è l’indossatore perfetto.

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