mercoledì 13 gennaio 2010

Una destra libera e coerente

Noi vogliamo una Destra senza complessi di colpa e di inferiorità, una Destra intellettualmente libera e culturalmente vivace, moderna ma coerente con se stessa, la propria storia ed i propri valori.


La destra si appiattisce per entrare nel salotto

(di Gennaro Malgieri)

di Gennaro MalgieriPiacere a sinistra. Un tic inspiegabile della “nuova destra”. Di quella che ama le citazioni sui giornali progressisti; le adulazioni degli intellettuali ex-comunisti; gli inviti nei salotti dove solitamente si parla assai male del berlusconismo. Che brama accomodarsi nelle prime file ai convegni in cui si le si dà atto di aver negato se stessa e, dunque, sostanzialmente, di non esistere più. Una destra così, purtroppo, esiste e non lotta; si fa scudo di un’evoluzione che è sinonimo di abdicazione e sbiadisce in un dialogo con la sinistra che sarebbe meglio chiamare resa incondizionata.Paradossale tutto ciò se si considera che proprio l’area progressista culturalmente è in disarmo, non produce idee, è piegata nella sua disperazione solipsistica e si nutre di sovvenzioni statali, quando va bene, per dimostrare di essere in vita con film mediocri, romanzetti dal corto respiro ruotanti attorno all’ombelico di autori scarsamente dotati, ospitate in rassegne pagate dagli enti pubblici di artisti dall’incerto presente e dall’oscuro passato. E si potrebbe seguitare. Anche per dire che assessori compiacenti offrono a lorsignori tutto il sostegno di cui abbisognano, dimenticando i contenuti e si producono nello spettacolarizzare eventi risibili.Gli amministratori Da amministratori “di destra” ci si sarebbe atteso qualcosa di più. Per esempio la ricerca di nuove leve intellettuali nelle cui mani mettere progetti di innovazione non legati a stereotipi culturali imbolsiti e rimasticati; sarebbe stato lecito aspettarsi l’apertura alle nuove frontiere dell’arte e della letteratura non soltanto europea ed americana; qualcuno ha ostato sperare feconde contaminazioni che mettessero in evidenza la centralità delle questioni religiose, identitarie, sovraniste, nazionali. Niente di tutto questo è capitato sotto i nostri occhi che, ad un certo punto, abbiamo preferito chiudere per non vedere. Ma non abbiamo potuto non sentire. Per esempio gli alti lai di registi in disarmo che reclamano ancora palcoscenici e schermi ottenendoli; le autocelebrazioni di scrittori che s’impancano a maestri del pensiero e vengono presi in considerazione da assessori e ministri; le invettive di saggisti rimasti ancorati a vecchie dispute sociologiche, filosofiche, antropologiche. A tutto questo mondo che esprime un pensiero unico fondato sul nulla, esemplificazione di un terrificante nichilismo intellettuale, ambienti sedicenti di destra regalano uno spazio che non meritano, soltanto per guadagnarsi qualche benemerenza ai loro occhi, come ha osservato Francesco Borgonovo ieri su queste colonne, rilevandone la sudditanza psicologica. Che cosa accade? Semplice. L’Italia profonda, quella che esprime valori “basici”, identità radicate, una percezione “tradizionalista” della realtà, che sostanzia la sua esistenza in un “comunitarismo” elementare, perfino inconsapevole, non è rappresentata culturalmente, mentre è maggioritaria politicamente. Una discrasia che crea, o meglio rinnova, la frattura profonda tra due Italie. E, naturalmente, riproduce un’egemonia soffice più che della cultura di sinistra o ad essa legata, di una cultura sottilmente nichilista le cui manifestazioni eloquenti sono il relativismo e l’appiattimento sulla modernità intesa come consumismo sfrenato, irrilevanza della dignità e della centralità della persona, violenza del linguaggio e dei gesti.Una “rivoluzione culturale” di segno conservatore non può partire dalle istituzioni, ma queste dovrebbero sostenerla nell’unico modo possibile: darsi una linea di condotta tale da favorire il pluralismo delle idee e la circolazione di un pensiero critico capace di mettere in discussione le idee portanti della modernità appunto, come l’egualitarismo, il progressismo, il darwinismo sociale, il “socialismo morbido”, l’indifferentismo morale, il disordine spirituale. I meccani costruiti dall’industria culturale sono, nel loro insieme, la proiezione dell’incubo orwelliano della Fattoria degli animali: una concezione raggelante della vita e del mondo nella quale, nostro malgrado, siamo immersi e senza la prospettiva di uscirne a breve.Tradizione rinnovata Ci siamo chiesti tante volte negli ultimi decenni, sperimentando coniugazioni spesso ardite della modernità e con la tradizione, se una nuova civiltà poteva sorgere senza privarsi dei principi dell’antica. Guardandoci alle spalle continuiamo a crederlo, angosciati da un paradosso che ci opprime: come mai, se tutto questo è vero ed è possibile proiettarlo anche nella dimensione politica, è stata abbandonata dalla destra quell’armatura culturale conservatrice che avrebbe dovuto non soltanto preservarla, ma anche consentirle incursioni vittoriose nel campo avverso?Restiamo appesi a questo interrogativo, mentre talvolta ci accade di “scoprire”che tra gli “infedeli”vagano come fantasmi adottati autori, pensatori, artisti che non hanno più patria e vengono esibiti, talvolta eccentricamente, come trofei per testimoniare apertura mentale e sapienza nel discernere in ciò che era proibito da quel che si può portare. La destra se lo beve questo salottiero anticonformismo, dimenticandolo sulle poltrone al momento di offrire la prossima rassegna a chi ha civettato con il sinistrismo più impresentabile fino al giorno prima, fino a quando non ha avuto l’accortezza di mettere sugli scaffali più alti della libreria i classici del marxismo e le opere complete di Lenin, Stalin e Kim Il Sung.


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La destra non sa liberarsi dei suoi antichi complessi

(di Fabio Torriero)

Ci si chiede perché con un governo di centro-destra, malgrado lo sforzo di pochi e l’oggettivo fallimento politico del Pd e dei neo-post comunisti, la cultura vincente sia sempre quella di sinistra (giornali, tivù, libri, mostre del cinema).Sarebbe semplicistico rispondere che non bisogna comportarsi come gli avversari (il tema è l’egemonia), e che va imposto il metodo sovrano del pluralismo, ma l’interpretazione di Libero (con gli articoli, nei giorni scorsi, di Francesco Borgonovo e Gennaro Malgieri) induce a riflessioni serie.Il premier Silvio Berlusconi sta offrendo un “modello italiano” ben preciso: l’incontro tra il decisionismo, la governabilità (il presidenzialismo di fatto), e l’autobiografia della nazione, la concezione del cittadino “fai-da-te”, la meritocrazia e la legalità; una sorta di “modernizzazione identitaria”, che si esprime nelle varie riforme che finora sono state avviate (dalla scuola alla pubblica amministrazione, al mercato del lavoro).Ebbene: esiste una nuova e moderna cultura di destra, capace di intercettarne, descriverne la portata, fissarne la mission? Esiste un lavoro serio da parte delle Fondazioni, vicine al PdL in grado di studiare e comunicare l’esperienza di Palazzo Chigi?La risposta è sconsolante.Ci dividiamo ancora tra i “professionisti dell’identità”, che hanno dell’identità una visione statica, testimoniale, museale; e “i rinnegati dell’identità”, i profeti dell’amnesia, che negano il valore e l’orgoglio di una tradizione di appartenenza.In Europa i filoni cattolici, laici-liberali, conservatori e riformatori nazionali primeggiano, solo da noi sono sfondi astratti per convegni inutili. E dell’attualizzazione delle idee (l’unica via giusta tra chi nega e chi ingessa le identità), nemmeno a parlarne.Come se non bastasse, troppi intellettuali e penne brillanti stanno reiterando uno sport autolesionista da anni Settanta. Si chiama playstation delle idee.Il mero gusto della provocazione per andare sui giornali che contano (la stagione dei giochetti “Paperino è di sinistra e Topolino di destra”, non è ancora finita). Sport legittimo quando sconfinare era importante; ma infantile e controproducente oggi.Esempio. Quando giornali come “Il Secolo d’Italia”, insistono, come hanno fatto in passato, su «Che Guevara è nostro», «Zucchero è un amico», il film «Fascisti su Marte» è positivo; oppure quando il giornale on line della Fondazione FareFuturo, spesso più finiano di Fini, si lancia in accostamenti pannelliani e ultra ludici; primo si indebolisce la cultura di destra, confermando il primato della cultura di sinistra; secondo, si diventa ascari del pensiero unico e del politicamente e culturalmente corretto.Le ragioni? Psico-politiche: mistica del ghetto e complesso di inferiorità culturale. Quella “sindrome da legittimazione”, serva sciocca della “sindrome di Voltaire” della sinistra, che si ritiene l’incarnazione religiosa del bene. Una sinistra che da anni non esprime più nulla o ricette ideologiche superate.Solidarietà, infine, al direttore dell’Altro, Piero Sansonetti, accusato dai suoi redattori di flirtare con i fascisti del 2000. Debole però, la risposta del direttore: non si dialoga con gli avversari, perché diversi, ghettizzati, emarginati; ma per costruire un’Italia nuova, con valori comuni e memoria condivisa. Facendo tutti un salto di qualità.Conclusione: Dio salvi la destra che si fa dare i voti dalla sinistra, facendo la destra come vuole la sinistra, o la destra estetica, immaginaria del “sottovuotospinto”.

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